|
|
|
|
|
|
|
Valerio Lazzaretti
VALERIO VERBANO
Ucciso da chi, come, perché
pp. 461 €
25,00
illustrato
con numerose foto
978-88-96487-15-0
<< ordina il libro>>
|
Quarta
di copertina
Valerio
Verbano venne ucciso a Roma, nella sua abitazione, il 22 febbraio
1980, davanti ai genitori legati e imbavagliati. Nessuna verità
giudiziaria è stata trovata finora, uno dei tanti "misteri"
d'Italia.
Ma i misteri, a lungo andare, risultano costruzioni
collettive, complicate spesso a bella posta, frutto di reiterate
omissioni e sistematici depistaggi. Una costruzione per l'immaginario,
fatta per nascondere facendo finta di indagare. "Ci vuole
orecchio" per capirci qualcosa, ma non è impossibile.
Lazzaretti si è immerso nel panorama della "destra
eversiva" che ha operato in Italia per più di
un decennio.
Attraverso l'analisi di interrogatori, verbali, sentenze e
documenti prodotti allora dai neofascisti. Senza però
farsene "fascinare", com'è invece capitato
a giornalisti abili a decontestualizzare i fatti per poi "parificare"
sovversione di sinistra ed eversione neofascista.
Tutto quel che si mosse a destra con le armi in pugno viene
qui radiografato. Si riesce così a connettere gruppi,
figure, mitologie anche differenti, gettando luce sul proliferare
di sigle sempre nuove e rivendicazioni multiple ideate per
sviare, creare confusione, mimetizzarsi e - anche allora -
cercare di "parificare" destra e sinistra.
Ma a seguire quei fili qualcosa infine si capisce. Anzi: molto.
Ci sono individui, armi, identikit, relazioni stabili, formule
retoriche che ritornano. Tutto quanto, insomma, può
tornare utile per trasformare un cumulo di "indizi"
in una serie di "prove". Anche sul piano giudiziario.
VALERIO LAZZARETTI
(Roma
1965), archivista. Ha collaborato alla realizzazione di due
documentari per Rai3, “La storia siamo noi”, Perché
Mario Amato? Morte di un magistrato (2006) e Valerio
Verbano: un omicidio anomalo (2007).
|
Su A
rivista anarchica, anno 41 n. 6, luglio 2011
appare una recensione di Guido
Salvini a "Valerio Verbano. Ucciso
da chi, come, perché" di Valerio Lazzaretti.
Il giudice Salvini è persona da noi molto apprezzata,
ed inoltre gli siamo molto grati per aver scritto
la Postfazione alla terza edizione di La
strage di stato, da noi edita, nella
quale scrive quella sentenza che altri giudici non
vollero scrivere.
La sua recensione è ampia, lusinghiera, piena
di riconoscimenti per il libro e per Valerio
Lazzaretti. L'unica eccezione che avanza
è per Odradek.
Ma già nella presentazione del libro fatta
a Milano, giovedì 5 maggio 2011, nella libreria
Odradek, il dottor Salvini aveva anticipato la sua
perplessità nei confronti della Introduzione
firmata Odradek. In quella sede abbiamo
avuto modo di rispondere. La trascrizione di quel
dibattito è poi comparsa su
PaginaUno. Eccola:
L’omicidio
di Valerio Verbano e la Roma di quegli anni
di Guido Salvini*
e Claudio Del Bello**
Incontro dibattito sul saggio Valerio Verbano.
