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Ventiquattro
pezzi di Mario Lunetta variamente datati e di assai diversa
natura e profilo, eppure accomunati da unottica stringente:
quella della velocità meditata della lingua. È,
quella di questi racconti, una lingua che non costruisce mediazioni,
e invece determina cortocircuiti brucianti; un medium non
garantito dunque, che mette in gioco tutte le sue risorse
come un gambler vizioso alla roulette, e non attende risarcimenti
che non siano quelli strettamente legati allintensità
della sorpresa. Il lettore non deve aspettarsi da questi testi
nessuna connivenza, nessuna ruffianeria. La loro morale non
intende essere in alcun modo la stessa di chi li accosta perché
è una morale intrinseca allo stile e perciò
non ha coda e non lascia bave di sorta. Se è una lumaca,
è una lince truccata. Se è una lince, è
un ippopotamo cieco. Insomma, gli animals spirits di questi
racconti dellautore di Montefolle risultano inaddomesticabili
e da fruire con sospetto, anche quando si presentino con modi
cerimoniosi e impeccabile limpidezza formale. Li caratterizza,
alla fine, una spietata pietà: quella stessa a cui
rimanda il titolo, che in una metafora povera vuole racchiudere
limperdonabile orrore del mondo.
Si raccolgono in questo volume, oltre ad alcuni inediti, altri
racconti che hanno già visto la luce su quotidiani
e periodici tra la fine degli anni Settanta e i Novanta.
La principale ragione per cui è parso legittimo ordinarli
in volume consiste nel fatto che si tratta di testi tra loro
apparentati da un carattere metanarrativo, quando clamoroso
quando implicito. In quasi tutti, il côté teorico-saggistico
si abbranca alle zone più esplicitamente diegetiche
come una camicia di Nesso. Lasse che li sottende, allora,
non può che essere strenuamente stilistico. Ecco perché
chi li firma crede che questi testi abbiano soprattutto il
senso di perfidi esercizi di scrittura, la cui legittimazione
sta eventualmente in una autonomia (si stava per dire, in
una assolutezza) capace di difenderne almeno lonestà,
in quanto scandagli inventivi lanciati nella palude sorda
del mondo. Ciò non vuol dire, ovviamente, che questa
autonomia linguistica implichi una separatezza poetica
dal magma dellesistenza; ma che, al contrario, assuma
la responsabilità di decifrarlo (per quanto possibile)
coi mezzi di una letteratura che non rinunci ai propri azzardi,
interrogazioni, inclinazioni specifiche: con tutta la consapevolezza
che limpresa comporta. Ci sono, in questi ventiquattro
racconti, molti elementi discordanti e intrecciati: il dolore,
leros, lorrore, la paura, il senso di colpa, lo
smarrimento dellidentità, la morte. E infine,
il disperato amore per il mestiere di scrivere, tema che è
forse il più profondamente risonante al loro interno.
Lautore ha cercato di renderne il temibile spessore
affidandosi, manieristicamente e in modi surreali, a certi
Grandi Fantasmi della creatività letteraria; o allestendo
un piccolo scenario paròdico; o proponendo francamente
un racconto-saggio di chiara impronta allegorica. Il resto,
è allegria e incoscienza: altra allegria, si spera,
e altra incoscienza.
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Mario
Lunetta (Roma, 1934), poeta, narratore, critico
e drammaturgo. I suoi titoli più recenti: per la poesia,
Lettera morta, 2000; per la narrativa, Montefolle,
1999; per la saggistica, Invasione di campo, 2002.
Per Odradek: Soltanto
insonnia, 2000; insieme a F. Muzzioli e S. Sproccati,
cura lAlmanacco
Odradek di Scritture antagoniste.
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Francesco
Muzzioli su
MARIO LUNETTA, Cani abbandonati, Odradek, 2003
Non è facile, di questi tempi, nella prevalenza commerciale
dei testi-sceneggiature, tenere insieme la qualità della
narrazione e quella della scrittura. Lunetta lo fa. Nelle sue
pagine si racconta e si trovano i casi, le sorprendenti
scoperte, i ribaltamenti imprevisti, gli orrori più o
meno espliciti; ma si elabora anche il linguaggio con le capacità
semiotiche di esprimersi attraverso i dettagli e
le immagini. Cè il ritmo consecutivo dellazione
(Percorsi un breve corridoio, vidi che la stanza di destra
aveva la porta spalancata. Mi fermai), ma cè
anche la figurazione della scena (La notte cresceva, fino
a impennarsi su due, tre pinnacoli di silenzio, quindi precipitava
in un gorgo di fruscii, di tossi, di scoppi, di nuovi ululati,
di motori ringhianti) che volge verso lallegoria.
Il testo, insomma, comunica sia attraverso il cosa dice,
che mediante il come lo dice.
I riferimenti di cui sopra sono tratti dallultima raccolta
di racconti di Lunetta, dal titolo Cani abbandonati. Qui la
vocazione al poligrafismo (che significa in sintesi: gioco a
tutto campo e imperativo a utilizzare tutti gli spazi che si
offrono) lautore la esercita sfruttando le diverse forme
del testo breve: dal racconto a enigma o a tematica criminale,
alla riscrittura e alla metanarrazione di caratura saggistica,
al dialogo paradossale, alla prosa onirica, in una girandola
di stili e di impostazioni enunciative (io narrante, terza persona,
dialogato o narratori alterni) che tende nellarco
dei ventidue pezzi che compongono il libro a cambiare
continuamente, a vantaggio della ginnastica intellettuale del
lettore.
