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Almanacco ODRADEK
di scritture antagoniste


Si fa presto a dire Almanacco...
Un almanacco è un almanacco, un almanacco, un almanacco…
Come le rose, una volta all’anno.

I curatori, nelle pagine di presentazione, espongono ogni volta i motivi della loro cura. Qui vogliamo spiegare perché un “piccolo” editore si fa il suo Almanacco.
Non è per delirio di potenza o per incontinente narcisismo, ma più semplicemente perché i “grandi” editori non ci sono più, e i “grossi” editori che hanno preso il loro posto, un almanacco non se lo possono permettere. E non è questione di soldi, con ogni evidenza.
Hanno nutrite scuderie, anche internazionali, ma non hanno progetti da esibire, né un’idea forte intorno alla quale riunire penne e pennini. Troppe le primedonne, e tanti i veti incrociati. E poi il mercato non vuole profili rilevati e stabili. Ma solo la presenza invasiva del logo.
Il mercato, si sa, non vuole ideologie, figuriamoci un’idea; preferisce le tante emergenze che si accavallano e sgomitano nei generi. [e speriamo che non inizi il genere degli almanacchi]
Il mercato è una lunga enumerazione che non si arresta mai. Ogni tanto viene attraversato da una OLA, aspettando la prossima.
Non sono quindi la tosse della pulce questi Almanacchi, ma l’andare a riempire un vuoto: tra il Cavaliere azzurro e Frate indovino.
Perché un Almanacco è un’istanza, è un proporsi proponendo, è una determinazione, insomma è una cosa e non un’altra cosa. È questa cosa qui. Una scelta.
Nella ipotesi più debole e meno consapevole, una volta, l’almanacco dei grandi editori era mostrare la propria scuderia: identità e appartenenza, storia e percorso editoriale.
Adesso basta un catalogo, o meglio ancora quelle asfissianti brochures a cadenza mensile gestite dai grafici.
Solo istanze editoriali prese piccole a piacere, come Odradek, se lo possono permettere.
Ebbene sì, non ce lo siamo voluto negare un discorso radicale, di quelli “prendere o lasciare”.
Nulla di prescrittivo, per carità! Di qui al “manifesto” ce ne corre, ma il gusto di affermare una cosa e non un’altra cosa ce lo siamo tolto.

 

Non puoi fare una cosa che subito te la copiano! È un fiorire di Almanacchi, da queste parti, ragazzi! Perfino un quotidiano di gran tiratura se ne è munito! Tanto che verrebbe quasi la voglia di smettere di farne... Non sarà che l’almanacco viene visto – scusate la rima – come un sacco, dove ci puoi mettere quel che ti pare, indifferentemente, che pacchia, per poi tirar fuori, spudoratamente, di nuovo quel che ti pare, come se fossero i regali di natale? E noi, i soliti ingenui che l’avevamo pensato come struttura agile e funzionale, senza apparati pesanti e tuttavia forte di precise differenze, di una pluralità anticipatrice (“Almanacchi, almanacchi nuovi”...), in cui si vorrebbero presentare nientedimeno che le scritture antagoniste, le punte persistenti e acuminate della ricerca letteraria di oggi (rigorosamente clandestina, perché affatto aliena al mercato)...

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Preparando l’Almanacco Odradek 2007 di "scritture antagoniste"

Anticipazioni

* Fin dal primo Almanacco Odradek, tra le varie sezioni, sempre rinnovate nel titolo e nei contenuti, ne compare immancabilmente una - Campi di conflitto - affidata a giovani critici e ai loro esercizi di scrittura. Un contrappunto, quasi un monito minaccioso per gli scrittori accolti nelle altre sezioni. Campi di conflitto è un osservatorio, una specola, da cui giovani critici si cimentano nella cattiveria.

