20 aprile 2018
Se le Edizioni Odradek non esistessero, bisognerebbe fondarle.
Possiamo, però, risparmiarci la fatica perché fortunatamente esistono, lo dice uno come me che è lontano politicamente da parte di quel catalogo, ma che ne ammira un’altra parte, peraltro cospicua, che affronta temi storici - specie dall’angolatura antifascista - con libri che altrove non spesso si trovano. Ciò è dovuto a Claudio Del Bello che la dirige, intellettuale lucidissimo; mi fa rabbia non pensarla come lui e spero (invano) che anche a lui faccia rabbia non pensarla come me.
Anche quella parte di catalogo che mi vede lontano da certi titoli, va detto che sono libri condotti da autori di grande onestà intellettuale. Non è cosa di tutti i giorni.
Altro merito di Odradek è dare spazio ad autori di giovane età che - a dispetto dei parrucconi i quali parlano malissimo di tutti, proprio tutti, i giovani - dimostrano di essere capaci di studi serissimi.
È il caso di Laura Bordoni autrice di Il caso Roatta
Armando Adolgiso su www.nybramedia.it Sez. > Cosmotaxi in occasione della recensione a Il caso Roatta.
Al quale così abbiamo risposto:
Caro Armando,
la Storia si espande nel catalogo e cannibalizza
quelle parti - la Politica - che non riescono a resistere
ai colpi della Realtà. O si fa Storia, di tutto - arte, letteratura,
cinema e … politica - prima di ogni contesto, oppure meglio tacere.
Mica vero che siamo così distanti...
|
«Sono cresciuto a libri Odradek» fa un signore guardando compiaciuto alcuni settori sul banco, alla Fiera della piccola e media editoria. Ha acquistato due libri che gli mancavano. E se ne è andato lasciandoci sgomenti, improvvisamente gravati da responsabilità insospettate. |
Salerno, 14 ottobre 2015, conferimento laurea magistrale ad honorem a Cesare Bermani.
Ci piace così, il Chiar.mo Prof. Cesare Bermani, in jeans, senza tocco e col fiocco anarchico di sghimbescio.
Avevamo messo questa ammiccante immaginetta di un albero di Natale piantato su una pila di libri, con la stella sostituita dal nostro chiodo a quattro punte. Ma poi ci arriva questa intemerata dalla libreria ODRADEK di MILANO, dura e pura, contro il dono comunque, tanto più se imposto per tradizione più o meno religiosa.
Nessuna eccezione? Un libro… no?
Cominciamo con il cambiare una data
«La festività del Natale rappresenta al contempo l’esito felice di un’attesa fiduciosa e un incubo. L’inesorabile meccanismo perverso del dono ci schiaccia tutti – impoverendoci, materialmente e spiritualmente perché con il dono si tacita la coscienza per tutta la ricchezza perduta in relazioni mancate.
Più che il simbolo di una nascita, Natale è il giorno in cui il sistema capitalistico si riappropria di ciò che ha fatto finta di darci in cambio della croce di un lavoro ansiogeno e sempre più frustrante.
La libreria Odradek, pertanto, vorrebbe sfruttare la circostanza del tipo di Papa che governa oggi la Chiesa – questo Papa Francesco così deciso a un cambiamento - e suggerirgli umilmente – a lui che può – di cambiare data al Natale. Il Gesù che conta – per noi, come per lui -, d’altronde, può esser nato anche in un giorno che può tornare ad essere qualsiasi. E’ un invito a troncare ogni connivenza con il tripudio del mercato, a liberarsi dalla responsabilità del complice e, infine, a non fornire più alcun alibi a nessuno.»
Natale 2015 |
Il 25 maggio ci ha lasciati Walter Peruzzi. Un ricordo di Odradek.
Ho conosciuto Walter come editore, in occasione della pubblicazione dei suoi libri. È con riferimento a questa circostanza che posso parlarne. Sapevo del suo passato di militante. Fatemelo dire, uno dei tanti che fummo. Con una differenza importante, però: il suo impegno come promotore e organizzatore di tante riviste come “Lavoro Politico”, “Marx 101”… e l'ultima, la fondamentale e longeva "Guerre&Pace" che, con "Giano" di Luigi Cortesi, è stata ed è un presidio critico - e altri non ce ne sono stati - sul fronte della geopolitica e dell'informazione contro le guerre.
Negli incontri per Il cattolicesimo reale, e poi in quelli per Il gioco dell'oca, stavamo dalla stessa parte del tavolo, non avevamo bisogno di guardarci per parlare il gergo antico della tipografia.
Non che fosse irenico, era tosto, anzi scorbutico e pronto alla vertenza, eppure i due libri sono usciti come frutto di una collaborazione effettiva, e Il gioco dell'oca l'ha scritto con altri tre coautori. Scorbutico e causidico, eppure l'ho visto discutere con dom Franzoni e don Mazzi, perché la sua preparazione è solida, i suoi libri sono strutturati.
Laureato in Filosofia alla Cattolica di Milano, conosceva il proprio oggetto dall'interno e ne padroneggiava i dispositivi logici. Il "compagno tomista", scherzavo. Soprattutto Il cattolicesimo reale è una lunga argomentazione, seria e documentata che intreccia temi garantendo nei confronti dell’unilateralità e dell'ideologia più o meno consapevole, assicurando una restituzione complessiva dell’oggetto.
Il Cattolicesimo reale è un libro aperto e amichevole per i suoi lettori, in cui cioè l’architettura non è vincolante perché l’impianto non è deduttivo, perché permette di entrarvi, e ritornarvi, da molte parti, grazie a numerosi apparati e a un generoso Indice analitico. Per questo, molti cattolici lo hanno preso in considerazione.
Laici e credenti uniti nella lotta? Non proprio, ma per una maggiore comprensione, per la possibilità di dialogo: nel pubblico, nella politica, nel sociale, nel dibattito culturale, nella ricostruzione scientifica. Intransigente, ma con una certa cortesia.
D’altra parte questo di Peruzzi è un libro difficile da metabolizzare in poco tempo, proprio come il suo autore. Credo anzi che debba essere un livre de chevet, cinque pagine da leggere prima di addormentarsi. È così che tengo il suo libro. Un libro di consultazione, non un libro di storia, ma un libro in cui cercare gli antecedenti e le modificazioni di ciascuno di quegli impedimenti, di quegli impacci che hanno limitato e limitano non solo la libertà del cittadino ormai laico, ma anche quella del credente, o per lo meno di quei credenti che considerano la fede non un limite ma una risorsa per lo sviluppo della persona.
I libri che ha scritto, le riviste che ha fatto. Ci resta molto di lui.
CDB, 28 maggio 2014 |
***
Con soddisfazione
riportiamo la dichiarazione di Davide
Vender - patron della libreria
Odradek di Roma, via dei Banchi
vecchi 57 - rilasciata a Liberazione di domenica
13 giugno, p. III. Unica voce dissenziente in uno speciale
intitolato La Pantera siamo noi, acritico e autoreferenziale.
«Non è vero che il movimento della Pantera
è stato rimosso. Molto più semplicemente,
non viene ricordato come gli altri movimenti che lo hanno
preceduto, perché non è riuscito a modificare
di una virgola i rapporti di forza, per es. rispetto alla
riforma Ruberti che apriva la strada alla privatizzazione
della ricerca».
D'altra parte, «il movimento della Pantera
ha prodotto due soggetti: uno dei peggiori
ceti politici che la sinistra, cosiddetta radicale,
abbia mai avuto; e molti personaggi oggi in vista nella
sfera della comunicazione, che in quel movimento
giocarono un ruolo da protagonisti... Ma l'onda lunga del
68-69 ha prodotto molte conquiste incidendo sui rapporti
materiali del Paese: statuto dei lavoratori, divorzio, aborto...
La Pantera cosa ha fatto, se non addestrare un
nuovo ceto politico?». Amen. O.,
14 giugno 2010
*
Coccodrilli
tiberini
- Non hanno aspettato nemmeno un giorno per fargli
questo straordinario elogio,
"forse" involontario.
«Saramago
è stato dunque un uomo e un intellettuale
di nessuna ammissione metafisica, fino all'ultimo
inchiodato in una sua pervicace fiducia nel materialismo
storico, alias marxismo. Lucidamente autocollocatosi
dalla parte della zizzania nell'evangelico campo
di grano, si dichiarava insonne al solo pensiero
delle crociate, o dell'inquisizione»,
Claudio Toscani su
l'Osservatore romano di oggi, con il corpo
ancora caldo di José Saramago.
*
Coccodrilli,
sciacalli, ... Per un commento puntuale
e senza sconti all'articolo dell'Osservatore
romano, si veda Quando volano gli avvoltoi
di Walter Peruzzi,
sul suo blog.
E poi, cosa
pensava Saramago di Berlusconi?
|
***
Oh Capitano! mio Capitano!
la tenzone tremenda è finita
ogni tempesta ha superato la nave, ma del premio ti hanno
orbato,
il popolo esulta, suona trombe, agita mazzi di fiori e ghirlande
innastrate,
masse ondeggianti, volti fissi impazienti, ma ti hanno freddato,
la nave è all'ancora salva, il viaggio è finito,
e reca il tuo corpo oltraggiato da una firma, in calce
Rive esultate, e voi squillate, campane!
Io con passo angosciato cammino sul ponte
Dove è disteso il mio Capitano
Caduto morto, freddato, a Maggio,
dal torvo gran Bastardo, non di pelle ma di sangue reale.
Di Maggio. Of course.
***
Riflettendo sul 25 aprile:
un
editoriale di Walter
G. Pozzi su Paginauno
Uno
dei libri che meglio rappresentano la nostra casa editrice
è IL
NEMICO INTERNO. Guerra civile e lotta di classe in italia
(1943-1976) di Cesare Bermani. Ha quasi
esaurito la seconda edizione, ma è stato osteggiato
dalle associazioni partigiane e da tutti coloro che si riconoscevano
nella vulgata resistenziale. Posizioni unilaterali
e storiograficamente insostenibili e che ora, davanti al
clamoroso collasso dei valori della Resistenza, mostrano
tutta la loro carica fallimentare. Walter
G. Pozzi, nel suo editoriale, riprende a considerare
il valore euristico e interpretativo della nozione di "guerra
civile" in quanto, lungi dal sostituire il conflitto
di classe, ne costituisce il necessario prodromo. O.,
26 aprile
Riflettendo
sul I maggio:
Ultimo
maggio, di Alessandra
Daniele su Carmilla
un
de profundis di Francesco
Piccioni su il
manifesto
VOGLIONO
FARE LA FESTA AL LAVORO
Francesco Piccioni
Questo Primo Maggio cade nel momento più critico
che il mondo del lavoro si trova ad affrontare da oltre
40 anni. La crisi economica globale ha effetti devastanti
soprattutto su quei paesi «maturi», come il
nostro, in cui l'imprenditoria ha colto al volo le occasioni
della globalizzazione per disinvestire nella struttura industriale,
delocalizzando, e per prendere possesso di posizioni monopolistiche
che la privatizzazione del «pubblico» ha generosamente
messo a disposizioni di «capitani» e caporali
senza alcun coraggio. La crisi accelera i processi, disgrega
i soggetti più deboli, svuota culture e istituzioni
che avevano retto dignitosamente fino a un attimo prima,
seleziona «complici» e «refrattari»
nelle fila dei sindacati e nella massa dei «dipendenti».
Chi lavora misura la portata della crisi in termini di posti
perduti (367mila in un anno, in Italia), cassa integrazione
a valanga, salari che non mantengono il potere d'acquisto,
contratti «volatili» secondo l'uzzo del padrone
di turno. La misura anche nella paura che vede negli occhi
del vicino, nel senso di impotenza che si innesta e matura
di fronte a fenomeni di dimensioni inconcepibili; e che
nessuno sembra ormai saper spiegare con parole comprensibili
ai più.
La Fiat - «finalmente» configurata come una
multinazionale - detta la linea: si investe solo là
dove i sindacati garantiscono la massima flessibilità
di utilizzo della manodopera e i governi «facilitano»
l'impresa con un quadro normativo disegnato appositamente.
Altrimenti si chiude e si va da qualche altra parte; non
c'è problema, anzi «il problema è vostro».
Il lavoro come «fattore della produzione» -
non come soggetto vivo, fatto di corpi, vite e aspettative
- non deve più avere diritto di parola sulla gestione
dei processi, né sulle scelte fondamentali di carattere
economico. Si contratterà ancora, naturalmente; ma
l'agenda e la piattaforma le fissa Confindustria. Al massimo
si potrà attenuare qualcosa qui o là.
Il governo - nel solco di un ventennale smantellamento di
diritti e garanzie - vorrebbe arrivare a chiudere il cerchio
con un «nuovo diritto del lavoro». Il «collegato»,
le norme sull'arbitrato, gli enti bilaterali ridisegnati
in chiave corporativa, l'ulteriore proliferazione delle
tipologie di contratto «precarie»... Tutti anelli
di una catena che deve portare il singolo lavoratore a restare
nudo e indifeso davanti alle «esigenze della competitività».
Non stupisce che nei posti di comando, nella tessitura della
«nuova legalità», si ritrovi una folta
schiera di ex socialisti «craxiani» - la specificazione
è d'obbligo - che sta usando le competenze acquisite
nella militanza interna al mondo del lavoro per annullarne
ruolo e autonomia.
E siccome i simboli hanno una forza incomprimibile, anche
il Primo Maggio è finito sotto tiro. «Aprano
i negozi ed i centri commerciali», intanto. Poi faremo
altrettanto con le fabbriche, se ci va. O appena possibile.
Non lo si fa perché un giorno di lavoro in più
cambi qualcosa nel calcolo finale del Pil, ma per dimostrare
- con uno sfregio simbolico in più - che «voi
massa pezzente non contate niente». E se il Novecento
vi aveva illusi, beh, è ora che torniate al vostro
posto. In silenzio e senza canti che riempiono la testa
di speranze e il cuore di orgoglio.
I «poteri forti», da anni, stanno «facendo
la festa» al lavoro. Questo Primo Maggio può
essere una buona occasione per accorgersene. Prima lo si
fa, prima si arresta la caduta.
***
Parlamentari.
Ieri Giuseppe Tamburrano,
alla presentazione del libro
di Leo Solari alla libreria Odradek, raccontava
di aver trovato, tra le carte di Pietro Nenni,
una lettera di Riccardo Lombardi nella
quale il leader della sinistra socialista chiedeva al segretario
del partito, dovendo affrontare un'operazione chirurgica
a proprie spese, di venire temporaneamente esentato dal
versare nelle casse del partito la metà del proprio
stipendio di parlamentare.