Ucciso da chi, come, perché di Valerio
Lazzaretti (Odradek edizioni, 2011) alla libreria
Odradek di Milano, 5 maggio 2011
Guido
Salvini. Affrontare una vicenda come
quella dell’uccisione di Valerio Verbano non
è semplice, nonostante siano passati tanti
anni. Per la sua complessità e perché
è un caso ancora aperto dal punto di vista
giudiziario. Ebbene, il libro di Lazzaretti è
invece davvero completo e meticoloso: raccoglie tutte
le fonti giudiziarie e racconta in modo esaustivo
il contesto storico-politico in cui avviene l’omicidio
e in cui vive la Roma di quegli anni. Come magistrato
mi ha colpito il metodo di ricerca utilizzato dall’Autore
– che è un archivista, e questo collima
perfettamente con il lavoro approfondito e di prima
mano fatto sulla documentazione. Lazzaretti parte
dagli indizi raccolti subito dopo quel 22 febbraio
1980 – giorno dell’omicidio – e
racconta con una precisione estrema tutti i fatti
di terrorismo accaduti intorno, prima e dopo l’uccisione
di Verbano. Lazzaretti lascia aperto l’ultimo
capitolo, credo volutamente. Si comprende tuttavia
che gli elementi esposti via via nel libro –
e che i giudici avevano già, in qualche modo
– offrono una traccia che può portare
oggi all’individuazione dei responsabili. Penso
che nel saggio volutamente non siano citati alcuni
elementi, e cioè quelli che hanno riportato
alla recente riapertura delle indagini, per non creare,
ovviamente, un’interferenza con il lavoro attuale
della magistratura. Credo, insomma, che l’Autore
sappia di più di quanto ha scritto. Speriamo
quindi che questo libro possa avere, fra uno, due,
tre anni, un completamento, con il risultato, spero
positivo, della nuova indagine in corso.
Ma veniamo al fatto. Siamo a Roma, in un famiglia
della piccola borghesia di estrazione antifascista:
il padre, iscritto al Pci, è un dipendente
del ministero degli Interni, la madre è un’infermiera.
Una vita tranquilla nel quartiere Monte Sacro, un
quartiere importante di Roma. Nel 1961 nasce Valerio,
che dopo l’adolescenza sceglie, proprio per
l’origine famigliare, di iscriversi al liceo
scientifico Archimede. Non è una scelta casuale,
poiché Roma in quegli anni è divisa
a macchia di leopardo: ci sono i quartieri di destra
e quelli di sinistra, le scuole di destra e quelle
di sinistra. Il liceo Archimede è frequentato
da molti ragazzi di sinistra, al contrario per esempio
del liceo Giulio Cesare che è invece ‘territorio’
della borghesia romana di destra. Valerio inizia la
sua attività politica, in un collettivo che
si appoggia sia al liceo sia al quartiere, coniugando
la militanza politica con la sua grande passione,
la fotografia. Riceve infatti in regalo dal padre
una macchina fotografica con il teleobiettivo, e pensa
addirittura di diventare reporter, in quella vita
adulta che non avrà mai – quando viene
ucciso ha appena diciannove anni.
Roma vive in quell’epoca una situazione durissima,
perché a differenza di Milano non c’è
solo San Babila ‘nera’ e il resto della
città dove l’estrema destra ha poco spazio,
ma vie e addirittura interi quartieri in cui il ‘rosso’
non si avventura, se non a suo rischio, e viceversa.
Verbano svolge dapprima un’attività di
documentazione molto importante sugli sfratti nei
quartieri popolari, documentati a fini di rappresentazione
politica, poi usa il teleobiettivo per quell’attività
di catalogazione, schedatura e documentazione dell’ambiente
eversivo della destra romana; redige un vero e proprio
fascicolo, poi chiamato Dossier Nar (Nuclei armati
rivoluzionari), nel quale raccoglie nomi, foto, luoghi
di riunione, amicizie politiche e presunti legami
dei neofascisti con gli apparati dello Stato. Un’attività
che possiamo definire di controinformazione, così
com’era intesa in quegli anni, e che lo espone
molto: qualche mese prima dell’omicidio, riceve
infatti una serie di telefonate di minaccia. Inizia
a essere coinvolto in una serie di episodi, in uno
dei quali ferisce un giovane di destra e viene a sua
volta ferito da una martellata – e il dettaglio
del martello è importante, come si vedrà
successivamente, perché ritorna nella rivendicazione
dell’omicidio.