Nell'ALM prossimo ad uscire compariranno interventi critici su: "Narrativa precaria" (Katia Cappellini), "Blog contro la letteratura" (Francesco Longo), "Wikipedia" (Francesca Verdecchia), "Melasse d'amore in libreria" (Massimiliano Borrelli), "Oscenità vs brutalità nel (libro) giallo" (Valeria Pascone), "L'autobiografia politica all'ombbra del Pci" (Gianluca Cinelli).

***

Dalla Premessa all’ALM 07


Ai paradossi siamo così abituati che non ci facciamo più caso. Siamo immersi nella cultura del paradosso, precipitata in una cultura della confusione dove tutto è uguale a tutto. E di paradosso in paradosso ci siamo ritrovati in un dedalo di strade senza uscita. Senza alcuna alternativa, proprio perché la cultura è stata azzerata nel vuoto della confusione universale, ossia nel provincialismo globale di una piccola borghesia egemone e altrettanto globale. […]
Nell’Italia-laboratorio di ogni trasformismo, nel laboratorio che ha anticipato tutti gli orrori – dal Duce al Cavaliere, alle ubique organizzazioni criminali, alla sinistra nazionalpopolare che si destreggia – l’editoria, per quel che resta, non è da meno: fiuta nel vento gli affari del momento, insegue i personaggi resi famosi da altri media, per bruciare in una veloce stagione emozioni prodotte per palati facili, cioè abborracciate caricature: fino all’elogio dell’antropofagia. […]
Eppure, in questa penisola di mezzo, c’è ancora un numero di scrittori scoordinati e libertini che continuano la loro ricerca. Certamente in modo eterogeneo e ciascuno per proprio conto come del resto è inevitabile nella situazione di confusione assordante che sopra si registrava. E tuttavia recando ben impresso un segno di diversità e di distanza dalle pratiche dominanti. Di essi, l’Almanacco Odradek, anche questo del 2007, ne imbarca il più possibile sulla sua zattera tra coloro che estendono il momento creativo della scrittura, che continuano a produrre linguaggi, cioè a riflettere attivamente, a fare critica militante dell’ideologia. Una zattera o una terra di nessuno in cui arrivano colpi da ogni parte, in cui non ci sono rifugi o trincee ma che è rimasta una dei pochi luoghi letterari in cui il conflitto viene percepito e affrontato senza cedere a scorciatoie vittimistiche o emotive. […]
Odradek


Immagini di: Bruno Aller Amir Amirsoleimani Aldo Bertolini Luigi Boille Andrea Bonaventura Marie Laure Colasson Ettore Consolazione Bruno Conte Adriano Di Giacomo Baldassarre Dionisi Udo Dziersk Renato Fascetti Giancarla Frare Elisabeth Frolet Giovanni Gaggìa Salvatore Giunta Alessandro Grimaldi Carlo Lorenzetti Mario Lunetta Edolo Masci Cosetta Mastragostino Patrizia Molinari Giancarlo Montelli Manlio Monti Carlo Nangeroni Achille Pace Ruggero Passeri Achille Perilli Lamberto Pignotti Michela Pozzi Marco-Luciano Ragno Ivana Spinelli Nello Teodori Franco Troiani Carla Viparelli Paola Zampa

 

Testi di: Gualberto Alvino Sissi Aslan Massimiliano Borelli Tomaso Binga Silvia Boero Marcello Carlino Palmira De Angelis Claudio Del Bello Gaetano delli Santi Donato Di Stasi Giuseppe Di Giacomo Alejandro Dolina Michele Michele Fianco Forum Enrico Frattaroli Massimo Giannotta Umberto Lacatena Eugenio Lucrezi Mario Lunetta Francesco Martin Marco Martinelli Stelio Maria Martini Annamaria Mazzoni Gianmarco Mecozzi Enzo Minarelli Francesco Muzzioli Luigi Nacci Gianluca Paciucci Elio Pagliarani Marco Palladini Erminia Passannanti Cetta Petrollo Lamberto Pignotti Davide Pinardi Angelo Pizzuto Antonio Pizzuto Antonio Poce Sandro Portelli Mario Quattrucci Alessandro Raveggi Juan Carlos Rodríguez Guido Ruzzier Marcello Sambati Edoardo Sanguineti Gianni Toti Antonio Tricomi Maria Turchetto