A proposito di parlamentari.
Oggi, in rapida successione: l'on. Vittorio Sgarbi
ha dichiarato che «il trans vero è Casini
in base al ragionamento che l'amante ideale è quella
che cambia sempre posizione». Dove la vertigine è
data dall'uso del termine "ragionamento"; l'on.
Daniela Santanché ha dichiarato:
per fare carriera «non l'ho mai data... La verità
è che piaccio alle donne perché sono un uomo»;
l'on. Alessandra Mussolini, a proposito
dell'on. Santanché, ha dichiarato: «la Santanché
si limiti a scaldare la poltrona che ha gentilmente quanto
misteriosamente ottenuto e lasci lavorare il Parlamento».
Ci si sente inzaccherati,
alla fine della giornata.
O.,
19 marzo
***
La
strage è di Stato, di Stato,
di Stato... Oh yes!
È
uscito sul Corriere della sera un articolo di Luigi
Ferrarella - qui
- doppiamente rimarchevole e straordinario, che già
nel titolo - «Una strage senza colpevoli»
L'ultimo falso di Piazza Fontana - riassume l'argomentazione:
non è vero che «la verità è ignota»,
che «la strage sia senza paternità»,
che i misteri non siano stati totalmente diradati - dando
con ogni evidenza sulla voce al presidente Napolitano, che
invece esorta a continuare la ricerca. E fa i nomi di Freda
e Ventura, Zorzi, Maggi, Rognoni; dà per acclarati
le coperture e i depistaggi operati da
consistenti apparati dello Stato - Maletti e Labruna -,
il ruolo dei servizi Usa la cui catena di comando ha sempre
controllato l'intera operazione. Insomma,
con questo ineccepibile ancorché tardivo articolo,
il Corriere si chiama fuori - «Se poi
i liceali di oggi ignorano chi siano Valpreda, Pinelli o
Calabresi, e attribuiscono la strage di piazza Fontana alle
Brigate rosse, questo va sul conto di un’informazione
adagiatasi negli anni sui propri comprensibili meccanismi
di routine, che per definizione rendono poco notiziabile
una vicenda così lunga e segnata da esiti così
altalenanti» - con molta autoindulgenza, e molta
amnesia. Come se non avesse sbattuto il mostro Valpreda
in prima pagina, e non avesse gestito per decenni, in senso
antioperaio ed eversivo, la "strategia della tensione"
e alimentato il putridume della "maggioranza silenziosa".
Comunque, meglio tardi... Parlare di strage di Stato
e strategia della tensione, ora si può.
Non è da estremisti. Tuttavia, anche in questo articolo
si omette di ricordare come sia stato questo
libro a rappresentare il vademecum
per tutti coloro che si sono accinti ad indagare - come
riconosciuto dal giudice Guido Salvini.
O.,
13 dicembre 2009
***
Il
2 settembre Luigi
Cortesi è morto
Valente
storico contemporaneo, è stato, per noi, soprattutto
un grande, straordinario direttore di rivista. GIANO
pace ambiente problemi globali, da noi edita dal
numero 34 al numero 57 – ultimo numero con il quale
ha cessato la pubblicazione – è stata una eccezionale,
innovativa e longeva proposta nella quale uno storico di
formazione si è aperto non tanto alla geopolitica
quanto ai problemi dell'ambiente. Una rivista che ha individuato,
dapprima nella morte nucleare e poi nello sviluppo comunque
insostenibile, il limite oltre il quale l'umanità
si avvia se non all'estinzione, certamente alla barbarie.
Una significativa scelta di queste tematiche la si può
trovare in L'umanità
al bivio.
Il pianeta a rischio e l'avvenire dell'uomo.
Odradek
edizioni,
2 settembre
In
ricordo di un amico
E’ sempre faticoso e doloroso parlare
di un amico che ci ha lasciato. Altri potrà illustrare
meglio di me quello che fu forse l’impegno centrale
della vita di Gigi, come storico militante, attento e critico,
del movimento operaio - dagli anni Cinquanta-Sessanta, quando
fondò e diresse ancora giovane, con Stefano Merli,
la Rivista storica del socialismo, che tanto ha
innovato la ricerca storiografica italiana, fino alle opere
più recenti, come quella sulle origini del PCI e
a quel libro sulla storia del comunismo (che ci attendiamo
di vedere apparire fra breve), cui ha atteso infaticabilmente
durante gli anni della malattia, riuscendo a concluderlo
a pochi giorni dalla morte.
Per parte mia mi piace ricordare il suo contributo al movimento
per la pace o, come amavamo dire, contro la guerra, che
fu all’origine della nostra collaborazione e della
nostra lunga amicizia, iniziata alla fine degli anni Ottanta.
Con Balducci e Fortini, per ricordare qui soltanto quelli
che prima di lui ci sono mancati, Gigi fu fra i promotori
del “Comitato Golfo” nato durante la prima guerra
contro l’Iraq e poi della campagna contro l’embargo.
Dal 1993 data la collaborazione costante e feconda, nel
corso di molte iniziative, fra Guerre&Pace,
rivista di informazione internazionale alternativa, nata
in quell’anno, e Giano, in cui Gigi profuse
grandissima parte delle sue energie da quando la fondò,
nel 1989, come strumento per una riflessione, da un’ottica
marxista e leninista innovativa e critica, sui problemi
della pace, della guerra e dell’ambiente nell’età
della globalizzazione.
L’auspicio è che questa parte non secondaria
del suo progetto e del suo contributo alle battaglie del
movimento operaio, cui dedicò la vita, possa continuare
grazie all’impegno e alla qualità dei molti
collaboratori raccoltisi, nel corso degli anni, intorno
alla rivista.
Walter Peruzzi,
3 settembre
***
Ciao Pd - Dopo il
Libro nero del comunismo e il Libro nero delle Brigate Rosse,
arriva il manifesto nero del Partito Democratico. Nero,
una striscia laterale tricolore e la scritta bianca “ciao
ragazzi”. Non siamo più negli anni Trenta,
ma propongo di rispolverare la terminologia della Terza
Internazionale e chiamare le cose con il loro nome: socialfascisti.
Del resto, in questo paese fa scandalo, tanto che viene
fatto tacere con la forza, un cittadino che dentro una cattedrale
grida “Pace Subito”. Avesse detto “Fuori
i mercenari dall’Afganistan”!, ma “Pace
Subito”, in una Cattedrale... l’ultimo dei cattocomunisti.
M.C.,
22 settembre 2009
***
Meglio il silenzio di un bisbiglio
- Ci arriva, non richiesto, un giornale on line - Dazebao
- niente di che, rimasticature d'agenzia, dilettanti allo
sbaraglio, senso comune preteso di sinistra, pezzi contro
i musei polverosi - ci siamo capiti. Oggi, a firma di tale
Vincenzo Bisbiglia, esce la
notizia relativa allo scontro tra ronde avvenuto a Massa
Carrara. La si può leggere qui.
Chi vuole un resoconto professionale e preciso, può
leggere qui
quello dell'ANSA. Il Bisbiglia riconduce l'accaduto agli
opposti estremismi - che lui chiama "contrapposizioni
storiche" - attualizzando, anzi psicosociologizzando
lo scontro con «il cinico desiderio insito nell’uomo
moderno di “rompere il sedere” al prossimo».
Un modo carino di anticipare le prove di guerra civile in
atto. Mentre fa i nomi dei compagni precisando il gruppo
di appartenenza, tralascia di fare quelli dei fascisti omettendo
di dire che sono di La Destra. Tace anche della sinergia
tra ronda di destra e polizia, che infatti ha arrestato
solo "quelli" di sinistra. Bravo Bisbiglia, bravo
Dazebao: direttore responsabile Alessandro
Cardulli. CDB,
26 luglio 2009
***
Toghe
rossonere -
Passano
i millenni, i secoli, i decenni. Tutto cade, c’è
chi rimane. Aggrappato al suo scoglio, nemmeno scalfito
dall’analogia che la sua postura sollecita con i soldati
dimenticati dal Sol Levante in qualche isola sperduta. Il
procuratore di Torino, Giancarlo Caselli, ravvisa una «organizzazione
paramilitare» negli squinternati scontri dell’Onda
nella sua città. E arresta persino chi reggeva uno
striscione di testa in quella manifestazione malpensata.
È palese il fremito «antiterrorista»
che l’anima. Da sillogismo liceale, la sua equazione:
oggi tirano pietre, domani spareranno. Non li capisce. Non
sa che in quell’Onda «che non vuole risacca»
non c’è nulla che ricordi un progetto, assunzione
di responsabilità, contraddizione antagonista. Ma
attacca lo stesso, Don Quijote della legalità metafisica,
che pure osteggia quando si dirige a ridurre la sua potenza
investigativa. Uomo di un altro mondo, zombie di un partito
e una cultura che non c’è più, ripercorre
sentieri che gli sembrano familiari ma che non hanno più
una traccia sotto.
Lo ringrazia soltanto il suo nemico ufficiale, quello che
l’ha sempre sottinteso quando ululava contro le «toghe
rosse». A un passo dall’abisso, in odor di defenestrazione,
Berlusconi si stampa in faccia il suo ultimo sorriso. «Che
cretini questi ex-Pci – deve essersi detto –
proprio ora che mi vendo pure Kakà, si propongono
come toghe rossonere». Casimiro,
6 luglio 2009
***
Sembra
che il Templare togato, il Monaco soldato (Giancarlo Caselli,
e chi sennò?) abbia voluto fare un grazioso dono
al Tragico pagliaccio riconoscendo nel contempo una qualche
dignità ai pagliacci della cosiddetta Onda. Forse.
In ogni caso, sembra una puntata di Dilettanti allo sbaraglio.
Uno stupido diversivo, che comunque aggraverà il
vero sisma dell'Aquila - con effetti devastanti per l'intero
Paese - atteso per domani. Augh. O.,
7 luglio 2009
***
Agr,
6.6.09. Benedetto XVI:
«Traccia della Trinità è nel genoma
di ogni uomo». Ma
con le biotecnologie sarà possibile intervenire con
successo già nel feto.
***
A villa Certosa,
in scena la commedia degli equivoci.
Il
pixello di Topolanek ovvero
la fisiognomica delle orge
Titolano
i giornali
Pdl contro i servizi: "E se invece fosse stato
un fucile?". Il pisello di Topolanek? No, l'obiettivo
della macchina fotografica. Ma
Topolanek nega di essere lui: "Un montaggio fotografico".
Però la segretaria l'ha riconosciuto. E da cosa mai,
visto che il volto è pixellato?
***
Con le veline, presidente a vita! Sostiene
Antonio A.
che, abbandonata l'idea del referendum, farà votare
una legge elettorale che abbassa il limite d'età
a 16 anni e mezzo, ma solo
per le donne.
I
più recenti sondaggi lo dànno al 40%. Se vuole
veramente dilagare nel cuore degli elettori italiani, non
gli resta che farsi sorprendere in flagrante abuso di un
bambino.
***
Citazioni colte Marina
e Piersilvio hanno decantato le doti di grande educatore
di cotanto padre. Alberto Sordi, Polvere di stelle,
«Avete superato i ventun'anni, è tempo
che sappiate chi è veramente vostro padre»
«Ho
dovuto fare tutto da me, come al solito ho tirato la carretta
da solo». Silvio Berlusconi, Libero,
8 giugno 2009.«M'hanno
restato solo, sti quattro cornuti». Vittorio
Gasmann, in L'audace colpo dei soliti ignoti, Nanni
Loy, 1960.
POVERA
ITAL
Il
partito democratico ha cominciato da qualche giorno
la campagna elettorale e i primi manifesti hanno
tappezzato le maggiori città italiane. Inizialmente,
guardandoli, pensavo a un errore da parte degli
attacchini: càpita, neanche io quando attaccavo
i manifesti ero perfetto. In più, ho pensato,
qui si tratta di un manifesto doppio, per cui può
capitare che la parola venga tagliata. Poi ho capito.
La parola del manifesto di punta scelto dal Pd per
le Europee non si legge di proposito. Il manifesto,
infatti, ritrae un gruppo di persone che spinge
con forza la locuzione fuori dal quadro visivo,
lasciandone in evidenza poco più della metà:
INQUINAM, DISOCCU,
POVER.
La domanda che viene spontaneo farsi è: che
cosa si vuole comunicare, che forse si è
in grado di eliminare questi problemi attraverso
il voto, oppure che lo si sta già facendo
e dunque si fotografa una situazione in itinere?
Pensandoci bene, però, sorge una seconda
domanda: ma davvero aiuta troncare le parole? Davvero
è indice di modernità elidere i lemmi
e lasciare al passante il compito di completarli?
Perché la sensazione, del tutto sgradevole,
è che il Pd non sappia neanche più
scrivere per esteso un problema, e che il grande
tappeto sotto il quale il berlusconismo sta nascondendo
le cose, obnubilando le menti degli italiani, ha
coperto anche gli ex sinistri, rendendoli incapaci
di dire non già una cosa di sinistra, che
sarebbe pretendere troppo, ma proprio di parlare.
Marco
Clementi, 26 aprile
|
Da
l'Aquila
Il
giorno dopo, 7 aprile, avevamo scritto:
Caro
M.,
se puoi, se credi, fai arrivare ai tuoi corrispondenti
- dopo averli rassicurati sulla tua salute - indicazioni
sul modo di attivarsi.
Un caro saluto.
Oggi,
28 aprile, giunge la risposta:
Carissimo,
ti rispondo con notevole ritardo perché solo
ieri ho potuto recuperare il mio PC e, con una "chiavetta",
riattivare la mia casella di posta. Ti ringrazio
per l'interessamento: io e la mia famiglia ce la
siamo cavata perdendo "solo" la casa (non
è crollata, ma ci vorranno molto tempo e
molti soldi - molti di più di quanti io ne
abbia o di quanti pare ne stanzi il governo - per
rimetterla in sesto). Quel che per il momento si
può - si deve - fare è demistificare
l'inganno del Grande Sciacallo, del suo governo
e del suo manutengolo B. Puoi immaginare da te quale
mole e quale risma di interessi si sta muovendo
per la cosiddetta ricostruzione, in vista della
smentita ma mai dismessa idea della new town. Chi
la sua accumulazione originaria l'ha fatta da palazzinaro
sa bene quali sono le corde da toccare in circostanze
del genere per favorire lobbies ed attrarre consensi
(con stampa, televisioni e "opposizione"
tutte ovviamente allineate e coperte). Per il resto
ti posso dire per esperienza diretta che la protezione
è un grande bluff, un centro di potere clientelare,
che si risolve al meglio nella somministrazione
dei pasti. Il
lavoro vero, tempestivo e costante, lo stanno facendo
i Vigili del fuoco, che infatti sono incazzatissimi
di prendere ordini da quell'incompetente di B. E'
gravoso e difficile far emergere la verità:
stiamo formando dei comitati per aree tematiche
e per quartieri, ma scontiamo una enorme difficoltà
di comunicazione (anche tra di noi: chi sta nei
campi, chi sulla costa, chi altrove, e non si hanno
più le agende con i numeri telefonici).