È il 22 febbraio 1980, ed è una giornata
normale. I famigliari di Verbano verso le 13.00 tornano
a casa, immagino che la madre prepari il pranzo, e
attendono che il figlio arrivi, come previsto, un’ora
dopo, finite le lezioni. Ma quando il campanello suona
non arriva Valerio, irrompono tre uomini, più
o meno mascherati – sono chiaramente dei giovani,
poco più dell’età di Valerio –
con due pistole, e fanno qualcosa credo di unico nella
storia degli omicidi politici: legano e imbavagliano
i genitori con del nastro adesivo, li tengono sottomira
e aspettano. Penso che l’aspetto più
terribile di questa vicenda sia proprio questo, l’attesa:
perché i genitori capiscono che quando il figlio
arriverà a casa succederà qualcosa di
catastrofico, e loro non possono impedirlo. Il ragazzo
torna, entra nell’abitazione e i tre giovani
lo aggrediscono. Verbano non è un ragazzino
indifeso, era un esperto di arti marziali, per cui
reagisce con decisione. L’azione – non
lo sappiamo – poteva essere programmata solo
come una gambizzazione o un interrogatorio; doveva
per certo essere un rito umiliante, Valerio doveva
essere legato con il guinzaglio per cani – che
viene poi ritrovato in casa – forse fotografato;
sta di fatto che si trasforma rapidamente in omicidio
perché Valerio si difende. Un primo neofascista
spara, ma il proiettile non va a segno, mentre il
secondo lo ferisce mortalmente e Verbano muore qualche
ora dopo in ospedale.
Il dettaglio dell’arma utilizzata è importante,
nel libro ne è anche riportata una fotografia:
è una pistola con un lungo tubo, un manicotto,
che funge da silenziatore. Quella nella foto non è
l’arma che ha ucciso ma l’altra, abbandonata
dagli assassini nella casa. È un elemento assai
indicativo perché una vecchia pistola come
questa, una calibro 7.65 con il silenziatore, acquistata
nei giri della malavita, è a Roma un po’
il marchio di fabbrica dei gruppi di estrema destra
dell’epoca; un’arma assolutamente identica,
per tipologia, ha ucciso due anni prima a Milano Fausto
e Iaio, nel marzo del 1978. Gli assassini di Valerio
lasciano inoltre sul posto un passamontagna e uno
zucchetto di lana, che probabilmente perdono nella
fase concitata dell’agguato.
L’omicidio ha una grandissima risonanza, proprio
per la militanza politica di Verbano, e scatena non
solo le prevedibili azioni dei gruppi dell’Autonomia
e di altri, che ai margini delle manifestazioni compiono
episodi di violenza, ma addirittura una carica con
lacrimogeni della polizia sui manifestanti all’interno
del cimitero del Verano, dove Valerio viene sepolto.
A dimostrazione dell’estrema tensione del momento.
L’omicidio è attribuibile fin da subito
all’area dell’estrema destra, in particolare
al gruppo dei Nar, ma le indagini della magistratura
non approdano a nulla e presentano anzi gravi errori,
come la mancata conservazione di quel passamontagna
e di quello zucchetto, distrutti recentemente, benché
la prova del Dna, come tante indagini ci insegnano,
avrebbe potuto portare a qualche nuova traccia.
Nella storia di questo delitto, l’aspetto delle
rivendicazioni è molto importante, perché
consente di avere una cartina di tornasole della Roma
di quel periodo – nel giro di due/tre anni vengono
uccisi qualcosa come venti ragazzi tra i quindici
e i vent’anni, e non in atti di terrorismo classici
come quelli delle Brigate rosse o dei Nar o nelle
stragi, ma ammazzati da coetanei, sottocasa o in scontri;
un paio sono addirittura uccisi per caso, ragazzi
che si trovavano in luoghi di sinistra ma che con
la politica avevano poco a che fare, e ragazzi che
si trovavano in luoghi di ritrovo della destra uccisi
solo perché frequentavano un certo bar.
Subito dopo l’omicidio inizia la fase, classica,
del depistaggio: una serie di volantini, firmati “Gruppo
Proletario Organizzato Armato”, indica una pista
di sinistra, come se Verbano fosse un delatore –
un’ipotesi assurda, ma pare che esistesse un
gruppo specifico, nell’area dell’estrema
destra, che si occupava di mettere in circolazione
questo tipo di volantini depistatori.
Alla fine, arriva anche il volantino vero, scritto
da chi ha ucciso Valerio. Il libro lo riporta, e si
può notare l’intestazione molto particolare:
“Nar, comandi Thor, Balder e Tir”. Thor
è quella divinità nibelungica che colpisce
con un martello, e il martello riporta a quello scontro
che Verbano aveva avuto poco tempo prima con un gruppo
di neofascisti – tra questi vi era Nanni De
Angelis, un personaggio importante della destra romana
che morì anni dopo in circostanze legate a
violenze da parte della polizia. Il volantino si può
definire fascista in modo classico: scrivono di avere
già colpito con il martello in vari quartieri
e che altri martelli sono pronti a fare altrettanto,
a sgombrare la strada dai piccoli vermi, come Autonomi,
militanti del Pdup e del Movimento studentesco, in
nome della rivoluzione fascista che vincerà.