* Parliamo non di Poesia, ma della poesia, oggi e qui. Bene. Fino ad alcuni anni fa si dibatteva, con precisione intelligente o con confusa generosità, di avanguardia, di ricerca anticonvenzionale, di alea linguistica, di autoscienza critica. Si contrapponeva tutto questo a una pratica neo-arcadica, intimistica, patetico-viscerale, neoromantica, in una parola al lirismo, male endemico della nostra tradizione poetica. Poi iniziò il culto della Madonna Pellegrina, altrimenti detta Alda Merini, che in breve annoverò schiere pressoché infinite di devoti fanatici. La povera Alda, che a piccole dosi può anche essere una simpatica signora che magari con eccessiva facilità dà sul pittoresco, si trovò gravata della tremenda responsabilità di incarnare l’Icona della Poesia Lirica Immortale: e va pur detto che, bene o male, resse al durissimo onere. Molti critici accreditati la sostennero, l’editoria commerciale imprese a commercializzare (appunto) la sua opera, falangi di lettori vi si commossero sopra. La detestata avanguardia era finalmente sgominata e distrutta: il merinismo, che è tutt’altro che una novella forma di marinismo, aveva aperto più di qualsiasi altra esperienza di poesia “eterna”, pianure sconfinate alle pulsioni del cuore e alle malizie dell’eros...[continua] (Mario Lunetta )

* Poesia con la maiuscola? No grazie. Comprendiamo che la marginalizzazione della poesia e dei poeti, la loro esclusione dal mercato e la riduzione della poesia a “pratica di vita” e a lusso esornativo (per l’autore che se la deve pagare...) possa clonare la poesia, come se fosse l’altro dal capitalismo, l’alternativa assoluta. Ma non è così: la poesia come rifugio, rifugio dell’anima, come oasi dello spirito, separata dai flussi della bruta materia, non è che un’apparenza, una blanda medicina, un sostituto o supplemento – altrettanto sacralizzato – della religione. La “Poesia con l’aureola” (malgrado il buon vecchio Baudelaire) non ha smesso di obnubilare le menti dei sedicenti Poeti e di fargli scrivere versi seriosissimi e melensi. Ma non porta a nulla, se non a un minimo (ma una quota molto bassa) di “compensazione” del narcisismo personale. Perciò c’è ancora tanto bisogno di una poesia anti-lirica! (Francesco Muzzioli)

* È il Mall, il megacentro polivalente commerciale, il luogo ovvero (come direbbe Marc Augé) il non-luogo simbolo e topico della trans-modernità. Anche il teatro, o meglio lo spettacolo scenico assomiglia oggi ad un grande magazzino, ricolmo di merce teatrica, per lo più vanesia. L’offerta teatrale quanto più appare pletorica e retorica, indiscriminata, tanto più smarrisce una sua reale necessità. Ripenso, allora, a Jerzy Grotowski, alla sua maniacale applicazione di un metodo, al suo certosino lavoro di approfondimento antropologico, alla sua ricerca di ‘sorgenti’ culturali, al suo bisogno di una urgenza del fare teatrale: “Creare come se fosse l’ultima volta, come se subito dopo si dovesse morire”. È per questa ansia di grandezza, di assoluto, di definititività che, a un certo punto, Grotowski si è ‘ucciso’ come regista, si è negato allo spettacolo. Per vivere su un piano di sperimentazione di arte-vita più elevato. La stragrande maggioranza degli ‘spettacolanti’ odierni sopravvive, invece, in uno stato zombistico. Sono morti e non lo sanno. Forse, bisogna dirglielo.(Marco Palladini)