Insomma è un bel casotto...
Grazie ancora, M.
|
De
Terrae Motu
La
polarizzazione è evidente: da una parte i cittadini,
dall'altra quell'ibrido di consumatori-spettatori-sudditi,
precari fin nell'identità, che costituisce
ormai la maggioranza del paese.
Per i primi, nelle tasse sono comprese le risorse
da destinare alle eventuali emergenze costituite da
calamità naturali, restando inteso che è
lo Stato a organizzare le competenze e le conoscenze
di cui dispone, e soprattutto a dirigere gli aiuti
alle popolazioni colpite, nella dignità degli
scampati a cui viene riconosciuto un diritto.
Per i secondi le catastrofi naturali sono una primaria
occasione di spettacolo da seguire in diretta,
in cui gli aiuti convergono per mille rivoli (sms,
riffe, collette rionali, donazioni, devoluzioni e
liberalità incontrollabili) entrando anch'essi
a far parte dello spettacolo, e in cui gli scampati
da cittadini vengono derubricati in stereotipi: naufraghi,
terremotati, ecc., che chiedono al Tragico Pagliaccio
di essere aiutati, di non essere abbandonati.
|
Giunge a proposito una mail anonima
che invita alle sottoscrizioni. Prima di cestinarla,
si è riusciti a risalire al mittente: un piccolo
costruttore. E allora è partita la seguente
risposta:
Elemosine
e mazzette
Egregio
Vincenzo,
la sua missiva anonima è un effetto collaterale
delle calamità naturali in questo disgraziato
paese, in cui convivono fascismo, leghismo, cattolicesimo
ed estremismo parolaio, comunque uniti nella sistematica
distruzione dello Stato e dell'amministrazione. È
senso comune, ormai: c'è una distribuzione
della posta di destra, ma anche una di sinistra!
È il rigurgito del solidarismo, l'affermazione
del primato dell'elemosina e dei buoni sentimenti
contro il sistema dei diritti garantito da un patto
costituzionale. Solidarismo ben definito da Bush con
il concetto di "conservatorismo compassionevole":
«nulla ti è dovuto, forse farò
qualcosa per te».
Nelle tasse che pagano i cittadini - parola
che fa inorridire personaggi come lei - è compresa
anche l'alea della catastrofe. Essere aiutati in questi
frangenti è un diritto. Gente dall'incerta
appartenenza di classe non può capire questo
elementare principio e quindi reagisce come fanno
i sudditi, i fedeli, stendendo la mano e magari rumoreggiando:
costretti alla mendicità molesta.
La terra si frattura, e dalle crepe fuoriesce una
fauna interstiziale fatta di volontari e beghine,
squadristi e qualunquisti, piccoli costruttori costitutivamente
"in deroga" alle leggi - quelli che hanno
cementificato il paese orrendo e fragile che abbiamo
davanti - concussi e corruttori che
si scambiano mazzette al fine di diminuire
la percentuale di cemento nel calcestruzzo. Pronti
a ricominciare. Cappellacci ha stravinto in Sardegna
promettendo semplicemente di abrogare il piano regolatore
di Soru.
Ecco, l'elemosina che lei sollecita concorre
a riprodurre l'illegalità complessiva. Ne è
il pendant.
Con la più convinta disistima.
O.,
10 aprile 2009
Galeotto
il terremoto?
Odradek,
di fronte ai pressanti inviti a organizzar collette,
aveva scritto "ci pensi lo Stato", visto
che come cittadini paghiamo le tasse anhe a questo
scopo.
Poi, di fronte alla mera ipotesi di una tassa pro-terremotati
da far pagare ai redditi più alti, anche la
Marcegaglia ha tuonato: "ci pensi lo stato".
Quindi, siamo in sintonia con Confindustria?
Galeotte le parole, quando la stessa frase vuole significare
movimenti opposti. Odradek, alzando come ultima difesa
universalistica la funzione fiscale dello Stato liberale,
invita a rifiutare ogni "sussidiarietà"
pelosa, ogni esternalizzazione al "privato benintenzionato"
– soprattutto religioso, ormai – delle
attività di welfare. Assistenza ai terremotati
compresa. Un'invocazione laica, insomma, di garanzie
esigibili da qualunque cittadino in qualsiasi momento.
La Marcegaglia, au contraire, intima allo
stato – quello italiano attuale, senza maiuscola
– di non provare neppure a pensare di esercitare
questa funzione di garanzia universalistica mettendo
le mani in tasca ai possidenti. I quali, semmai, sono
da anni abituati a vedersi attribuire – da quello
stesso stato – quote di reddito che non gli
spettano, estorte in molti modi – compreso quello
fiscale – a chi ben poco avrebbe da dare.
È l'anomalia italiana, bellezza. Qui non c'è
una borghesia che abbia costruito uno Stato per togliersi
di dosso il peso di poteri ascrivibile a una volontà
presunta divina. Ma solo servi arricchitisi grazie
al favore del potente. Che oggi chiamano stato, ieri
re o papa. La minuscola, anche in questo caso, è
d'obbligo.
Casimiro,
18 aprile
[Non
è un fotomontaggio. Semplicemente, lo spettacolo
deve continuare]
Hanno
disperatamente cercato un capro espiatorio,
un untore: prima con il ricercatore Gian Paolo Giuliani,
additato come Cassandra e menagramo; hanno provato
con gli sciacalli, possibilmente romeni,
minacciando leggi eccezionali, ma non ne hanno trovato
nessuno; quattro ne avevano presi, ma sono
stati costretti a rilasciarli con grande scorno di
Feltri. Finalmente uno ne hanno trovato: Michele
Santoro. E lo bastoneranno di santa ragione,
a cominciare dai suoi colleghi giornalisti, allineati
e coperti. È difficile, però, provare
solidarietà per il primo che ha praticato il
populismo televisivo. Lo sciocco non ha capito
che la piazza ruttante e rumoreggiante non va più,
ora vogliono la piazza appecoronata e composta, come
nei riti funebri. Vogliono la solidarietà nazionale.
Hanno trovato Franti.
O.,
12 aprile 2009 |
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La crisi secondo Einstein
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La crisi: Il Demonio!...
poffarbacco!
Dovremmo tutti ringraziare la puntualità e precisione
del capo della chiesa cattolica. Ma come non pensarci prima!
Era ovvio! La crisi economica, la sua natura non hanno nulla
a che fare con i meccanismi della dinamica del capitalismo.
No! La crisi è opera del demonio! Fantastico! Direi
geniale!
Allora, un suggerimento (forse anch'esso demoniaco). La
chiesa cattolica sostiene di aver riabilitato Galilei Galilei
(dopo 400 anni! Meglio tardi che mai), bene. Allora immagino
che adesso conoscano perfettamente il metodo sperimentale,
quindi la crisi può essere una opportunità
per dimostrare la veridicità delle loro teorie:
perché il Vaticano non manda un esercito di esorcisti
per scacciare il demonio dal sistema finanziario mondiale?
Luca Sbano,
26 febbraio 2009
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Veltroni getta la spugna. L'epilogo
non ci stupisce. Questa stimata ditta – Odradek
– si impegnò nell'analisi del discorso del
Lingotto (la trovate qui)
e poi nella pubblicazione di un circostanziato volume, Modello
Roma: L'ambigua modernità, che
analizza l'inconsistenza – a volere essere distaccati
– della politica veltroniana nel comune di Roma.
Non era un sindaco stimato, tanto è vero che la città
ha scelto, dopo di lui, un sindaco fascista. La circostanza
era nota ai suoi sodali del Partito democratico, e alla
stampa che lo ha sostenuto, ma ciò non ostante si
sono affidati a lui – «vado da solo»,
e delegittimò il governo Prodi – per consegnare
l'Italia a Berlusconi, dopo aver cancellato la sinistra
dal Parlamento. Un disastro annunciato.
Un uomo stupido e incapace: un diplomato cameramen, di bassa
e limitata cultura. Il peggiore. Noi lo
avevamo detto.
#
La dipartita di Veltroni non risolve il problema. Il problema
è la persistenza di un certo immaginario, di un frasario,
di un glossarietto fatto di "sogni" e di "speranze",
di "in" e "out", di "simboli"
e di "rappresentazioni", di "nuovo che avanza"
e di "vecchio duro a morire" che, in presenza
di una conclamata crisi sistemica, mostrano la loro tragica
inconcludenza. Veltroni ha "fatto un sogno", ma
a risvegliarsi dovrebbero essere i cittadini che, dal comunicatore
di turno, con le sue "visioni", "affabulazioni"
e "resoconti onirici", dovrebbero pretendere "analisi"
e "progetti", fatti di figure sociali, di cifre
e di grandezze misurabili. Tenendo i piedi nella storia,
cioè nei processi, e non nel "possibile"
e "nell'altrove".
C.G.Dekodra,
febbraio 2009
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EDITORI CHE FANNO OUTING A
questa spettabile casa editrice è pervenuto un appello
che invitava a firmare contro la partecipazione di Marcello
Baraghini, "storico editore di Stampa Alternativa",
ad una serata nel centro sociale nazifascista Casa Pound.
Così
abbiamo risposto:
«rispondo
al tuo accorato appello per declinare l'invito. Aggiungendo
due o tre banali considerazioni.
Se Marcello Baraghini, delle cui edizioni conservo sicuramente
le Scritte nei cessi e le Battute celebri dei
film ("Chi è 'sta cicciona. -Mia madre.
-Perbacco, bella donna"), avendo forse introiettato
lo slogan bascettiano "Né rossi, né
neri. Solo liberi pensieri", decide in tutta
libertà di colloquiare con Casa Pound, ebbene non
vedo a che titolo io potrei censurare una simile scelta,
peraltro anticipata dall'editore Castelvecchi, altra star
nel firmamento dell'editoria di movimento.
Sono i lettori a decidere la fortuna di testi come la Storia
universale delle mutande, o di Teoria e pratica
della masturbazione, anche se sollecitati da editori
convinti che nulla deve essere nascosto al popolo, proprio
nulla. Resta però il fatto che io non pubblicherei
Mai più senza mutande, chessò?, di
Alba Parietti. La qual cosa mi abilita a marcare la differenza.
Né il prezzo contenuto - mille lire - può
essere un criterio decisivo nel valutare il valore di un
editore. E anche se fosse, Newton Compton (viva la pubblicità
comparativa!) offre classici generalmente ben tradotti,
muniti di decenti apparati, a cinque euro; e i tre libri
del Capitale a 15 euro (e non mi risulta essere diventato
un'icona della sinistra). Classici, mica coriandoli.
Ebbene, se quell'editore - quello sì benemerito -
andasse a Casa Pound, mi dispiacerebbe. Ma siccome è
un imprenditore capace, e non ha bisogno di pubblicità
trash, sono sicuro che non ci andrebbe.
Non capisco, infine, a che titolo dovrei contrastare la
logica dell'outing.
Se uno, a sessant'anni, con moglie e figli, dichiara di
essere omosessuale viene generalmente, e giustamente, apprezzato.
Se un altro avverte il brivido delle teste rasate, delle
mimetiche, delle borchie, della terra e del sangue, si accomodi.
Collocarsi, in questo mondo, è sempre più
complicato. Se qualcuno si offre come esempio, ben venga.
Ad ogni buon conto, trovo molto più significativo
e degno di analisi il caso di un metalmeccanico iscritto
alla Fiom che vota per la Lega: una figura sociale in contraddizione,
mica un editore in crisi esistenziale, col friccico.
Con stima,
Odradek,
1 dicembre
#
# # ANSA-2008-11-29
12:19
BOSSI JR BOCCIATO A ESAME MATURITA'-BIS
TRADATE (VARESE) - 'Esito negativo' per la prova orale-bis
dell'esame di maturità scientifica di Renzo Bossi,
secondogenito del leader leghista e ministro delle Riforme.
La bocciatura, seguita alla ripetizione dell'esame che ebbe
già esito negativo in luglio, è stata formalizzata
stamani nell'albo del Collegio Arcivescovile Bentivoglio
di Tradate, nel varesotto, dove Bossi junior, ieri mattina,
ha ripetuto da privatista la parte orale della maturità.
E
DATEJE 'N'ARTRA POSSIBILI-TA'...
E
DATEJE 'N'ARTRA POSSIBILI-TA'
#
# # ANSA
- Solito balletto di cifre. Gli organizzatori: "Siamo
200 mila". La Questura: "Trenta mila".
Se
si vuole ottenere una cifra attendibile, si applichi il
coefficiente Pizzangrilli (vedi
sotto), tenendo presente che, ormai, il coefficiente viene
rivisto al ribasso dai questurini. Per quello che può
valere la testimonianza di chi scrive - e che ha visto sfilare
il corteo da largo Corrado Ricci - la cifra è molto
più vicina alle stime degli organizzatori che a quella
dei questurini, evidentemente galvanizzati dalla sentenza
del tribunale di Genova.
cdb,
14
novembre 2008
#
# #
Pianta organica
Due colleghi, due esimii giornalisti de la Repubblica,
giornale democratico per definizione.
Il primo, Curzio Maltese, fisicamente presente agli scontri
di piazza Navona, ne dà una descrizione vivida e
senza ambiguità. Il secondo, Carlo Bonini, ne fa
una ricostruzione livida, dando per buone le imbeccate di
qualcuno che non è nemmeno la polizia (i rapporti
della quale risultano addirittura più “obiettivi”).
Non pago, intervistato dalla web-tv del suo stesso giornale,
dà anche per «corretta» la versione consegnata
al parlamento dall’ex pm Nitto Palma, ora sottosegretario
al ministero dell’interno. Il quale ha sostanzialmente
dato una copertura governativa al cosiddetto "Blocco
studentesco", tale da poterlo ormai assumere come il
primo corpo paramilitare ufficiale della moribonda Repubblica
italiana (non il giornale).
Si pone ora obiettivamente un problema per Repubblica.
O prende atto che Curzio Maltese è, ahilui, ormai
diventato cieco, e quindi lo consegna all’assistenza
pubblica (la Casagit è un’ottima mutua).