La rivendicazione è da ritenere sicuramente
autentica perché cita alcuni particolari dell’omicidio
e – aspetto molto importante – non è
diretta solo all’esterno ma è anche un
messaggio rivolto all’interno del mondo di destra.
Dobbiamo infatti ricordare che i Nar non erano un
gruppo centralizzato come le Brigate Rosse. Si poteva
farne parte condividendo le idee e le scelte e agendo
poi autonomamente, con licenza di qualificarsi tali;
un po’ come è avvenuto per Al-Qaeda oggi.
Una volta raccolta l’“ispirazione”
ideologica, un gruppo dichiara che agisce come agirebbero
i Nar, ognuno compie azioni per suo conto e ha il
diritto di farlo, autoiscrivendosi a quell’area
e condividendo covi e armi.
Tuttavia accade qualcosa di molto particolare: compare
subito dopo un volantino a firma Nar – quindi
risalente allo stesso gruppo e che Fioravanti, in
seguito, ha riconosciuto come scritto da lui e da
altri dei suoi – nel quale si afferma che azioni
come quella contro Verbano non devono più avvenire.
Il nostro vero nemico è lo Stato, si legge
nel volantino, abbiamo ormai già iniziato a
colpire magistrati e poliziotti mentre ci sono ancora
questi gruppi che pensano che la rivoluzione si possa
fare continuando a uccidere i compagnetti –
cioè gli adolescenti che sono dall’altra
parte. Se riusciamo a stabilire un’intesa tattico-strategica
con il fronte dell’ultra sinistra contro lo
Stato parlamentare, democratico, borghese –
continua il volantino – questo sarà il
vero modo per avviare una rivoluzione.
Fioravanti quindi, uno dei capi storici dei Nar, sconfessa
il gruppo che agisce ancora nella logica classica
del neofascismo romano. In quel periodo infatti inizia
a emergere una tendenza, per altro mai raccolta dagli
interlocutori di sinistra, che si colloca all’interno
di quello che viene chiamato lo ‘spontaneismo
armato della destra’. Nascono una serie di formazioni
che propongono all’area eversiva di sinistra
un’alleanza tattica, per esempio il gruppo Terza
Posizione, il cui nome indica appunto l’intenzione
di non presentarsi né come capitalisti né
come comunisti, ma di voler superare con ideologie
che possono essere populiste, peroniste o chissà
che altro, l’idea di essere su fronti opposti.
In questa operazione c’è, con tutta evidenza,
anche un senso di inferiorità dell’area
eversiva di destra rispetto a gruppi come le Brigate
rosse, Prima linea o altri, che ben altre capacità
e progettualità avevano mostrato rispetto ai
Nar.
Avvengono anche singolari passaggi di persone dalla
destra alla sinistra, esiste addirittura, nella zona
di Ostia, un’agenzia criminale di un certo Egidio
Giuliani, che ricompare anche nella vicenda Verbano,
che si occupa di documenti falsi, armi, silenziatori
e che vende sia a esponenti di destra, sapendo che
sono di destra, sia a esponenti di sinistra, sapendo
che sono di sinistra. È chiaro che a un ricettatore
qualsiasi non importa l’area politica del ‘cliente’,
ma in questo caso quello che si teorizza è
proprio un’azione contro lo Stato che può
essere portata avanti dagli uni o dagli altri ma,
almeno così lo teorizzava la nuova destra ‘spontaneista’,
in sintonia.
È molto importante per esempio la scoperta
del ruolo indiretto di Egidio Giuliani, personaggio
ambiguo che riforniva di armi entrambi i campi, nell’omicidio
Verbano. La compagna di Giuliani, Laura Lauricella
– che interrogai anch’io a quei tempi
– affermò, credo in modo plausibile,
che il silenziatore montato sull’arma era stato
ceduto da Giuliani a Roberto Nistri, membro dell’estrema
destra romana, che a sua volta lo aveva consegnato
a quelli che avevano poi ucciso Verbano.