* Viviamo felicemente l’Era dei Festival. Festival della Musica (ovviamente), del Cinema (ovviamente), e poi delle Letterature, del Teatro, della Filosofia, della Scienza. Non disperiamo: avremo presto il Festival dell’Astrofisica, della Meccanica Fine, del Nucleare, della Chimica, dell’Intelligence, dell’Adulterio, del Terrorismo. E se allestissimo anche un Festival della Politica, anche se a ben vedere la suddetta, ridotta com’è, non farebbe che replicare se stessa?
I problemi sciorinati al popolo “colto”, un po’ cerretanescamente si direbbe, in pillole, in dosi controllate onde evitare qualsiasi rischio di effetto choc: questa è la linea che da noi attraversa oggi il continente Cultura. Il modulo è quello della platea televisiva, con l’Ospite d’Onore che magari non dice nulla di significativo ma la cui presenza fisica è sufficiente a incantare gli astanti, come un tempo i grandi predicatori o i più acclamati prìncipi del foro. Tutto questo emana un certo sentore di populismo, di incanto magico da cui è escluso ogni elemento politicamente scorretto. La manifestazione è accuratamente oliata; chi gestisce l’organizzazione si preoccupa in primis di un problema di acquiescenza da parte del pubblico ...[continua] (Mario Lunetta )


Pubblichiamo questo intervento di uno dei curatori apparso su Le Reti di Dedalus, la rivista on line del Sindacato Nazionale Scrittori: www.retididedalus.it


L'avanguardia è impossibile? Dunque, la vogliamo
di Francesco Muzzioli


Occorre rilanciare la sfida ‘per la modernità radicale e la scrittura antagonista’. Il che significa sottrarsi ai ricatti produttivi e categoriali del sistema editoriale. Decostruire il comune senso poetico e l’immaginario contemporaneo attraverso una prassi oppositiva, allegorica e artaudianamente ‘crudele’, che vada oltre i limiti e le convenzioni del letterario.

Articolare le formule. Se dovessi dirlo in formule, direi: per la modernità radicale e la scrittura antagonista. Ma cosa significano queste formule? A voler spiegarle in modo chiaro e trasparente, bisognerebbe ricorrere ai testi; però non si finirebbe più. Allora rimaniamo nel linguaggio teorico e nella sua concentrazione un po’ sloganistica; malgrado la quale, tuttavia, qualche precisazione è possibile, anche per togliere quell’aria saccente che tutte le formule inevitabilmente contengono. Perciò vado ad articolarle almeno un poco, le formule, il che vuol dire allargare il discorso.

Nella tenaglia dell’umanesimo cinico. Partirei da qui: l’ideologia ha sempre avuto due facce, una con i valori ideali che danno convinzione e legittimazione morale, e l’altra con la consapevolezza pratica di ciò che si deve fare per non cadere nel disordine. L’umanesimo e il pragmatismo; forse, si potrebbe dire la borghesia (il soggetto autoproclamato) e il capitalismo (il sistema meccanico). Ancora oggi è così: però le due facce mostrano la tendenza – tanto forte è diventata la contraddizione che devono coprire – a scollarsi tra loro e a presentarsi come opposti: fondamentalismo e cinismo, liberismo selvaggio e solidarietà del "politicamente corretto", e così via. Tra di esse si sta, come in una tenaglia, obbligati a scegliere (precisamente: sotto un ricatto morale). Una condizione a cui è difficile sottrarsi, ma da cui – nello stesso tempo – è assolutamente necessario sottrarsi (perché si tratta di un "miraggio ideologico" che distorce tutto). E specialmente in quell’ambito che si suole chiamare letteratura.