Oppure prende atto che l’«ufficio disinformazione»
messo su da tal Pio Pompa, con tanti giornalisti a libro
paga (anche “democratici”), è ancora
aperto. E che sta cercando di sovradeterminare l’atteggiamento
politico di questa testata alla vigilia della «resa
dei conti» promessa dal governo al movimento degli
studenti. Mentre si apprestano a entrare in gioco metalmeccanici
e pubblico impiego, con il proclamato sciopero generale
di dicembre. Il 12, non a caso.
casimiro,
1 novembre 2008
#
# # KOSSIKA
- Alla
maniera delle agenzie di rating. Dopo le recenti esternazioni,
all'Emerito picconatore è stata attribuita una seconda
K. Tre per
chi lo pronuncia alla sarda: Kossikka!
#
# #
0,33.
Il
coefficiente Pizzangrilli
Sto pubblicando un articolo su una importante rivista
di storia contemporanea basato su documenti che ho avuto
la fortuna di trovare. Lo riassumo nella speranza che vorrete
pubblicare questa nota cogliendone l'attualità.
Lo sbarco dei Mille a Marsala, l'11 maggio 1860, ebbe numerosi
testimoni, tra i quali: due lord inglesi, un visconte francese
e un delegato della questura di Roma, tale Oreste Pizzangrilli.
Il Pizzangrilli fece pervenire il suo rapporto a piazza
della Cancelleria, sede avita della questura di Roma, fissando
in 359,37 i garibaldini sbarcati, individuando così
quel coefficiente 0,33 a cui
la questura di Roma per lungo tempo si è attenuta
al fine di aggiustare come conviene le grandezze della politica.
Infatti, dividendo 359,37 per
il coefficiente 0,33 si avrà la effettiva cifra dei
garibaldini sbarcati: 1.089.
Ma la questura di Roma, servile certamente allora, ha sempre
usato poi quel coefficiente per ottenere, questa volta moltiplicando,
una cifra opportunamente gradita al potere in carica. Se
il capo, calvo o trapiantato che sia, convoca un'adunata
di nemmeno centomila persone, con un generoso coefficiente
Pizzangrilli, la massa arriva facilmente a mezzo
milione. È successo.
Fin qui la storia. Il resto è cronaca. Da qualche
tempo infatti, alla questura di Roma, il coefficiente viene
usato con maggiore elasticità: fino a 0,10 e oltre.
E comunque con una discrezionalità che certo non
aiuta, non solo il lavoro degli storici, ma anche quello
degli operatori dell'informazione.
In altri tempi, se il capo dell'opposizione "sparava"
2 milioni e mezzo, applicando
il coefficiente Pizzangrilli, era agevole stabilire una
cifra non lontana dalla realtà: 800.000, o giù
di lì. E se a una manifestazione sindacale si fosse
gridato: siamo un milione!
Senza bisogno di foto da satellite, il pubblico avrebbe
mentalmente valutato: sono quasi quattrocentomila.
Da un po' di tempo a questa parte, per lo meno da quando
si deve dar conto a un jazzista docile e depresso, la terzietà
dello Stato – anche a meno del coefficiente 0,33 –
è diventata imperscrutabile. Un problema, per gli
storici. Ma ci saranno ancora, gli storici?
Americo Giuliani,
30 ottobre 2008
#
# #
Contro il popolo non
si governa
(e a fare gli stronzi, come nel
caso del Pigneto, ci si può solo rimettere)
Le dichiarazioni di “Ernesto” – l’ex
rapinatore ammiratore di Guevara del Pigneto che ha “rivendicato”
di essere il protagonista della scorribanda contro alcuni
negozianti extracomunitari dell’omonimo quartiere
– rendono pubblico quel che ogni frequentatore della
zona sapeva già: il problema fondamentale del Pigneto,
il tumore che lo sta velocemente degradando, si chiama spaccio.
Partiamo dall’aspetto strettamente commerciale, che
mette in moto dinamiche sociali ben note storicamente ai
militanti politici di sinistra. Del resto parliamo di un
quartiere pasoliniano, dove la contiguità tra un
proletariato fatto di lavoratori dipendenti, piccoli artigiani
e altrettanto piccoli commercianti, una malavita inserita
nel contesto sociale (dotata perciò di regole antiche
e capace di rispettare il proprio ambiente di vita), un
po' di sottoproletariato "tenuto per la cavezza"
(ovvero sotto controllo popolare, accettato finché
"rispetta le regole e la gente che vive qui")
ha dato nel corso delle generazioni vita a un "popolo"
nel senso alto del termine. Un insieme sociale capace cioé
di funzionare consapevolmente come "agenzia formativa",
al pari della scuola.
Negli ultimi anni il Pigneto ha subito la progressiva trasformazione
da quartiere popolare (in senso stretto: il nucleo fondamentale
era costituito da palazzi di edilizia residenziale pubblica,
poi ceduti ai residenti e attraverso la rivendita immessi
sul mercato immobiliare) a “zona trendy”. Una
nuova San Lorenzo, con nuovi residenti spesso politicamente
schierati a sinistra, professionalmente di fascia medio-alta.
La moltiplicazione dei locali ha favorito inoltre la concentrazione
serale e notturna di una popolazione di visitatori “occasionali
ma tendenzialmente stabili” fatta soprattutto di studenti,
con qualche sostanziosa propaggine di sbandati, “tossici”,
alcolizzati cronici.
Lo spaccio caratteristico del Pigneto è specializzato
infatti intorno a due merci base: le sostanze stupefacenti
propriamente dette e l’alcool di pessima qualità,
a basso prezzo, venduto anche in orario notturno. Le due
merci base si sovrappongono, in alcuni casi, per quanto
riguarda i fornitori. Questo mix chiama in causa responsabilità
precise di chi istituzionalmente deve gestire un territorio.
Se, infatti, la presenza di un mercato illegale (le sostanze
stupefacenti) chiama in causa gli organi dello stato preposti
alla repressione di questo genere di traffici (stranamente,
ma non troppo, è il reato più “tollerato”
dalle forze dell’ordine dopo la speculazione edilizia),
quello dell’alcool va ascritto all’amministrazione
(comunale o municipale) che ha largheggiato nella concessioni
di licenze per la rivendita di alcolici, senza peraltro
disporre il controllo sul rispetto degli orari. Neppure
dopo una miriade di esposti prsentati dai residenti.
In generale, dunque, una politica del “lasciar fare”
che a prima vista può sembrare estremamente “democratica”,
ma che sul piano pratico (come ben sanno persino gli economisti
keynesiani) è un’autentica idiozia. Nel vuoto
del “lasciar fare”, infatti, si impongono “per
abitudine” due fenomeni complementari: l’assenza
di regole e il prepotere del più forte.
Al Pigneto questo “prepotere del più forte”
può esser declinato in prevalere della speculazione
edilizia (che sta progressivamente svuotando il quartiere
dei residenti originari, quasi sempre a basso reddito),
come anche in esplosione della forza degli spacciatori.
Italiani e stranieri, ovviamente; perché non esiste
alcuna “professione” che non possa esser esercitata
a seconda della nazionalità.
Non è difficile vedere in trasparenza, dietro questo
"lassismo" repressivo, un certo disegno economico:
a lungo andare "l'invivibilità" del quartiere
convincerà molti residenti ad andarsene. A quel punto
sarà campo libero per la speculazione edilizia, che
potrà acquistare a prezzi minori di quelli di mercato.
Solo allora la repressione istituzionale "scoprirà"
che lì si spaccia e si scippa. Un rapido repulisti
riconsegnerà alla speculazione una zona dal valore
doppio. Senza tante storie.
I due tipi di spaccio – a qualsiasi ora del giorno
e della notte – fanno da catalizzatore per uno sciame
di frequentatori attirati proprio dalla reperibilità
delle merci e dalla possibilità di fruirne immediatamente,
in loco. Questo “sciame” ha assunto con il tempo
sufficiente consistenza da presentarsi in forma di gruppi
di composizione casuale, ma caratterizzati dall’incapacità
di avere un rapporto “rispettoso” con il luogo
e i suoi abitanti. E abbastanza numerosi da poter respingere
qualsiasi individuale richiamo alle regole del “buon
vicinato”. Le scene raccontate in questi giorni da
molti residenti decisamente "popolani" sono assolutamente
incontestabili: ubriachi che cantano o suonano tamburi in
piena notte, che vomitano o pisciano in mezzo alla strada
o dentro i portoni, risse con lanci di bottiglie.
Inevitabile, in queste condizioni, che gli interessi e i
comportamenti quotidiani di residenti, spacciatori e frequentatori
del quartiere entrino in conflitto. Ed è inevitabile
anche, in qualche misura, che gli interessi di spacciatori
e frequentatori “trash” siano coincidenti (un
po' come accade tra industriali e "consumatori",
insomma). Non ci sono infatti, a Roma, molte altre “isole
senza regole e orario” come il Pigneto.
A questo punto va fatta una valutazione di merito: gli interessi
dei residenti sono legittimi, quelli degli spacciatori naturalmente
no, quelli dei frequentatori trash neppure.
Negli anni ’70, quando cominciò ad affermarsi
l’uso di massa delle droghe, la rete degli spacciatori
– sicuramente “italianissimi”, spesso
vicini all’estrema destra, sempre coperti dalla polizia
e dai carabinieri, che ne sfruttavano “l’inserimento”
nelle fasce deboli per implementare le schedature sui militanti
della sinistra extraparlamentare – venne con successo
contrastata finché il movimento (i gruppi organizzati)
fu in grado di alimentare la “repressione militante”.
E a nessuno venne mai in mente – neppure ai media
più interni all'establishment – di definire
"di destra" due mazzate a uno spacciatore. Qualcosa
di molto simile, nelle intenzioni, alla reazione spontanea
di “Ernesto”, che quel mondo ha probabilmente
conosciuto, condividendone i valori; ma sottovalutando la
concrezione di interessi sporchi e ideologia (in senso marxiano:
"falsa coscienza") che gravava su un'azione mirata
contro spacciatori però di colore.
Trent'anni fa, come raccontano le cronache, si erano manifestate
pratiche assai più radicali, viste le capacità
organizzative e “militari” della sinistra rivoluzionaria
di allora.
Poi – a movimento sconfitto – il fenomeno dilagò,
desertificando i luoghi di aggregazione e “togliendo
l’acqua” al radicamento sociale della sinistra
politica.
Nelle prese di posizione della sinistra (a questo punto
forzatamente extraparlamentare) a proposito dei fatti del
Pigneto è facile vedere in filigrana la compresenza
di diversi fattori negativi:
• la non conoscenza delle dinamiche specifiche e delle
contraddizioni presenti in un territorio che pure "abita",
ma che evidentemente "non vive";
• il prevalere di un atteggiamento astratto-ideologico
(basato su stereotipi “comunicativi”, invece
che politico-esperienziali); ovvero l’incapacità
di distinguere tra colore della pelle e pratiche sociali
reali; ovvero, di capire che gli spacciatori non hanno colore;
• una sacralizzazione della "non violenza",
degradata da consapevole scelta di linea politica ad unico
criterio di giudizio etico-politico;
• il ruolo egemone della “cattiva coscienza”;
i comportamenti sociali considerati ammissibili in una certa
sinistra sono in buona parte coincidenti con quelli dei
“frequentatori trash”; in altri termini, la
“cultura dello sballo” fa velo alla possibilità
di interloquire con il “popolo reale” (che non
è certo esente dalla “pratica dello sballo”,
ma che condivide le regole entro cui va esercitato; in parole
povere, “fatti di quello che ti pare con chi ti pare,
ma senza rompere i coglioni a tutti”);
• la perdita di senso (non esiste né una cultura,
né un progetto politico, né una visione dei
processi che aspiri ad essere condivisa dai soggetti sociali
di riferimento; anzi, non si hanno più soggetti sociali
chiaramente o consapevolmente definiti con cui interloquire).
Da ciò, quasi per conseguenza lineare, è discesa
una reazione fondata su una interpretazione falsaria dei
fatti e delle dinamiche sociali in atto.
“La verità è rivoluzionaria”,
ricorda l’ex rapinatore “Ernesto”, attribuendola
all’amato “Che” anziché a Lenin.
Sbaglia la citazione, ma ne ha capito perfettamente il senso
politico. E in tutta questa storia è l’unico
ad avere una qualche ragione. Il resto è merda, menzogna,
inabilità a governare il territorio e finanche a
comprendere le dinamiche sociali, collusione con la “spazzatura”
e l'intrallazzo, mascherata magari come "capacità
di mediazione".
I sostenitori di questa falsificazione furbetta –
come l'ex estremista Daniele Pifano (che pure di mazzate,
spacciatori e cultura popolare dovrebbe aver conservato
memoria) o altri più tranquilli "nuovisti"
arcobaleno – si trincerano dietro la condanna dei
"metodi" poco ortodossi dei ragazzi di "Ernesto";
arrivando, per somma vergogna, a qualificare come "comunque
fascista" la reazione contro il degrado. In questo
modo pietrificano due errori con una sola mossa: consegnano
alla destra un sentimento popolare di rifiuto dell'imbarbarimento
della quotidianità sociale (che verrà ovviamente
declinato in termini di maggiore "sicurezza" delegata
all'esecutivo e alle forze repressive istituzionali) e si
fanno individuare dal proprio classico soggetto sociale
di riferimento ("Siamo tutta gente che lavora. Che
lavora con le mani. Il sabato sera con la donna o con la
famiglia e, molti, la domenica allo stadio. Roma, Lazio.
Ma niente ultras", rivendicano quei ragazzi) come i
complici del degrado, dello spaccio, del sottoproletariato
sempre un po' fetente. E in definitiva della speculazione
in attesa come un avvoltoio.
Un vero capolavoro, per dei perbenisti che vorrebero presentarsi
come "liberal", abituati a pensare che "la
comunicazione" sia tutto e i problemi concreti nulla.
E poi si meravigliano del risultato elettorale.
Anche qui, c’è solo da attendere, gli errori
di una pseudo-sinistra imbecille verranno utilizzati al
meglio da una destra che ha già iniziato a sguinzagliare
i suoi dogs of war. A Verona, alla Sapienza, forse persino
contro il ballerino Kledi. Ma non al Pigneto. Che invece,
dotato di una sua cultura popolare antica, seppure disperatamente
e in forme un po' retro, resiste e aspira a un mondo migliore.
A cominciare da quello sotto casa.
casimiro, 29
maggio 2008
#
# #
La
Storia nella Rete, Due
Per
puro caso mi sono sintonizzato [il 24.10] sul TG2, il peggiore
telegiornale della storia. Quello che dà 5 minuti
di notizie e 20 minuti di cazzate, salvo fatti di sangue
sui quali sbavare per più giorni.
Sta andando in onda l'edizione delle 20,30 e il servizio
parla dell’anniversario della rivoluzione d’Ottobre.