Questa fantasmagorica e abilissima varietà ha per sfondo
costante il disagio e degrado sociale in cui viviamo; un panorama
opaco ed oscuro, uno spazio caotico in cui esplodono sintomi
inquietanti (come il latrare dei cani che offre il titolo complessivo
del libro) e in cui larco narrativo è inevitabilmente
condotto a virare verso il peggio, trovando termine nella morte,
preferibilmente violenta. A questa tendenza dissolutiva non
sfugge nemmeno la figura stessa del narratore e dello scrittore.
Da tempo Lunetta è al lavoro, quantaltri mai, sul
fronte dellabbassamento dellio, con cariche fortemente
autoironiche. Anche qui lio è condotto davanti
allo specchio della crisi dellidentità (fino alla
domanda radicale IO sono io?), polverizzato nella
giostra di sosia e di doppioni, infine messo di fronte
al punto massimo della degradazione alla complicità
con quella società volgare, prepotente e nociva da cui
pretenderebbe differenziarsi (a questa reimmersione nel sociale
non si sfugge: anche se non hai mai ucciso materialmente
nessuno, tu sei un assassino). Pure là dove compare
un egli, non è altro che un io
camuffato e spostato giusto di quel tanto che dà agio
alla sua resa oggettivata e straniata, oppure al suo feroce
smascheramento.
Racconto crudele, da vera poetica dellorrore
(quella che lautore ha dichiarata e sostenuta di recente
in varie sedi), il testo di Lunetta va ormai naturalmente verso
il racconto di crimine, il noir, come miglior forma di rappresentazione
del conflitto e della dissoluzione dei rapporti sociali, e dunque
della impossibilità del dialogo. Una impossibilità
che investe anche la tematica erotica, dove il nostro autore
evita le facili soluzioni a base di patetico e mette in evidenza
la precarietà della relazione tra i sessi: basta un niente,
ovvero basta un segno, anzi il rovescio di un segno, come nel
gilè rivoltabile indossato al contrario (nel racconto
che ha per titolo appunto Double face), a dimostrare il tradimento
e a ribaltare latmosfera idilliaca dellamore nellaccecante
tormenta dellodio.
Allimpossibilità del dialogo
che stride con lillusorio buonismo del dialogo dato per
scontato fa da pendant il dialogo impossibile.
Tale è il dialogo con la letteratura del passato, che
fa riemergere dallarchivio del già-scritto le figure
e i personaggi-autori. La forma del Capriccio, ossia dellinvenzione
fantastica, consente di incontrare Dostoevskij (nei panni di
un bizzarro commesso in cirillico), Rossini perseguitato da
Giulio Cesare, Leopardi e le mummie di Ruysch, Wilde sottoposto
a dibattito, Scott Fitzgerald o Cézanne. La riscrittura
attraversa il tempo e ne sospende le leggi, viola il verosimile
producendo incontri inopinati, insidia la serietà della
letteratura volgendosi verso la parodia, rompe il diritto di
proprietà della scrittura nonché il sigillo del
ne varietur, rimette in circolo solide reputazioni. Nella riscrittura
lo stesso riverito nome dellautore medesimo (indicato
con le sigle Emme Elle o M. L., o semplicemente L.) fa capolino
e sparisce mescolato tra i suoi soggetti di carta. Un personaggio
che consente lattraversamento delle posizione letterarie
è infine, nel racconto conclusivo, nientemeno che il
diavolo, che riprende la parola come accompagnatore e alter
ego: è lui, fin dallinizio della partita letteraria,
a guidarla verso il lato raffinato e sulfureo della
spregiudicatezza, dellinsubordinazione e dellalternativa,
in difesa della libertà e dellindipendenza.
Il diabolico come equivalente dellinesauribile e bizzarra
inventiva, ma anche (come tale compariva di recente nel Lunetta
degli splendidi dialoghetti de La mela avvelenata) come rappresentante
della critica dei valori consolidati e della avversione al conformismo:
quel diaballein, quel mettersi di traverso, è precisamente
non altro che lobbligo di questa scrittura alla continua
deviazione.
In osservanza di questo principio, la narrazione deve essere
condotta al punto limite del narrativo. È il punto in
cui la scrittura esplode e predomina sulla finzione, i fatti
e lazione, che le sono necessari come traliccio. In questo
ultimo libro lunettiano, tale limite sincontra nel pastiche,
nella confusione di mosse e di personaggi (come nello spezzone
di film allinterno di Freedom, che accumula movimenti
grotteschi e inverosimili iperboli: Insomma, per non tirarla
troppo in lungo, i frammenti suddetti bucarono la mozzetta del
Santo Padre, impattarono Saturno, ferirono il muso di Marte,
si sparsero infine per il cosmo di tenebra in una specie di
festino dissennato e ubriaco); oppure nella scrittura
del sogno e nella sua chiave puramente allegorica (dove, in
Un cortile sporco e vuoto, rotolano matrjoske, lasciando uscire
zanzare e cicale
); ovvero, ancora, nella scena della crudeltà
che si accampa isolata nella lucida allucinazione dellincubo
(il lutto cannibalico di Cadaveri di famiglia).
Il lettore, qui, non è invitato a correre appresso allintreccio
né a immedesimarsi in emozioni predeterminate, ma a compiere
un percorso nervoso e sospeso, sempre in attesa del colpo a
sorpresa che rovescerà la percezione normale, del graffio
che solcherà la superficie rosea del reale, della fuga
per la tangente del fuoco dartificio linguistico. NellEra
della volgarità, il cui personaggio emblematico
è il cinico mercenario de Lintervista, la trama
del racconto è uno slalom verso il momento decisivo della
rivelazione del conflitto reale e verso lopera demistificante
della critica delle immagini e per immagini. |
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