Contro la poesia dell’anima. Nell’ambito letterario le due facce del sistema si riconoscono facilmente nei generi della narrativa e della poesia. La loro "divisione del lavoro" risulta lampante: la narrativa è cinica, la poesia umanitaria. Il fatto è che le loro risorse sono completamente disuguali: addirittura si potrebbe dire che una esiste e l’altra no, tale è l’esclusivo privilegio dato alla narrativa nell’industria editoriale e nei suoi generi di consumo. In un sistema produttivo in cui l’umano in quanto tale sembra essere diventato in esubero, ecco là che il "miraggio ideologico" porta spontaneamente a considerare la poesia come l’antitesi del mercato: la poesia s’atteggia all’inconsumabile (l’eterno classico). La poesia si offre come espressione di quel vissuto personale che è accerchiato da tutte le parti dai media impersonali. Del Valore, circondato dai prezzi. La poesia come lingua dell’Anima, in un mondo che ne ha perduta una. Religione laica e antimerce immateriale (sublime), un cosiffatto senso comune poetico (basti vedere come vi si è convertito negli ultimi tempi un comico del corpo come Benigni...) finisce tutto in braccio a un misticismo di risulta dove la Poesia ha la maiuscola e si trasforma in puro valore umano. Croce docet.

 


Contrordini

di Felice Accame


In un saggio intitolato La fuga dalla parola – in Linguaggio e silenzio, edito in Inghilterra nel 1967, tradotto nel 1971 e oggi, dopo varie edizioni, ripubblicato da Garzanti -, l’osannato intellettuale George Steiner si concede alcune affermazioni aberranti. Venendo espresse in forme argomentative rare e concernendo un punto cruciale della critica metodologico-operativa, vorrei dedicar loro un minimo di attenzione. Non prima di aver inquadrato l’autore nei discorsi che gli sono congeniali.
Il fatto che, per lui, docente Wittgenstein, la filosofia sia "linguaggio in una condizione di scrupolo supremo" (Prefazione, 1966) e che, invece, "le scienze hanno aggiunto poco alla nostra conoscenza o al dominio delle possibilità umane", potrebbe esser già sufficiente per capire di che pasta è fatto, ma, a scanso di equivoci, è sempre bene ribadire. Allora: Steiner beatamente sostiene che "c’è maggior penetrazione del problema dell’uomo (…) in Omero, in Shakespeare o in Dostoevskij, che in tutta quanta la neurologia o la statistica", che "nessuna scoperta della genetica eguaglia o supera ciò che Proust sapeva del fascino o del fardello della discendenza" e che "gran parte della nostra condizione essenziale, interiore, è tuttora colta dal poeta" (pag. 19). Il tutto allietato da osservazioncelle dimostrative tipo quella che "nessun occhio occidentale, dopo Van Gogh, guarda un cipresso senza cogliere in esso il guizzo della fiamma" (pag. 24) o quella che "chi ha letto la Metamorfosi di Kafka e riesce a guardarsi nello specchio senza indietreggiare è forse capace, tecnicamente parlando, di leggere i caratteri stampati, ma è analfabeta nell’unico senso che conti realmente" (pag. 25). Come si vede, nel suo linguaggio a ruota libera – come sempre in questi casi – c’è assertività fino alla protervia, tipica dell’estetologo normativo e misticheggiante, indifferente ai poteri che serve. Lo direi anche se non mi ritrovassi "ahimé-orientale" e "analfabeta metaforico" (che, per Steiner, a quanto pare, è l’unico analfabeta che "conti realmente").
Nella Fuga dalla parola si parte dalla considerazione che "l’ineffabile si trova oltre le frontiere della parola", il che pare perfettamente tautologico, e che "soltanto infrangendo i muri del linguaggio la pratica visionaria può entrare nel mondo della comprensione totale e immediata" (pag.27) – dove il registro mistico-delirante spadroneggia – , per approdare alla trita banalità conoscitivistica in virtù della quale "un ramo d’indagine passa dalla pre-scienza alla scienza quando può essere organizzato in termini matematici" (pag. 31). E qui ci siamo.
Il confronto "scienza-poesia-meglio la seconda della prima" gli serve per pararsi il sedere in quanto "critico", ovvero per poter straparlare d’arte e quant’altro senza pagare il dazio di esplicitare un minimo di criteriologia e senza contrattare alcuna condivisione dei significati di ciò che dice. Sarebbe, allora, "arrogante" e "irresponsabile" richiamarsi al nostro modello attuale di universo (quanti, indeterminazione, costante di relatività, etc.) se non lo si sa fare nel linguaggio "adeguato" – ovvero in termini matematici (pag. 31). E pertanto "quando un critico cerca di applicare il principio di indeterminazione alla sua discussione dell’action painting o all’uso dell’improvvisazione nella musica contemporanea, non mette affatto in relazione due sfere di esperienza; sta semplicemente dicendo delle sciocchezze" (pag. 32). A questo punto vien voglia di rimangiarsi non dico tutto, ma almeno qualcosa sì. Vien voglia di scusarne i precedenti e considerarlo un bravo figliolo che, alla fin fine – nonostante tutto –, arriva da una conclusione sensata. D’accordo, coltiva un’idea di scienza conoscitivisticamente autocontraddittoria, prende il matematizzato per oro colato, vorrebbe imporre i propri canoni estetici urbi et orbi, ma, almeno, sa difendere il proprio orticello dall’assalto dei cretini più palesi.
Contrordine compagni. L’edizione odierna è arricchita di una nota. Che dice: "non sono più tanto sicuro che sia proprio così. Ovviamente la maggior parte delle analogie tracciate tra l’arte moderna e gli sviluppi delle scienze esatte sono ‘metafore non realizzate’, finzioni di analogia che non hanno in sé l’autorità dell’esperienza reale. Malgrado ciò, anche la metafora illecita, il termine preso a prestito pur se frainteso, può essere parte essenziale di un processo di riunificazione. (…) Le volgarizzazioni, le false analogie, persino gli errori del poeta e del critico possono essere una parte necessaria della ‘traduzione’ della scienza nell’abbecedario quotidiano del sentimento. E il semplice fatto che i principi aleatori nelle arti coincidano storicamente con la ‘indeterminazione’ può avere un significato genuino. E’ la natura di tale significato che dev’essere sentita e mostrata" (pag. 32). In pratica, dunque, autorizza ogni straparlìo e si affida all’evidenziazione del "può" per alludere a particolari condizioni in cui lui o suoi accoliti eletti lo giustificano o non lo giustificano. Nell’"abbecedario del sentimento", d’altronde, c’è posto soltanto per quella indefinitamente misteriosa sensibilità – un po’ filosofica da qualche anno a questa parte – che, rispetto al capire ed al farsi capire, ha tanto rivalutato il sentire e il mostrare.