Elementi su cui indagare insomma ce ne sono, partendo
dalla vicenda del silenziatore, anche se i pentiti
di destra parlano pochissimo sull’omicidio Verbano
e non sappiamo perché: se perché non
sanno o se più probabilmente perché
non ne hanno voluto parlare, considerando che l’ambiente
della destra eversiva non era molto ampio, circa duecento
persone, non di più. Di sicuro gli assassini
di Valerio non sono i capi dei Nar, i personaggi come
Fioravanti, Cavallini, Belsito, che si sono resi responsabili
di molte azioni ma non di questa, ma personaggi minori
appartenenti a un sottogruppo che come una meteora
nasce, colpisce e sparisce, e che rivendica solo questa
azione tramite il volantino. Questo modus operandi
è tipico delle organizzazioni di estrema destra,
ed è ciò che ha reso difficile molte
indagini. Ci sono gruppi che sono come momentanei
aggregati, delle bolle che nascono e muoiono, si scindono
e che vivono anche di amicizie, di quel comunitarismo
che è molto forte nell’estrema destra.
Anche l’omicidio di Fausto e Iaio fu rivendicato
con un volantino, considerato autentico, firmato da
una formazione che nasce e muore con quell’azione,
e che si chiamava “Esercito nazionale rivoluzionario
Nar – brigata combattente Franco Anselmi”
– Franco Anselmi era un camerata di Fioravanti,
morto durante una rapina in un’armeria. Un gruppo
formato probabilmente da personaggi non di primo piano
e che proviene da Roma per uccidere a Milano, e questo
è un altro elemento molto importante, insieme
al tipo di arma, una calibro 7.65, la stessa utilizzata
nell’omicidio di Verbano, che avvicina i due
episodi.
Tra l’altro, anche Fausto e Iaio avevano fatto
attività di controinformazione, forse non così
ampia come quella di Valerio, ma di certo ciò
li aveva esposti. Sono due storie, quella di Fausto
e Iaio e quella di Verbano, che certamente hanno una
notevole analogia.
La vicenda di Valerio Verbano si interseca in qualche
modo, nel contesto giudiziario e politico dell’epoca,
con la storia di Mario Amato, un magistrato della
Procura di Roma, originario di Trento, a cui viene
affidato l’incarico di indagare sui gruppi della
destra eversiva romana. Lo dico assolutamente senza
parzialità: Mario Amato venne lasciato solo.
L’impegno che comportava occuparsi della destra
romana con la sua violenza diffusa e la sua potenza
di fuoco, avrebbe avuto bisogno della costruzione
di un pool di tre/quattro magistrati che si distribuissero
lavoro, incarichi e anche responsabilità e
rischi; eppure questo non venne fatto e mancò
un lavoro coordinato come quello contro le Brigate
rosse. Mario Amato si ritrova da solo con seicento
fascicoli, e nonostante il gravoso lavoro riesce per
esempio a cogliere l’importanza di ricollegare
all’area della destra eversiva una serie di
fatti non rivendicati, come rapine di autofinanziamento,
furti di macchine, scambi di documenti rubati, fatti
che incrociati tra loro possono portare alla scoperta
degli autori delle azioni politiche rivendicate.
Il giudice Amato fa un lavoro meticoloso e arriva
a risultati significativi per quegli anni e in solitudine;
studia la documentazione di Verbano e tra il ’78-79
dispone un certo numero di arresti nel mondo neofascista.
Riesce quindi a portare avanti un’attività
di contenimento, fino a quando i neofascisti romani
ne colgono la pericolosità e l’intelligenza
e lo uccidono, il 23 giugno 1980, quando, da solo
e senza scorta, aspetta l’autobus a una fermata.
Un’ultima considerazione, che ritengo molto
importante. Ho apprezzato molto questo libro, per
la sua serietà e completezza, tuttavia voglio
prendere qualche distanza dalla prefazione dell’Editore.