Mi aspettavo certo un documento critico (ormai, chi non
lo è su quel periodo? Persino i compagni non sono
più tali).
Ma quello che ho visto e, soprattutto, sentito, grida davvero
vendetta! Se un qualunque studente di storia avesse dato
quella interpretazione della rivoluzione bolscevica sarebbe
stato gettato fuori a calci persino dal professore più
destrorso. Qui non è questione di schieramenti politici,
qui è questione di raccontare panzane e venderle
come notizie.
In pochi minuti di servizio si è affermato quanto
segue (più o meno con queste testuali parole)
1) la Rivoluzione d’Ottobre fu messa in atto da una
setta chiamata Bolscevica e si trattò di un semplice
colpo di Stato che instaurò (nel ’17?) una
casta esattamente come quella zarista. Già, la parola
casta va di moda: studiare la storia un po’ meno.
Qui viene da piangere: decenni di dibattito storico cancellati
con una frase. Ovviamente i “purtroppo” si sprecano.
2) Il regime sanguinario che si instaurò fece sì
che, per paura e reazione, in Italia si affermò il
fascismo. Bella tesi. E, anzi sarebbe quella di Nolte, ma
venduta come assodata! Ora, chiunque abbia letto qualcosa,
sa che questa è una teoria del tutto arbitraria e
che è stata fortemente criticata anche da storici
liberali. E’ un’applicazione della filosofia
della storia di chi fa storia senza nemmeno passare per
un archivio. Però in questa visione il fascismo ci
passa bene (e guarda caso la rete due è in quota
AN);
3) I regimi totalitari vennero per fortuna sconfitti dalla
guerra, ma, purtroppo quello sovietico resistette!!!! Capito?
Non è stato detto che la guerra fu fatta dalle democrazie
alleandosi con il (forse non tanto) vituperato regime sovietico
contro i fascismi e che questi ultimi furono sconfitti.
Si dice che i “regimi totalitari” furono sconfitti!!!
Forse agli autori del servizio non l’hanno detto,
ma nella seconda guerra mondiale i loro nonni erano dalla
parte dei fascisti, quindi di quelli che la guerra la persero.
Ovvero dalla parte dei cattivi, per usare il loro linguaggio!!!
4) Ovviamente la lotta dei partigiani non è manco
citata. Sarà mica perché molti erano comunisti???
5) Il servizio prosegue sostenendo che il comunismo, sopravvivendo
(ovviamente “purtroppo”!) divenne la più
grande truffa del XX secolo perché mascherò
un'ideologia atea e sanguinaria per una speranza di liberazione
e libertà!!!! Purtroppo tante menti perbene (non
sarà mica un accenno a Napolitano?) caddero nel vortice
di questa odiosa ideologia.
Anche per essere anticomunisti bisogna usare il cervello!!!
Non si possono vendere per verità storiche quelle
che sono le più becere interpretazioni della storia
che nel corso del ‘900 hanno dato i fascisti meno
colti. Guardate, Pisanò era fascista, ma cazzo, qualche
libro l’aveva letto!
Ma per citare Al Pacino: “Che (te) lo dico a fare?”
Andrea
Bellucci
#
# #
Passano
gli anni, un solo piano
Il 21 settembre del 2007 esce nelle sale cinematografiche
Piano, solo di Riccardo Milani. Fra gli
interpreti, nella parte del padre di un musicista morto
suicida nel 1995, c’è Michele Placido.
Il film è tratto da un romanzo di Walter Veltroni.
Il 19 settembre i giornali hanno annunciato che, fra i consiglieri
del futuro segretario del Partito Democratico, ci sarà
Michele Placido.
La sera del 20 settembre, ospite di Miss Italia, sul primo
canale della Rai, in diretta da Salsomaggiore Terme, c’è
Michele Placido. Che parla del film e lo cita come Solo
piano. Per non citare esattamente il titolo un
motivo ci sarebbe.
Non fidandosi delle facoltà percettive urbi et orbi
della virgola, infatti, Piano, solo potrebbe
essere percepito come Piano solo
e rammentare, dunque, il Piano Solo, che nel 1964
era il nome del progetto segreto affidato alla direzione
del generale De Lorenzo: colpo di stato militare in Italia,
cattura e reclusione degli intellettuali di sinistra in
un campo di concentramento già predisposto in Sardegna.
Meglio dunque sbagliare titolo piuttosto che porre in rapporto
Veltroni con qualcosa che romanzo non è ma che è
più imbarazzante ancora dei suoi romanzi.
Felice Accame
#
# #
Se
qualcuno pensava di rifarsi una vita...
26
lug 11:55 Second Life: gesuiti
pronti a inviare missionari
CITTA' DEL VATICANO - "La terra digitale e', a suo
modo, anch'essa terra di missione''. Ne sono convinti i
gesuiti di 'Civilta' Cattolica' che propongono alla Chiesa
di Roma di esercitare la propria opera anche su 'Second
Life'. In un articolo della rivista, notano come anche la
realta' virtuale si stia arricchendo di luoghi di preghiera
e che dietro agli avatar, sempre piu' desiderosi di meditare
e ritrovare Dio, ci siano persone reali. Ed e' per questo
che "ogni iniziativa capace di animare positivamente
questo luogo (web) e' da considerare opportuna''. (Agr)
#
# # Nomen
omen - A Veltronia ci si attende che l'arrivo
del Veltro liberera' dalla lupa-cupidigia che regna fra
gli uomini.
E cosa dobbiamo attenderci da un capo della polizia di nome
Manganelli?
M.C.
#
# # Non
c'è che dire Gianni
Riotta è un gran pezzo di giornalista
«Capisco
che è ironico – voglio ben sperare –
ma che significa?», ci chiede un lettore. Avevamo
confidato che lo scambio di battute tra Gianni Riotta,
direttore del TG1 e Antonio Ferrentino,
presidente della Comunità Montana Bassa Valle di
Susa, avvenuto durante la trasmissione TV7 di domenica
17 giugno, venisse ripreso dalla stampa. Sono soliti enfatizzare
– i giornalisti – ogni screzio, qualsiasi
scazzo, ma su quello hanno calato un velo. E allora ci tocca,
quanto meno, giustificare la nostra altrimenti opaca battuta.
Ordunque, l'ottimo Ferrentino, parlando butta là
un inciso del tipo «perché, vede giornalista...»,
una chiara brachilogia, o forse non gli sovveniva il nome;
fatto sta che il Riotta si adonta e lo interrompe, molto
imbarazzato, per chiedere ragione dell'epiteto,
così lo chiama, e lo interrompe ancora, con l'occhio
vindice, per avanzare il sospetto che si fosse trattato
di un insulto. Non osiamo pensare che cosa sarebbe accaduto
se gli avesse dato del Riotta.
#
# # Doina
e Vanessa La
notizia del giorno sono le tracce di metadone trovate dall'esame
tossicologico operato sul corpo della ventitreenne Vanessa
Russo, la ragazza romana della borgata Fidene uccisa qualche
settimana fa da una giovane romena, Doina Matei. Il clamore
e le reazioni xenofobe delle ore successive a quell'omicidio
(che il pm ha stabilito come "volontario") scompaiono
di fronte alla realtà, ben più banale ma non
per questo meno tragica. Se la xenofobia era già di
per sé termometro drammatico di una guerra tra poveri,
il fatto che una prostituta da poco comunitaria abbia ucciso
una ex tossicodipendente in cura da tempo nel centro di Villa
Maraini riporta l'avvenimento all'interno di una scala maggiormente
definibile. Nel "laboratorio Italia" si sono incontrati,
hanno duellato e rovinato la propria vita due scarti della
società, due giovani donne invisibili che la competitiva
corsa alla succesiva posizione nella ripida scala sociale
aveva già relegato tra i perdenti. E' azzardato affermare
che la mancanza di coscienza di classe abbia indotto i familiari
e gli amici della Russo a tacere del suo stato per scagliarsi,
invece, contro chi ritenevano ancora meno adatto di loro a
questa guerra civile globale? L'incapacità di chiudersi
nel dolore, la volontà di chiedere - di ostentare la
richiesta di - una "giustizia giusta" e una pena
esemplare indicano che un altro capitolo si è chiuso
e che si naviga abbastanza spediti. Verso la notte.
MC, maggio
2007
#
# # Paolo
Valentino: per una nuova critica dell'ideologia
Come
parli, frate?
Consumiamo le parole più in fretta dei calzini. Ci
facciamo travolgere dal senso comune e utilizziamo un certo
termine in quel certo modo per essere sicuri che chi ci ascolta
o legge capisca esattamente da quale parte deve mettersi.
Naturalmente, nel farlo, "noi" che usiamo con sapienza
quel termine ci siamo già posizionati. Senza dirlo.
Un esempio, presto, sennò non ci facciamo capire.
Eccolo. L'ottimo corrispondente dalla Germania per il "Corriere
della sera", Paolo Valentino, il 6 marzo 2007, ci racconta
una storia molto "yankee", anche se si svolge appena
al di là delle Alpi. L'Us Army di stanza laggiù
mette un annuncio sui giornali: «arabi cercasi per
comparsata». Cachet moderatamente allettante, per gli
standard teutonici: 90 euro al giorno. Per un arabo in terra
ariana, però, possono essere anche tanti.
Lavoro: fare "da spalla" ai soldatini Usa che dovranno
poi ripetere "sul serio" certe scene una volta trasvolati
in Irak o in Afghanistan.
Location: 10 finti villaggi "etnici" costruiti per
l'occasione dalle parti di Norimberga (quantomeno imbarazzante).
Centinaia di arabi ambosessi si presentano per il "casting"
(fa tanto Hollywood) e scoprono, lì sul posto, che
dovranno interpretare la parte di "civili" o "terroristi"
in una battaglia casa per casa, con i soldati Usa ovviamente
trionfatori.
Valentino ci spiega che, nonostante la lauta offerta, solo
4 accettano il lavoro. Quando però deve spiegare i
motivi per cui tutti gli altri hanno rinunciato gli scappa
detto: «Qualche rifiuto ideologico: "Io non aiuterò
gli americani a far male ai miei fratelli"».
"Rifiuto ideologico"? Il buon Valentino aggiunge
che si tratta della risposta di «un'aspirante comparsa
marocchina». Insomma: gli americani non hanno (ancora)
invaso il Marocco e quindi perché mai, se non per "ideologia",
ci si può rifiutare di collaborare con loro?
Inutile qui fare un excursus - da autodidatta, probabilmente
- sul fatto che gli arabi, così come i latinoamericani
di lingua spagnola, si sentono tra loro un po' più
fratelli (e imparentati) di quanto non ci sentiamo noi con
i francesi o gli spagnoli. Inutile lanciarsi in distinzioni
filosofiche sulla differenza tra "ideologia" e "weltanschauung".
L'etimo e la conoscenza storica non ci possono più
soccorrere.
Il nodo sta in una parola - «ideologico» - che
nel senso comune ha ormai i connotati iconici di uno stigma.
Privo di contenuto preciso, ma da evitare come la peste, pena
l'emarginazione sociale - o quantomeno dalla chiacchierata
contingente. "Sei ideologico!", si usa dire a chiunque
trovi poco "appropriato" accettare di fare qualsiasi
cosa per soldi o una promozione. Come se il fissare un confine
invalicabile che distingue ciò che è accettabile
o meno fare, il possedere una "norma morale" interiore,
sia una malattia da estirpare.
Chiedo scusa: capisco solo ora che un significato c'è.
Al limite.
Francesco
Piccioni
Per
altri motivati dissensi, cfr: http://allimite.blog.espresso.repubblica.it/
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Secondo il calendario cinese siamo
entrati nell'anno del maiale
Che
ti sia lieve, govelno Plodi! L.I.P.
(postato
il 17 febbraio)
*
* *
Quattro
giorni dopo: Oops!!
*
* *
L'Italia
è spaccata in due, si dice. Sì, tra chi aborre
la guerra e chi, al contrario, ci vede favolose opportunità
di profitto.
O.
*
* *
«Quel
disgraziato di Franco Turigliatto ha fatto cadere il governo!
Va espulso dal partito!»
Eppure gli stessi, tutti, giurano che Franco Turigliatto è
una persona onesta e perbene.
Si vede che il Parlamento non è più luogo per
gente così.
Casimiro,
22 febbraio
Già,
Rossi e Turigliatto, i quali, come eletti dal popolo, hanno
voluto essere in sintonia con il proprio elettorato - e addirittura
con la maggioranza degli italiani i quali, secondo il più
recente sondaggio, vogliono che si venga via dall'Afghanistan.
Ma allora, il senatore Andreotti e il vicepresidente di Confindustria
- senatori a vita - con chi sono in sintonia, a chi hanno
voluto rispondere?
O.,
22
febbraio
*
* *
Alla
famosa teoria del “tanto peggio tanto meglio”
oggi possiamo sostituire quella del “tanto peggio
tanto è uguale”. Nella sinistra va molto
il seguente argomento: non bisogna consegnare il Paese
alla destra.
Così, se non vado errato, la sinistra si impegna a
fare:
il traforo del Brennero
la tav
le centrali nucleari
le spedizioni militari
le basi americane
gli interessi del Vaticano
gli interessi di Confindustria
una dura repressione di chi si ribella.
Mi fermo qui, ma potrei essere più lungo e più
dettagliante.
Viene il sospetto che la destra a fare tutte queste
cose non ce la farebbe.
Felice Accame,
26 febbraio
Viene
il sospetto che alle prossime elezioni, per pararsi il culo,
convenga votare scheda nulla. Cominciamo
a pensarci!
O.,
26 febbraio
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Quando dell’opinione si fa scienza, la scienza
viene trattata da opinione.
Il postmodernismo ha occupato questo snodo, e imperversa.
E così, quando i corsi di laurea in scienza della comunicazione
sono ormai diventati una sessantina, le facoltà scientifiche
vedono diminuire i loro iscritti; pare siano solo tre a Matematica
quest’anno. Prosit.
cdb,
22 dicembre
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Fluidificazione dei linguaggi
«Chi scrive ha vissuto, in Lombardia, l'esperienza dell'elaborazione
di un progetto regionale sul reddito in cui si sono riconosciute
tutte le culture della sinistra radilcale (dalla Fiom ai centri
sociali), rappresentando un punto di fluidificazione dei linguaggi
che, purtroppo, non sembra generalizzabile».
Così esordisce Tajani, Il vizio della mancanza di
proposte, 11 luglio (sta in Segnalazioni).
Purtroppo, non è dato modificare le cose
classi sociali, grandezze economiche,
rapporti di produzione manipolando le parole
che le rappresentano, accomodandole, stiracchiandone il significato.