Post scriptum
Com’è noto, in un’intervista alla "Frankfurter Allgemeine Zeitung", il 12 agosto 2006, Günther Grass ha rivelato di aver fatto parte delle Waffen-SS.
Ora, si dà il caso che in Linguaggio e silenzio di Steiner ci sia anche il posto per una Nota su Günther Grass medesimo. In essa, fra l’altro, vi si può leggere che "Grass è spietato nei confronti della Germania post-bellica, di quel miracolo di amnesia e di astuzia con il quale i tedeschi occidentali si liberarono del passato e guidarono le proprie Wolkswagen nell’alba nuova" (pag. 120) e che "nei suoi due grandi romanzi Grass ha avuto il coraggio, la mancanza indispensabile di tatto di evocare il passato" (…) "Come nessun altro scrittore, ha deriso e sovvertito il placido oblio, l’autoassoluzione che si cela sotto la rinascita materiale della Germania" (pag. 123). Vatti a fidare: quando si dice che il silenzio avrebbe fatto bene a predominare sul linguaggio. Tutte cose che oggi, Steiner come chiunque altro intellettuale, si guarderebbero bene dal dire o dal dirle così. Aspetto pertanto con ansia una nuova edizione del libro in cui almeno una noticina inizi dicendo:"non sono più tanto sicuro che sia proprio così".