Non come magistrato ma come cittadino. Credo che nella
prefazione manchi la capacità di dire che la
morte di Verbano non trasforma la militanza nel suo
mondo in qualcosa in cui sia possibile identificarsi:
un impegno all’interno di un gruppo dell’Autonomia
che come area contribuiva, in quegli anni, a innescare
una violenza degenerata in ‘guerra privata’,
incapace di avviare una vera trasformazione politica
e umana della città e che ha provocato in quegli
anni la morte, nella sola Roma, di decine di giovani.
Claudio Del Bello.
Per prima cosa, rivendico fino in fondo la prefazione,
ricordando che in quegli anni l’antifascismo
ebbe una ripresa violenta e sanguinosa, ma in larghissima
misura provocata. Di più. Ricordiamoci che
l’antifascismo, più o meno militante,
fu aggredito da due retoriche diverse, spesso collegate
e dagli esiti paradossali: quella degli opposti estremismi
e quella del superamento dell’antifascismo.
La prima retorica, ricorrente sui giornali della borghesia,
tende a parificare fascisti e antifascisti quando
lo scontro diventa violento. È un dispositivo
mediatico e istituzionale che, come si vede ormai
sempre più sfacciatamente, arriva fino a parificare
partigiani e repubblichini, addirittura con disegni
di legge.
La seconda retorica si mostra come via d’uscita
offerta dai fascisti: unità contro il sistema.
E il libro documenta come fossero stati proprio i
Nar a offrire una tregua per combattere insieme il
Sistema. I ‘rossi-neri’, appunto. Ossia
quell’area di provocazione che dice: né
rossi né neri solo liberi pensieri. Esiste
anche una corrente della sinistra, propriamente negriana,
che afferma che è ora di smetterla con questo
discorso su fascismo e antifascismo, perché
i problemi sono altri, e il nemico è comune.
Il libro di Lazzaretti, tra le altre cose, getta in
qualche modo luce anche su questo momento di turbolenza,
che io non credo sia naturale, nativo. Non sono un
dietrologo, anzi, ma in questo caso sono costretto
a dire che dietro questi ricorrenti tentativi di mettere
insieme rossi e neri c’è lo zampino di
qualcuno; c’è un’intelligenza –
per non chiamarla intelligence – che viene da
lontano, dall’interno della storia delle stragi
di Stato, con lo scopo di creare confusione e occasione
di infiltrazione. Ancora oggi. Su facebook, per esempio,
esistono diversi profili e pagine che grossomodo fanno
capo alla rivista Indipendenza, che ha un Nistri –
il fratello di Roberto Nistri – tra i suoi fondatori.
Su quel sito si trova l’antologia, che continuamente
si rinnova, delle lotte contro il sistema ecc., e
soprattutto la ricerca di una mitologia comune: dagli
Arditi del popolo a Bobby Sands. Non è qualcosa
che appartiene alla storia di Roma, che invece ha
sempre avuto un antifascismo militante molto radicale
ed esclusivo. Durante la Resistenza sono morte migliaia
di persone in nove mesi, cosa che non è accaduta
in nessun altra città italiana e in nessuna
altra capitale europea. Successivamente, a cominciare
dai primi anni Settanta, si è innescato uno
scontro durissimo con un alto numero di morti, dal
momento che non c’è stata alcuna forma
di centralizzazione e la lotta politica è degenerata,
fino ad arrivare a personaggi come Egidio Giuliani
che forniva le armi sia ai gruppi di destra che a
quelli di sinistra.
Non c’è differenza tra rossi e neri,
tenta suadente il fascista. Non c’è differenza,
fanno eco i giornali dei benpensanti: gli opposti
estremismi. Si potrebbe anche concordare se il discorso
si riferisse a bande giovanili in lotta per il controllo
del territorio, o per diversa fede calcistica. Purtroppo
a questo schema semplice non può essere ridotto
quel periodo, questo episodio. Una parificazione –
gli opposti estremismi – che è arrivata
fino al cuore dell’elemento fondativo della
Costituzione e della Repubblica. Lo stesso Stato tende
a essere equidistante riguardo a princìpi e
valori fondativi. L’elemento che maggiormente
tengo a sottolineare nella nota editoriale è
che in ogni caso, senza voler giustificare la sua
attività, Valerio Verbano è stato un
compagno notevole, degno di essere ricordato con un’opera
come questo libro, che ritengo di poter definire scientifico,
soprattutto dopo le valutazioni del dottor Salvini.