Però Tajani ci prova. Si sta parlando di mercato del
lavoro, di occupazione, disoccupazione e sottooccupazione.
Ma con uno slittamento e qualche fluidificazione, la disoccupazione
giovanile è diventata il «ringiovanimento dei
poveri", e così ci si ritrova a parlare di povertà
e di "strumenti universalistici (svincolati da appartenenze
categoriali) di contrasto alla povertà».
Fluidificando i linguaggi, come intersezione di salario e
reddito, troviamo il basic income. Abbiamo già
perso.
Di erga omnes conosciamo soltanto leggi e diritti.
Le prime, in genere, ci vengono imposte. I secondi, per quel
che nè rimasto, ce li siamo conquistati. E tocca
pure difenderli giorno dopo giorno.
Tra questi, per quanto possa sembrare strano, ci sono anche
i contratti di lavoro. Non sono "universalistici",
ma la loro carica egualitaria è indubitabile. Forse
anche l"assistenza" può diventarlo,
ma solo al ribasso.
Quando si sente parlare di poveri, ci si dovrebbe allarmare,
e molto. Vuol dire che è pronta una legislazione di
emergenza. Vuol dire che non si vede come tirarli fuori da
quella condizione, vuol dire che non rimane che assisterli.
A questo si arriva, con la consulenza di qualche sociologo
fluidificante, mettendo al centro dellanalisi la figura
del precario. Come? Basta cominciare a considerare il lavoro
contrattualizzato, a tempo indeterminato, come "troppo
rigido", ossificato, desueto e non al passo con la post-modernità.
Basta fluidificare ulteriormente il linguaggio che già
usano gli Ichino o i Giavazzi, trasformando in "pregio"
quella che è una maledizione (la mancanza di un salario
che è pur sempre un reddito, ohibò!
certo, a scadenza e importo fisso e migliorabile).
Una sola domanda: stante il vizio universale della lotta di
classe ogni classe di "percettori di reddito"
compete in effetti ferocemente per mantenere o aumentare il
proprio potere dacquisto a spese di chi viene
costituito il reddito desistenza? Suvvia, stringetevi
un po, conclude Tajani. Un po di deontologia,
direbbe Morini. Un po di compassione! Compassione e
amministrazione: a chi presenta il certificato di esistenza
in vita si fornisce, a vista, il certificato di povertà.
cdb,
3 ottobre
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Come parli, frate?
Si fa presto a dire dibattito. Per parteciparvi occorrerebbe
che la gran parte dei termini usati avessero un significato
condiviso e che, comunque e per lo meno, mantenessero lo stesso
significato soprattutto da parte di chi li usa. Non sarebbe
male, inoltre, che ci si astenesse dalluso di espedienti
retorici, gli ossimori, tanto per dirne uno. Insomma, quando
si partecipa a un dibattito, gli esercizi di scrittura creativa
andrebbero evitati: le parole in libertà di stampo
futurista. Osservare le regole della sintassi e della grammatica,
in ogni caso, non guasta. Morini nel suo intervento del 5
luglio (Reddito d'esistenza e nuovi soggetti sociali,
sta in Segnalazioni) «attraversa
gli stessi percorsi dei lavoratori immateriali»,
venendo così accompagnata da «diciture»;
fa esperienza dell«imprendibilità della
sostanza», di un«immagine letterale di incorporeità»,
pervenendo a «un'inutilità degna di una specie
di inspiegabile ironia» che non le impedisce tuttavia
di cogliere che «elementi immateriali vanno sempre più
innervando l'attività lavorativa». Questo
modo di comunicare indebolisce fortemente le ragioni che pure
si vogliono sostenere. Sarà per questo che sul finire
del suo intervento Morini, contro gli arcigni salaristi, commette
fallo; non fa neppure appello a un qualsiasi principio di
autorità. No, scomoda direttamente la morale, e così
conclude: «esistono profonde ragioni deontologiche in
difesa del reddito di esistenza». Ah, beh, allora! Non
pare ci sia gran differenza con il liberismo compassionevole.
E comunque una domanda viene da farla: le ragioni deontologiche
invocate appartengono a quale categoria professionale? Avvocati,
medici, giornalisti, commercialisti... un codice deontologico
con relative ragioni non si nega
a nessuno. Basta dire di quale si parla. A meno che non si
sia usata una parola (deontologico) al posto di
unaltra. Succede che, a forza di fluidificare
i linguaggi, si riesca a non farsi capire. Oppure a
parlare senza dire niente. O anche a far finta di avere delle
cose profondissime da dire. Il commento potrebbe
finire qui, dopo aver insistito sulla circostanza che gli
appunti mossi non sono soltanto formali. Ma siccome lintervento
centra due temi cruciali, conviene aggiungere due chiose.
1. «I knowledge workers [che poi sarebbero giornalisti,
invisibili, al desk dei settimanali e dei quotidiani. Ricercatori
universitari da tre per due e dal futuro incerto. Designer,
lavoratori del web, impiegati e consulenti nell'industria
dei brand, delle mode, degli stili di vita, tutti precari
ai tempi delle vite precarie] sono infatti contemporaneamente,
non casualmente, estremamente "aperti" alla precarietà,
a una precarietà che, nella modernità, si sostanzia,
sopra ogni altra cosa, di immaginari, di miti». Viene
da commentare: Reagiscano con limmaginario, dotati
come sono! I metalmeccanici tiravano i bulloni, e loro scaglino
miti proprio nel bel mezzo dellimmaginario. Che spettacolo!.
Tuttavia, questo accidentato brano, vero e proprio inno alla
precarietà di una vita senza costrizioni (ah, se solo
ci dessero una paghetta!...), porta dentro al dibattito lingenua
testimonianza della soggettività ultimo-generazionale,
unilaterale e inconsapevole che, proprio perché stenta
a imporsi come categoria, nuoce non poco alla discussione.
Lo abbiamo visto: i precari oltre i trentanni vogliono
salario, su cui costruire la riproduzione della propria vita.
E non la paghetta. Non vogliono il contrasto alla povertà,
ma il riconoscimento di un diritto.
2. «Alla tradizionale divisione del lavoro per mansioni
e specializzazione se ne aggiunge una nuova, fondata sulla
conoscenza, sui saperi, sulle singole capacità (relazionali,
emotive)». Affiora un pregiudizio tanto stupido quanto
indecente. Lidea di Morini è che il lavoro salariato,
in quanto manuale, ha escluso, fino allavvento dei suoi
amichetti del brand, lutilizzo del cervello.
Da un punto di vista teorico, qualcuno dovrebbe spiegare a
Morini il concetto di cooperazione: impresa titanica,
temo. Sennò, gli si potrebbero fare degli esempi pratici,
a partire dallinterazione di un manovale con un muratore,
dalla quale si evince che ogni lavoro è conoscenza.
Anzi: che solo lavorando, in senso stretto si conosce.
Perfino quell"altro"che lavora con me. E con
una mansione diversa, addirittura.
cdb,
2 ottobre
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Bisex
della politica
In un film di Verdone un personaggio vantava avventure
con donne, con uomini
e Verdone se lo guardava ammirato.
Sono in molti ormai a riconoscere che una forte e determinata
identità anche sessuale limiti molto
le possibilità che offre la vita moderna. Ecco allora
che Bertinotti accetta linvito dei giovani di AN a discutere
con Fini su questo tema di grande attualità, istituendo
un processo allidentità. Non a caso,
il Fini ha dichiarato che il suo romanzo preferito è
Uno nessuno centomila di Luigi Pirandello.
Da questo punto di vista non esiste soluzione di continuità
tra fascisti e postfascisti. La versatilità, la capacità
di sostenere molte parti in commedia; la qualità raffinata
di poter sempre offrire un servizio à la carte,
non è esclusiva del partito di Fini un partito
veramente moderno: plastico, duttile e malleabile. Viene da
lontano.
Riguardo al problema istituzionale: prima repubblicani,
poi monarchici, poi ritorno alle origini con la repubblica
di Salò, poi, dopo qualche rancore coi Savoia, ancora
monarchici.
Riguardo al rapporto tra le classi: dapprima socialisti,
poi corporativisti e dirigisti, poi la socializzazione delle
imprese (tanto per dire; ne fu socializzata solo una!), poi
ancora corporativisti, infine decisamente liberisti, anzi,
neoliberisti.
Riguardo alla politica internazionale: antiamericani,
antiisraeliani e un po' filoislamici; ma poi filoamericani,
ora filoisraeliani e visceralmente antiislamici.
Il fascismo delle origini era fortemente anticlericale, ma
dopo i Patti lateranensi, si deve riconoscere, non hanno avuto
più ripensamenti.
Nemmeno Mussolini si salva. In unintervista a La
Stampa del 2000 Fini dichiarava che il Duce era stato
"il più grande statista del secolo": lanno
scorso il fascismo diventava il male assoluto.
Lidentità si rafforza (?) anche con lappropriazione
dei simboli altrui: Giovane Italia, Fronte della gioventù,
Ordine nuovo. Poteva sembrare simulazione e depistaggio, ora
sappiamo che si trattava di unanticipazione della personalità
multipla, della bisessualità politica.
cdb,
20 settembre
###
La
pantera. Caro Bachemaster, chiudi pure la polemica ma
a me rimane una domanda: quando è cominciata l'inversione
di tendenza? Quando il rosso è virato in marrone? Con
un movimento che nessuno chiamerà mai glorioso.
Lo dico? Lo dico: il movimento della Pantera, inizio anni
novanta. Le carceri erano piene di prigionieri. Fu allora
che una nuova leva di "rivoluzionari", appena ventenni,
ma molto vispi, sottoscrisse un tacito patto: facciamo politica,
ma senza rischi. Nessuna organizzazione, per carità.
Nessun capo, al massimo un portavoce irresponsabile. Sostituiamo
lazione diretta con lazione simbolica. Basta con
la dissimulazione, avanti con la simulazione concordata, con
la polizia. La realtà non ci piace, tanto meno studiarla.
Meglio inventarsela, costruirsela, sceneggiarla, la realtà.
Giungeva a proposito il postmodernismo, parente povero dello
scetticismo, con nuovi maestri. I maestri, basta sceglierseli.
Foucault, Deleuze, mais oui! E anche un po di
ermeneutica. Fa fino, e non è pericolosa...
M.S.,
15 settembre
###
Polemica
chiusa - quella a partire dal manifesto del 25 aprile - con
le conclusioni di S. (vedi sotto, 7
maggio).
COORTI
e COOPERATIVE. A Roma, il lungo processo durato oltre un secolo
e mezzo, diciamo dalla Repubblica Romana, e che ha visto la
plebe, i sudditi del Papa re, trasformarsi lentamente in classe
educando un proprio, originale antagonismo con alcuni momenti
cospicui - 1892, a Campo de' Fiori, all'inaugurazione del
monumento a Giordano Bruno, confluiscono, assieme alla borghesia
anticlericale, gli studenti di sant'Ivo alla Sapienza e gli
edili in sciopero; 6 luglio 1921, all'Orto Botanico sfilano
duemila Arditi del popolo, armati; 1943-'44, otto mesi di
resistenza popolare antifascista; luglio 1960, porta san Paolo;
1962, piazza santi apostoli; 1977 - quel lungo processo si
è interrotto. Bene, ora, tornato plebe, il proletariato
giovanile sta in file ordinate davanti al municipio di appartenenza;
stretti in coorti? - come amano ora cantare a squarciagola
sventolando tricolori - no, in cooperative e chiedono elargizioni,
per eventi culturali, manco a dirlo; un pugno di rupie, su
cui gettarsi. Rupie, ma in forma di reddito. Che diamine.
Non parleremo più, in questa bacheca, di figure sociali
estinte, e dei comportamenti indecenti dei loro eredi, ma
cercheremo di cogliere la logica, chiamiamola così,
di coloro che ambiscono a rappresentare questi nuovi comportamenti
e indicarli come progressivi. Vertova, Halevi, Bellofiore,
Sacchetto, Tomba [vedi in Segnalazioni]
dicono che non è così; Gambino fa il pesce in
barile, ma Fumagalli, Lucarelli, Morini e Tajani insistono.
Di questo ci occuperemo nei prossimi giorni.
Bachemaster,
16 luglio
Casimiro
ci fa pervenire questa nota su Fumagalli-Lucarelli-Morini.
Come cazzo parli (per
una terapia del linguaggio)
Partiamo
dallassunto di essere ignoranti, letteralmente di non
sapere. Quando incontriamo parole che non capiamo, o
che ci confondono le idee, ci fermiamo e chiediamo spiegazioni.
Ok?
Prima che ci accusiate, lo ammettiamo volentieri: facciamo
i furbi. Capiamo benissimo di cosa si parla, ma pretendiamo
che i nostri interlocutori reticenti siano espliciti,
la dicano tutta, in una lingua comprensibile per
esempio da chi si affacci su queste pagine.
Detto fra noi: non ci sembra poi una così grande pretesa.
Lavoro
immateriale
Chi scrive queste note fa un lavoro che facilmente potrebbe
essere inscritto in questa categoria: infatti scrivo per mestiere.
Da tempo immemore (oltre 20 anni, vi basta?). Nel mio piccolo
ho avuto milioni di avidi lettori. Lo so per certo. Ma erano
altri tempi, o ce né voluto, del tempo.
Eppure, lavoro immateriale non capisco cosa vuol
dire. Ho fatto il programmatore software, il giornalista,
il novelliere (il poeta no, conosco i miei limiti); ho vissuto
dentro fuori e contro le cooperative sociali. Ho conosciuto
leccapiedi, portaborse, ciucciacazzi (citazione colta: sta
in Frances; se non sapete cosè informatevi,
guardatelo e poi ne parliamo), poveracci, occupanti di case
e occupanti di poltrone (i primi li apprezzo, anche se antropologicamente
mi sono molto lontani; i secondi no, anche se li conosco spesso
uno per uno).
Lavoro immateriale. Immagino sia quello in cui non
ti sporchi le mani, se non di inchiostro invece che di grasso
e fuliggine. Sono vecchio, ve lho detto. Ai miei tempi
si chiamava lavoro intellettuale e lottavamo perché
non si separasse, neppure per un momento, da quello manuale.
Mica per ideologia, solo per non darla vinta troppo facilmente
al padrone. Che è lo stesso, in genere, e che ti paga
per produrre merce. Se poi questa merce ha delle
dimensioni fisiche (larghezza per altezza per profondità)
oppure culturali (profondità per altezza per larghezza
di vedute), beh, per lui è decisamente indifferente:
basta che produca profitto.
Se è di questo che si parla, non vedo la novità.