 

 

 


AA.VV.
ALMANACCO ODRADEK 2003
A cura di Mario Lunetta, Francesco Muzzioli, Sandro Sproccati

Non chiamiamola avanguardia; la sua stagione è conclusa ed è ormai materiale per periti settori.
Ma qualcuno dovrà pur tener conto delle voci che non si adattano, e dare ragione delle nuove strade tentate, di una serie plurale di antagonismi estetici, della ricerca sperimentale e delle forme che la poesia produce, dei nuovi suoni, delle lingue provate, iterate e compitate, della protesta, della prospettiva interculturale, e di quel comico-parodico che...
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pp. 304€ 17,00


AA.VV.
ALMANACCO ODRADEK 2004
A cura di Mario Lunetta, Francesco Muzzioli, Sandro Sproccati

In questo almanacco nessuno ti prende per mano, nessuna classificazione minaccia il lettore (nessuna “testa di serie” – gli autori se ne stanno almanaccati in ordine alfabetico) il grafico è tenuto a freno e non deborda, le pubblicità sono gratuite e per invito.
Già, le pubblicità. Ci sono pubblicità di librerie, gallerie, riviste; vini e liquori, ma solo di quelli che bevono i curatori e l’editore; insomma, il lettore...

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pp. 304 € 17,00


AA.VV.
ALMANACCO ODRADEK 2006
A cura di Mario Lunetta e Francesco Muzzioli

Felice ACCAME Armando ADOLGISO Bruno ALLER AMIRI BARAKA Luca BAIADA Mariano BÀINO Luigi BALLERINI Gianfranco BARUCHELLO Maria Adelaide BASILE Charles BERNSTEIN Aldo BERTOLINI Beniamino BIONDI Luigi BOILLE Franco CAPASSO Katia CAPPELLINI Carola CATENACCI Franco CAVALLO Gianluca CINELLI... ...


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pp. 304 € 20,00


AA.VV.
ALMANACCO ODRADEK 2007
A cura di Mario Lunetta Francesco Muzzioli Marco Palladini

Immagini di: Bruno Aller Amir Amirsoleimani Bertolini Boille Andrea Bonaventura Marie Laure Colasson Consolazione Bruno Conte Adriano Di Giacomo Baldassarre Dionisi Udo Dziersk Renato Fascetti Frare Frolet Gaggia Giunta Grimaldi Lorenzetti Mario Lunetta Edolo Masci Mastragostino Patrizia Molinari Giancarlo Montelli Manlio Monti Pace Passeri Perilli Lamberto Pignotti Pozzi Ragno Spinelli Teodori Troiani Viparelli Paola Zampa


Testi di: Gualberto Alvino Sissi Aslan Massimiliano Borelli Tomaso Binga Silvia Boero Marcello Carlino Palmira De Angelis Claudio Del Bello Gaetano delli Santi Donato Di Stasi Giuseppe Di Giacomo Alejandro Dolina Michele Fianco FORUM Enrico Frattaroli Massimo Giannotta Umberto Lacatena Eugenio Lucrezi Mario Lunetta Francesco Martin Marco Martinelli Stelio Maria Martini Anna Maria Mazzoni Gianmarco Mecozzi Enzo Minarelli Francesco Muzzioli Luigi Nacci Gianluca Paciucci Elio Pagliarani Marco Palladini Erminia Passannanti Cetta Petrollo Lamberto Pignotti Davide Pinardi Angelo Pizzuto Antonio Pizzuto Antonio Poce Sandro Portelli Mario Quattrucci Alessandro Raveggi Juan Carlos Rodriguez Guido Ruzzier Marcello Sambati Edoardo Sanguineti Gianni Toti Antonio Tricomi Maria Turchetto


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pp. 304 € 22,00

 

 

 

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