Verbano, poi, era un compagno medio quadratico, faceva
quello che facevano gli altri, solo con più
intelligenza; dopo i mesi passati in carcere –
perché lo trovano mentre confeziona delle bottiglie
incendiarie – è sicuramente più
maturo e dai microfoni di Radio Onda Rossa prende
posizione contro questo scontro indiscriminato.
Queste le ragioni politiche della scelta di pubblicare
questo libro, ma ne esistono anche altre – e
credo che un editore debba sempre giustificare le
sue scelte editoriali.
Lazzaretti è un archivista, come sottolineato
dal giudice Salvini, e sulla base del suo lavoro la
Rai ha prodotto due ottimi documentari: uno su Valerio
Verbano – lo si può trovare anche su
YouTube – l’altro sul giudice Mario Amato.
“La storia salvata dagli archivisti”,
così ho iniziato la mia nota editoriale. E
penso che occorra ricominciare proprio dagli archivisti,
perché da un po’ di tempo molti storici
sono intrigati dalla narrazione, dal plot, dal format,
dalla fiction. Mi metto nei panni di un giovane storico
che si laurea all’università: ha davanti
a sé vent’anni bui, perché deve
lavorare a raccogliere, sulla base certo di un’ipotesi,
di un’idea, la totalità dei documenti.
Si dice ‘un brillante matematico di ventitre
anni’ ma nessuno dirà mai ‘un brillante
storico di venticinque anni’. Quindi se il giovane
storico è sedotto dall’idea del successo
non mi sento di condannarlo, ma lo tengo in sospetto.
Questo libro non ha un’introduzione né
una conclusione. Lazzaretti non cerca di sedurre il
lettore o di instradarlo. Questo libro è un
processo indiziario – tra virgolette, ovviamente.
Una via di mezzo tra la ricerca del giudice e quella
dello storico, o forse, addirittura, anche la Storia
dovrebbe essere un processo indiziario. Come editore
non ho spinto l’Autore perché arrivasse
a una conclusione, a far balenare davanti agli occhi
del lettore dei nomi, perché credo che il punto
non sia trovare l’assassino – un editore
non ha la veste né la forza per stilare mandati
di cattura, non ha il luogo in cui detenere e interrogare
gli eventuali accusati – ma l’accertamento
di che cosa è accaduto.
Lo storico e il giudice sono contigui, certamente
hanno a che fare con carte e documenti, hanno l’onere
di dover concludere, prima o poi, la loro vicenda,
collegando prove, fatti, testimonianze in modo logico;
mettendo insieme induzione e deduzione per arrivare
a una formulazione. In realtà, la possibilità
del giudice è molto ridotta, perché
la morte del reo estingue il reato. Pensiamo alle
tremende stragi nazifasciste: se il colpevole viene
a morire, il giudice si ferma. Lo storico, al contrario,
può occuparsi di qualsiasi evento. Quando il
giudice si ferma, tocca allo storico continuare, se
non con le stesse procedure, con la stessa logica.
La Storia, anche temporalmente, comincia quando finisce
il potere, l’applicabilità, della giustizia.
Il modo di scrivere e di applicare le leggi può
variare, e di conseguenza può variare il lavoro
del giudice, ma credo che molto meno possa variare
il modo di fare lo storico. Per entrambe le professioni
è importante la questione della contestualizzazione,
a cui non si può sottrarre né il giudice
né lo storico, e che si traduce nella completezza
e nella totalità dei fatti, in un lavoro di
classificazione dei dati e degli eventi per argomentare,
concludere e soprattutto sottoporre a verifica. Un
lavoro da scienziato, e per questa ragione definisco
scientifico questo libro, perché non si occupa
solo dell’omicidio di Valerio Verbano ma anche
di tutto quello che ruota attorno.
*
magistrato, giudice delle indagini preliminari nel
Tribunale di Milano fino al 2010, oggi Gip a Cremona;
si è occupato di diverse inchieste relative
all’eversione politica di sinistra e di destra
(Brigate rosse, Prima linea, Nar) e dell’inchiesta
sulla strage di Piazza Fontana
** editore, dal 1975 al 2009 ha insegnato Storia della
filosofia moderna e Filosofia della scienza nella
facoltà di Filosofia dell’Università
La Sapienza di Roma
Sullo
stesso tema, si veda anche: Guerra
civile: parificazione e rovescismo, revisione e rimozione
sul blog
di Odradek. |
Istruzioni
per l'uso
Valerio
Lazzaretti
è un tecnico della ricerca. Sa come si maneggiano
le fonti e i documenti.