Nella pratica quotidiana si tratta di tutte quelle mansioni
del processo produttivo il cui risultato è una merce
di sfuggente definizione col metro dei pesi e delle misure.
Ma neppure troppo. Un articolo te lo commissionano comunque
a metro (tot battute Word), e il cervello deve
tener dietro alle mani. O davanti, non cè differenza
sostanziale.
Quindi. Perché taluni si affannano tanto a cercare
di separare così nettamente il lavoro sporco, brutto
e cattivo (materiale) da quello pulito, bello
e buono (intellettuale)? Lunico motivo che
mi viene in mente ha a che fare con le classi,
i loro meccanismi di riproduzione, le culture e le possibilità
che le caratterizzano: in effetti è difficile vedere
un lavoratore manuale assurgere alle vette della
società cui appartiene. Non impossibile (Lula, Chavez,
Evo Morales), ma certamente meno probabile. Quindi, mi vien
da pensare che chi si iscrive sua sponte alla categoria
degli immateriali in realtà spera di far
carriera prima e meglio.
E possibile, lo comprendo. Ma non certo. E comunque
non mi sembra un buon modo di procedere (sapete, sono vecchio,
sono rimasto legato al mito egualitario, per cui tra noi scegliamo
il più adatto e serio a rappresentarci, senza tanto
guardare allo sporco delle sue mani).
E poi. Come distinguiamo chi fa un lavoro immateriale da chi
non lo fa? Un addetto ai call center cosè? Non
si sporca le mani, al massimo la voce e le cellule nervose.
Ma ha una qualche autonomia? Certamente no. Apprende
nel corso del suo lavoro qualcosa che ne aumenti la
professionalità o la creatività?
Lasciamo perdere.
Mi torna alla mente una distinzione in voga in altri tempi,
quella tra lavoro produttivo e improduttivo.
(Distinzione teoricamente ineccepibile, ma che fu lasciata
cadere proprio perché finiva col dividere i lavoratori.)
Improvvisamente laddetto del call center trova una sua
collocazione: certamente produce profitto. Mentre il servo
non produce nulla, solo una comodità per
qualcun altro. Non produce nulla neppure se fa
il portavoce del presidente della repubblica, di qualche deputato
o del movimento.
La domanda, insomma, non è quanto usi le mani
o altro sul lavoro. Ma una ben più profonda:
il tuo lavoro produce qualcosa che prima non cera
e la rende disponibile a tutti (sul mercato) tramite il padrone
e la vendita, o è solo una funzione (servile,
che è parecchio differente da servizio)
utile a qualcuno? Poi questo lavoro può richiedere
tanta fatica o tanta conoscenza, o un inestricabile mix tra
le due cose (è levenienza più probabile).
Ma tutto deriva dal rapporto tra te che lavori e il
capitale (il padrone, se ti spaventano le
categorie astratte). Il resto sono seghe di chi sogna una
(più) facile arrampicata sociale.
Mi dispiace per Cristina Morini, che ha evidentemente avuto
pessimi maestri. Ma non è per niente vero che «Il
sistema di accumulazione flessibile alla creazione di valore
tramite la produzione materiale ha aggiunto la creazione di
valore tramite la produzione di conoscenza». Non sarebbe
mai stata possibile alcuna accumulazione di valore,
né in modo ferreo né flessibile,
se lorganizzazione complessiva della produzione non
fosse stata in grado fin dalla nascita del capitalismo
di dosare esattamente le parti indispensabili
di lavoro bruto (manuale, se non vi piacciono
le parolacce) e di lavoro fighetto (intellettuale
o immateriale che dir si voglia).
Sono cambiate le proporzioni tra i due tipi di lavoro? E
possibile, ma è difficile dirlo, su scala mondiale
(viviamo in un sistema, lo stesso in tutto il
mondo, ed è il mercato globale; perciò ogni
considerazione di carattere generale sulle trasformazioni
avvenute nel processo di accumulazione deve essere dimensionata
su questa scala). E nessuno ha prodotto finora delle misurazioni
attendibili del fenomeno.
Per questo in tanti si affidano allistinto e cercano
la scorciatoia (concettuale) meno faticosa. Qui da noi
occidente, europa, italia sembra che ci siano meno
operai e più spremimeningi. E si tira la conclusione
dellimbecille: diventa più importante il
lavoro immateriale.
Scusate: ma non vivevamo nellera della globalizzazione?
E se, sul piano globale, in una certa zona del mondo (la nostra,
poniamo) i lavoratori materiali calano di un decina
o venti milioni di unità, mentre tra Cina e India mettono
allopera tra i duecento e i trecento milioni di nuovi
operai
i lavoratori materiali sono aumentati
o diminuiti? Vi serve una calcolatrice? Oppure i gialli
e i neri, in fondo, non contano?
Dice la Morini che bisogna «guardare al lavoro creativo
alienato, ridotto - in alcuni casi, nella grande maggioranza
dei casi - a ripetizione, esecuzione». Va bene, guardiamo.
Quanta gente coinvolge? La risposta della Morini è
un piccolo guazzabuglio indicatore della confusione concettuale
(«giornalisti, invisibili al desk dei settimanali e
dei quotidiani, ricercatori universitari da tre per due e
dal futuro incerto, designer, lavoratori del web, impiegati
e consulenti nell'industria dei brand, delle mode, degli stili
di vita, tutti precari ai tempi delle vite precarie»).
Fino a un certo punto, infatti, Cristina elenca dei mestieri
individuabili (giornalisti, ricercatori, designer, consulenti,
ecc); poi, sembrandole in fondo un assembramento poco numeroso,
si allarga a tutta la platea dei precari dalle vite
precarie.
Ma la precarietà è una condizione contrattuale,
che non ha niente a che vedere con il tipo di lavoro concreto.
Forse che un avvitatore di sedili alla Fiat, solo per il fatto
di avere un contratto a termine o a progetto,
diventa un knowledge worker?
Eppure è certamente vero che il lavoro creativo
alienato viene ridotto nella grande maggioranza dei casi a
ripetizione, esecuzione. Anche qui, infatti, il progresso
del capitale spezzetta le funzioni produttive (persino quelle
della creatività, che forse andrebbe a
questo punto ri-definita concettualmente); specializza e fissa
competenze sempre meno vaste in mestieri sempre
più serializzati (si pensi a quei programmatori software
che passano una decina di anni a lavorare su un solo bottone
o su un singolo menu per diverse release dello
stesso programma), per cui occorre una formazione
sempre più limitata quanto a patrimonio di conoscenza
e sempre più frequente quanto a periodi di ri-addestramento.
Ma tutto ciò ha un nome, è stato concettualmente
compreso e definito come categoria da almeno un paio di secoli
o quasi, perché indica un fenomeno in perenne trasformazione
ma che ha caratteristiche generali chiare fin dagli albori
del capitale (esattamente come un essere umano, che nasce,
cresce, matura, decade e infine muore ma è in
ogni istante della sua vita sempre la stessa persona),
quando i primi fattori che si trasformavano in farmers
hanno cominciato ad assumere qualcuno che gli tenesse la contabilità.
E lorganizzazione scientifica della produzione
che espropria (anche) lartigiano intellettuale
creativo, versatile, transettoriale ne atomizza
le competenze e le colloca a un certo gradino del processo
produttivo (moltiplicando i gradini, il fenomeno si complica,
ma non cambia di segno; anzi, lo conferma). Un processo che
ancora non coinvolge tutto il lavoro intellettuale,
perché resta un piccolo margine di autonomia
per la genialità creativa, quella che dispone delle
caratteristiche uniche che consentono di spuntare un prezzo
di mercato assolutamente individuale. Spielberg può
chiedere quello che vuole, o addirittura produrre un film
con i propri soldi (e quindi diventa imprenditore
a tutti gli effetti), mentre laiuto regista che sopravvive
collaborando a spot pubblicitari già si avvicina alla
tariffa minima. Non parliamo poi dellattore/attrice
che cerca di farsi strada, perché lì ti aspettano
i Salvo Sottile dice la magistratura! che pretendono
di farti un rapidissimo corso di formazione sul
divano.
Idem per i giornalisti, gli architetti, i pubblicitari e via
enumerando.
In ogni mestiere si può isolare un gruppo numericamente
sempre più ristretto di geni (o sopravvalutati)
che impongono il proprio prezzo e una massa crescente di impiegati
di concetto costretti ad accettare quello che ti danno.
Si chiama, con un linguaggio certamente poco bello, ma in
qualche modo corrispondente allorrore che suscita in
chi vi è coinvolto, proletarizzazione dei ceti
medi. Un fenomeno analizzato in centinaia di libri,
documenti, analisi, articoli scientifici, ecc, già
negli anni 60. Tantè vero che proprio nel
68 e dintorni cominciarono le prime lotte che vedevano
insieme operai, impiegati e tecnici, due categorie fin lì
coccolate dal padrone.
E perciò: benvenuti nellinferno del lavoro salariato.
Lunica differenza tra lavoratori materiali e immateriali
è davvero, ora, il tipo di sporco che ti rimane sulle
mani o su altri organi. Basterà questo a distinguervi?
E quanto, allatto pratico del contrattare un salario?
La
dicotomia teorica
Sono debitore a Fumagalli e Lucarelli di una delle serate
più divertenti della mia lunga vita. Mi hanno infatti
costretto a leggere che quella tra salario e reddito è,
secondo la loro definizione, una dicotomia teorica.
Le dicotomie in filosofia, perché il termine
viene da questa disciplina sono figure
concettuali, coppie oppositive che permettono di distinguere,
nella realtà empirica, ciò che sembra tutto
sommato appartenere allo stesso ordine o genere. Uomo
e donna, per dirne una. Anche quando ci troviamo
di fronte a un/a transgender e va stabilito, quantomeno, da
dove viene a dove va. Così, tanto per potersi regolare.
Cè poi unaccezione volgare, propria delluso
quotidiano del termine teorico, che significa
invece in apparenza. In teoria potrei
vivere come un ricco, ma in realtà non
me lo posso permettere. Ma Fumagalli e Lucarelli sono due
ragazzi che stanno facendo carriera nellaccademia,
nelle istituzioni universitarie, formando ogni
anno gruppi di studenti. Non posso credere che usino le categorie
nel loro senso volgare. O invece devo?
Lavoro
e reddito
Passiamo al merito. Fumagalli e Lucarelli ci dicono che «Reddito
e salario non sono mai stati sinonimi, ma nel contesto attuale
le differenze si fanno più sfumate». Nonostante
la terziarizzazione delleconomia, non mi risulta chiaro
come possa accadere. Perciò temo che la sfumatura
dipenda da come si definiscono i due concetti. Meno rigorose
sono le definizioni, più facile diventa sovrapporle.
E giustamente i nostri ci dànno la loro definizione:
«il salario è la remunerazione del lavoro e il
reddito è la somma di tutti gli introiti che derivano
dal vivere e dalle relazioni in un territorio e che determinano
lo standard di vita».
Questa definizione di salario è certamente un po
povera, forse perché lo si dà per
residuale e dunque ininteressante; mentre ci si dilunga di
più a spese della precisione sulla definizione
di reddito: «la somma di tutti gli introiti che derivano
dal vivere e dalle relazioni in un territorio e che determinano
lo standard di vita». In un vecchissimo film di Nanni
Moretti si poteva vedere una ragazza che, a precisa domanda
(«come campi?»), rispondeva in modo rimasto proverbiale
(«giro, vedo gente, faccio cose»). E in effetti
lItalia è forse lunico paese del mondo,
specie da Roma in giù, dove un certo non immenso
numero di persone riesce a sopravvivere grattando
reddito da ogni relazione personale. Franco Piperno ne ha
cantato le lodi in Elogio dello spirito pubblico meridionale.
Nella letteratura giornalistica, ma anche scientifica, si
identifica il fenomeno come ricaduta tipica dei sistemi
clientelari. Se ci sei inserito, qualcosa acchiappi.
Basta non farsi domande sul da dove provenga a chi
sia stato sottratto quel denaro o quei beni.
Anche qui esistono dei livelli, per modo di dire, di
eccellenza (titolari di subappalto, pubblici amministratori,
facilitatori della connessione tra commesse pubbliche
e finto lavoro privato, ecc); mentre la massa della plebe
viene nutrita con le rimanenze (finte cooperative, finti lavori,
consulenze fantasiose, assegni pro tempore, invalidità
civili fasulle, elargizioni occasionali, elemosine vere e
proprie). In generale è un demi-monde ultraconservatore,
unescrescenza tumorale stabilizzatasi ai tempi della
guerra fredda e motivata dalla necessità
per il capitale di garantirsi un consenso politico
di massa sufficientemente ampio da contrastare il peso del
movimento operaio organizzato (sindacato, sinistra parlamentare,
ricorrenti movimenti più o meno rivoluzionari).
Allinterno di questo mondo, negli ultimi venti anni,
anche la sinistra antagonista, o come si chiama
ora ben dopo le amministrazioni di sinistra
e alla coda di questultime ha scoperto e ritagliato
una sua piccola sacca. Rivalutando concettualmente il fenomeno
(come si usa fare nella normale sinistra italiana: sei intenzionato
od obbligato a fare una cosa prima disdicevole? spiega che
prima era tutto diverso, ora siamo in una nuova condizione;
usa nuove formule verbali, chessò, guerra umanitaria,
per esempio).
E un mondo ormai aggredito dalla necessità del
risanamento dei conti pubblici e svuotato di necessità
politica (il bau-bau comunista non fa più
paura). Ma che resiste e, anzi, chiede più spazio (più
reddito?).
Ci sono poi molti altri esempi di reddito generato
dalla somma di tutti gli introiti che derivano dal vivere
e dalle relazioni in un territorio e che determinano lo standard
di vita. A volte si vede gente che scambia bustine contro
soldi, prestazioni sessuali contro soldi o avanzamenti di
carriera (o apparizioni televisive, naturalmente; mica vorremo
dimenticare questa essenziale forma di lavoro immateriale!).
Avviene nelle strade, nelle anticamere, sui luoghi di lavoro,
sugli autobus o in metropolitana. In nessun caso, però,
vediamo scambiare reddito (prosaicamente: denaro
liquido) contro nessuna prestazione o oggetto duso.
E qui siamo al punto. Lelemento centrale della riproduzione
capitalistica è per lappunto lo scambio. E
la posizione il ruolo che si agisce nello scambio
che permette di distinguere che tipo di reddito, alla fine
della fiera, ti metti in tasca.
Perché diciamo le cose come stanno reddito
è un concetto generale, che la scienza economica (sia
quella classica che la critica delleconomia
politica, sia di ascendenze keynesiane che liberiste
o addirittura marxiste) usa distinguere a sua volta in tre
categorie: profitto, salario, rendita.
Il profitto è la quota di valore che va allimprenditore
che ha investito capitale in una attività produttiva
qualsiasi; il salario è la remunerazione del lavoro;
la rendita è la quota di valore che va ai proprietari
di beni e risorse in genere non riproducibili capitalisticamente
, che vengono usati nel processo produttivo. E
rendita, per intenderci, quella che viene pagata al proprietario
di un giacimento petrolifero dalla compagnia che materialmente
estrae il greggio; è rendita laffitto che viene
pagato al proprietario di un terreno o di un appartamento;
sono rendita gli interessi sui titoli di stato. E così
via. Niente è gratis.
Dovè, perciò, che la differenza tra salario
e reddito va sfumando?
E labc che apprende ogni matricola iscritta a
economia e commercio, se per caso non lha imparato prima,
magari allistituto tecnico per ragionieri.
Ma che materia insegnano, alluniversità, Fumagalli
e Lucarelli?
Casimiro,
26 luglio
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S. è un giovane compagno. Uno studente universitario,
cresciuto dunque tra routine di facoltà e frequentazioni
abituali nel quartiere di San Lorenzo, "culla" de
La Sapienza. La sua è dunque una voce "da
dentro" questa generazione di inizio millennio. E mostra
di averne capito, forse meglio di noi, ma con un impianto
simile, ragioni, dinamiche, commistioni.
Perchè
i manga?, si chiede Odradek. Dovrebbe domandarsi perché
l'antifascismo a Roma si rappresenti così. Qual è
il meccanismo socio-culturale che ha portato a tutto ciò.
Provo a dirlo? Grazie al veltronismo imperante l'antifascismo
è stato confinato nella gabbia della soggettività
comunitaria. Non più valore fondativo ma istanza sub-culturale.
In quest'ottica forse non ci sarebbe da meravigliarsi troppo
se la sub-cultura antifascista si va a intersecare con unaltra
sub-cultura, quella fumettara.
I confini la banda Veltroni li ha stabiliti e, a mio avviso,
sono ben saldi, non c'è via d'uscita. Una targa a Valerio
Verbano nel Parco delle Valli, e una a Paolo Di Nella a Villa
Chigi, entrambi "vittime della violenza". Per la
serie, quando il revisionismo storico si fa Istituzione. Se
poi un gruppazzo di ex compagni di scuola di Verbano insieme
a qualche altro gruppazzo di giovinastri di Montesacro-Talenti
si mettono in testa di ricordare colui che era uno dei più
coraggiosi militanti dell' autonomia operaia anni '80 in altro
modo, quindi valicando il confine tracciato, cazzi loro. Nell'ultimo
anniversario dell'uccisione gli fu dedicato un murale a viale
Ionio, che venne sfregiato con svastiche due giorni dopo,
o addirittura la sera stessa, non ricordo. Non contenti di
ciò, i fasci si sono presi la briga di assaltare il
CSOA La Torre nel corso di un'iniziativa. L'istituzione se
ne è lavata le mani , "Che vi avevamo detto?",
gli mandò a dire paternalisticamente il Walter.
Casa Pound e le altre occupazioni "non conformi"
hanno pari diritto di esistenza delle altre, fanno capire
poi dal Campidoglio, e allora perchè accanirsi contro
l'ex carabiniere patron di una piccola casa editrice di tendenza
come Castelvecchi? Ma un tempo non si diceva non sparate sui
pagliacci?
Sempre per rimanere nell'ambito dell' editoria, come non menzionare
il best-seller Cuori Neri di Luca Telese, altro tentativo,
a quanto pare commercialmente riuscito, di dare forma e dignità
all' immaginario dell'altra parte.
Le direttive calate dall'alto son queste, ma per quel che
riguarda il comportamento della "base", o meglio
di una parte assai consistente di essa, non c'è proprio
da sperare: tra chi si richiama all'antifascismo militante
e chi al fascismo squadrista la pacifica coesistenza è
possibile!
E' possibile allo stadio come nei quartieri. San Lorenzo è
un caso emblematico, pare che stia facendo scuola non solo
a Roma. I "compagni" del posto dialogano e si spartiscono
il territorio con i naziBoys della Roma da almeno un decennio,
facendo cordone su una "complicità delle logiche
di strada", alquanto sbilanciata però. Il caso
Zappavigna è esemplificativo.
Paolo Zappavigna, un'adolescenza passata tra crimine più
o meno organizzato e i Nar, di cui il fratello era un leader
di spicco; asceso negli anni '80 a capo indiscusso dei Boys
Roma. Non dei semplici supporters di una squadra di calcio,
ma crocevia di estremismo di destra, spaccio di droga e business
calcistico steccato con la stessa società sportiva.
Il nostro però non era solito frequentare forza nuova
o la fiamma tricolore, ma uomini politici della cosiddetta
sinistra radicale. Con Paolo Cento scrisse una proposta di
legge contro la repressione nelle curve, e in occasione di
feste e ricorrenze rionali offriva il suo contributo e quello
della sua teppa di concerto con i consiglieri di area disobbediente
del III municipio. Quando morì a seguito di un incidente
stradale Alessandro Mantovani e Andrea Colombo sul Manifesto
gli dedicarono un necrologio che in altri tempi si riservava
a militanti caduti in battaglia. Ora un murale a lui dedicato
campeggia a via degli Equi, e a nessuno verrà in mente
di imbrattarlo.
Bene, su queste basi, che senso ha scendere in piazza per
il 25 aprile sotto i gonfaloni dell'Urbe tutti assieme appassionatamente?
C'è una memoria e una conseguente prassi condivisa
da ribadire? Mi pare di No, quindi la ricorrenza perde di
senso e di significato, diviene un evento intriso di velleitarismo,
un'ammucchiata decisamente caricaturale. Così tra foto
sbiadite e discorsi di commiato triti e ritriti, spuntano
anche i manifesti con i manga.
S., 7 maggio 2006
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F.M., uno dei nostri autori, da noi molto apprezzato, ci invia
una lettera interlocutoria sul dibattito relativo al manifesto
del 25 aprile. Interlocutoria perché spezza la plumbea
atmosfera con cui abbiamo trattato la discussione impostandola
fin dallinizio come feroce contrapposizione. Eccola:
Non
generazionalizzare.
Per quanto riguarda il dibattito con i giovani non ho idee
molto chiare.
Non sarei propenso a "generazionalizzare" troppo
la questione dellimpoverimento culturale; e salverei
il genere della parodia e, in parte, perfino Paperino. Certo,
il dibattito è un dialogo tra sordi, e questo, va bene,
è inevitabile: fa il paio con la mia formula del "parlare
ai muri". Che si deve specificare, però, perché
cè muro e muro. Così, in questo caso,
cè sordità e sordità. In cosa consiste
questa specifica sordità? A me pare che consista nella
rimozione della forma. Del valore della forma. Qual è
in fondo il motivo del contendere? Cè un anniversario
e viene commissionato il disegno per un manifesto. Il disegnatore
assume il tema (la Liberazione) e lo tratta con il suo stile
(fumettistico, americano o nipponico che sia, questo è
meno importante definirlo). Per lui non ci sono problemi;
il contenuto è dato, la forma pure (è il modo
- forse, lunico modo - in cui sa disegnare). Ecco il
punto: e se il contenuto e la forma non fossero "dati"
manco per niente? Se si trattasse di ragionare su entrambi?
Da un parte riflettere su cosa ci importa oggi della Liberazione,
perché la ricordiamo, perché non la vogliamo
perdere, ecc. ecc.; dallaltra parte: qual è lo
stile che serve a reinterpretare oggi la Liberazione nel modo
migliore (strategicamente) per noi? Alla luce di queste domande,
lo stile non può essere il primo che càpita;
bisogna interrogarsi prima di tutto sulla "ideologia
della forma", sulla sua provenienza e sulle implicazioni
culturali dei suoi segni, e sul suo rapporto con lo specifico
contenuto. Infatti, è stato giustamente notato che
quella forma tradisce, o quanto meno distorce quel contenuto.
Ma la rimozione della forma è un fenomeno decisamente
diffuso, non nasce oggi, si inserisce nella perdita di strumenti
critici del nostro panorama culturale. Le nuove generazioni
sono come il mercato della nostra generazione le ha prodotte
per essere consumatori. Glielo imputeremo come colpa?
Per non avere idee ho risposto pure troppo. Basta così.
A presto, cari saluti,
F.M., 2 giugno 2006
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La
filosofia del giorno prima
Su il manifesto di oggi, primo giugno, Benedetto Vecchi
"scopre" che i "lavoratori della conoscenza",
lungi dallessere e dal sentirsi il "nuovo soggetto
sociale" che scardina certezze e modi dessere del
fordismo, si lamentano di una condizione professionale ed
esistenziale invivibile. "Ci dicono spiega Cristina
Morini, giornalista Rcs che dobbiamo essere più
creativi, e molti di noi provano ad esserlo, mentre diminuiscono
i nostri diritti di lavoratori e lavoratrici". Precari,
insomma.
Bene. Potrebbe diventare lo spunto per mettere definitivamente
in soffitta tutto lo sciocchezzaio negriano (la distinzione
"valoriale" tra i "lavori materiali" e
quelli "immateriali", per dirne solo una), riconoscendo
che il "lavoro" è "umano". Ossia
che è applicazione dello sforzo individuale (fisico
e/o concettuale). E che la natura fisica del prodotto di questo
sforzo è assolutamente indifferente per colui che se
ne appropria (il "padrone").
Ma insomma: siamo nellepoca della globalizzazione, pieni
di padroni (in genere multinazionali) che fanno profitti contemporaneamente
con le automobili, i giornali, la tv, lacqua minerale
e le scarpe da ginnastica... e ancora stiamo lì a cercare
di individuare quel poco che resta a dividere il "lavoratore
intellettuale" (definizione di Marx, lo ammetto, ma che
grosso modo ancora significa "della conoscenza")
dal "lavoratore manuale"? Ancora lì a dare
una mano ai padroni di cui sopra nel dividere lavoratore da
lavoratore, e lavoratore "garantito" da lavoratore
"precario", e lavoratore "muscolare" da
lavoratore "cognitivo", ecc, invece di individuare
i terreni che li uniscono di fatto? Vado a naso: i contratti,
magari, tipici o atipici che siano.
Il negriano B.V., nellarticolo, si accorge dellinsostenibilità
"teorica" della contrapposizione che pure continua
a sponsorizzare non deve fare troppi sforzi, cera
un intero convegno a mostrargliela. Da buon negriano, perciò,
improvvisa la consueta via di fuga. "Il passo da compiere
è dunque una conoscenza attorno a una realtà
produttiva fortemente modificata e che mette in discussione
anche [corsivo nel testo, come a dire: che sorpresa!]
le pur innovative analisi sul postfordismo. Non tanto perché
sbagliate, ma perché è di nuovo cambiato il
panorama produttivo sociale".
Diamogliene atto: era arrivato a un passo dallammettere
che erano analisi sbagliate. Ma lì, sullorlo
dellabisso, non gli ha retto la pompa. Retromarsch.
Neppure un dubbio (epistemologico, almeno), sul fatto che
le "analisi pur innovative", se non sono state capaci
di prevedere lennesimo "cambiamento", possano
valere quanto una descrizione empirica buttata giù
da un sociologo senza laurea.
Neppure un dubbio, perché altrimenti bisognerebbe mettere
in discussione un impianto teorico che consente la sopravvivenza
di un piccolo circolo intellettuale (gli orfani di Pot.Op.)
che ha fatto del galleggiamento la sua unica arte.
Neppure un dubbio, perché altrimenti si perderebbe
quellaura così "post-moderna" che di
fronte al sole che sorge si limita a dire: "E un
nuovo giorno, ieri era tutto diverso". Pronto, domani,
a ripetersi dando però limpressione di dire una
cosa profondamente "nuova".
Chissà come mai un giorno viene dopo un altro?
Casimiro, 1°
giugno
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Irruzioni
- Qualche giorno fa un oscuro gruppo di "antifascisti"
sarebbe entrato nella sede della casa editrice Castelvecchi,
occupandola simbolicamente per qualche minuto intendendo così
significare la propria contrarietà alla pubblicazione
di un libro, di destra, sui centri sociali di destra, alternativa.
Il condizionale è dobbligo perché non
si ha notizia di interventi della polizia, né gli organi
di stampa se ne sono occupati (a parte il Corriere della sera,
ma due giorni dopo, con la prima pagina della sezione cultura
dedicata all"editore censurato" per osannarne
il tasso di liberalismo, spiegare come solo dai "leoncavallini
di destra" ci si possa attendere qualche novità
culturale e, infine, condannare ancora una volta "i comunisti").
Il "comunicato" di rivendicazione è ahinoi
privo di firma e non permette unidentificazione almeno
politica dei promotori. Difetto alquanto grave, quando si
pretende - con un gesto di "innescare una
riflessione sul problema del neofascismo oggi"
Il testo del comunicato è dal canto suo ancora più
oscuro. Mostra deferenza e subordinazione culturale nei confronti
del signor Castelvecchi ("rifiutiamo in maniera categorica
che una nota casa editrice di rilievo nazionale possa promuovere
le idee
"), e non ne mette in discussione neppure
per un attimo la collocazione politica, nonostante in rete
circolino circostanziati dubbi: vedi per es.,
http://italy.indymedia.org/news/2006/05/1077943.php
Il tono è insomma quello del "proprio Lei, che
ci ha insegnato tutto quello che sappiamo
".
Le due foto allegate su Indymedia ci dicono altrettanto poco.
Uno striscione poggiato sulla (signorile) cancellata dingresso
della casa editrice, anchesso senza firma, e una foto
del deliziato Alberto Castelvecchi che regge un cartellino
con su scritto "libere tutti".
Uno spot di autore ignoto, insomma, che ha attirato lattenzione
del Corrierone. Bella promozione, non cè che
dire. Anche se Castelvecchi lavesse pagata di tasca
propria sarebbe costata due lire. E il "ritorno"
è stato davvero niente male.
Come diceva il divo Giulio quandera allapice della
forma, "a pensar male si fa peccato
".
P.S. E se fosse stato davvero un gruppo di "antifascisti
romani"? Beh, ci sembra lipotesi peggiore. Tutta
quella "deferenza" nei confronti di un "editore
nazionale" e lassenza di qualsiasi argomentazione
sarebbero davvero il segno che la politica culturale dei Castelvecchi
ha fatto breccia e domina anche i cervelli di chi immagina
di "essere contro". Lasciateci un briciolo di speranza
Bachemaster,
26 maggio
>>Bacheca
(pagina 2)
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