La Rai ha mandato in onda due documentari, uno su Valerio
Verbano e uno sul giudice Amato, tutti e due sulla base
delle ricerche di Lazzaretti.
Non
a caso, allora, la Nota editoriale che abbiamo
posto all'inizio del libro comincia con «La Storia
salvata dagli archivisti». Ecco, il lavoro di un archivista,
di un tecnico dei documenti, anticipa, aiuta e può
surrogare sia il lavoro degli storici che quello dei magistrati.
Ma storici e magistrati molto spesso operano a partire da
un'ipotesi, la plasmano, la torcono, la forzano più
o meno. Lazzaretti parte dalla totalità dei documenti,
li valuta, li incrocia e sa dove andare a cercare quelli
che la ricerca dovesse individuare come necessari.
Non è solo Lazzaretti a fare ricerca documentale.
Quando abbiamo scritto «La Storia salvata dagli archivisti»
pensavamo anche a Vladimiro Satta. Fa l'Archivista al Senato,
e ha scritto due libri sulla vicenda Moro, dopo aver digerito
circa un milione e mezzo di pagine. Ebbene, dopo i suoi
libri i dietrologi, gli scrittori di misteri, i confezionatori
di storie mirabolanti - di docufiction, come si
chiamano adesso, - si sono dati una calmata.
Questo per dire che, quando si lavora con i documenti, con
tutti i documenti, dopo trent'anni, parlare di mistero è
come se non si volesse progredire, come se si volesse rimanere
a raccontare la stessa storia, come se si volesse mantenere
una ferita ancora aperta. Lazzaretti ha fatto un'inchiesta.
Ha ricercato, approfondito, analizzato, incrociato, verificato
e offerto tutti gli elementi - dopo averne scartato molti
altri - per tirare le conclusioni...
I nomi degli assassini? Ha poco senso sottolineare certi
nomi, quei nomi che il lettore non fa fatica a isolare e
a individuare. Ha molto senso invece riproporre un metodo,
una disposizione molto comunista, che poi era quella di
Valerio Verbano. La disposizione a guardare criticamente,
a cogliere, ad annotare. A costruirsi un quadro della realtà.
Per giungere a conclusioni, per giungere alla verità.
Ormai, dopo vent'anni di postmodernismo si ha quasi vergogna
a pronunciare questa parola. «La verità non
esiste», dicono. Tutto è narrazione, anche
la scienza è narrazione. Il mondo è l'insieme
delle narrazioni. Su Youtube si può rivedere
il documentario di La storia siamo noi, dedicato
a Valerio Verbano. Anche i fascisti intervistati fanno la
loro narrazione, se la raccontano. Ogni narrazione ha la
sua dignità - ci viene continuamente detto. A questo
punto, anche quella dei fascisti?
Alcuni giornalisti hanno raggiunto la notorietà proprio
offrendo dignità ai fascisti. Parificando, e rendendo
simmetrica la più conclamata delle asimmetrie. E
ultimamente qualcuno ha pure detto: né rossi,
né neri, solo liberi pensieri... Altri continuano
a invitare ad unirsi tutti contro il Sistema.
Il libro di Lazzaretti NON è una narrazione. È
avvincente, appassionante, ma non civetta con la letteratura.
Uno si ritrova con la mappa e le stratificazioni di classi,
ceti, e pure psicologie - quelle dei fascisti, sicuramente
abiette - che animavano Roma tra i settanta e gli ottanta.
Il quadro è nitido, non ci sono lacune. La verità
può essere raggiunta.
Molti
vogliono conoscere, allora, le risultanze, le conclusioni
del lavoro di Lazzaretti durato e costato sei anni. Come
editore, dico: leggetevi il libro, in modo che a un lavoro
durato sei anni, e molta fatica all'autore, corrisponda
il lavoro del lettore, se si vuole la fatica del lettore
- perché leggere è fatica ed esercizio di
responsabilità, mentre leggere fiction è
come guardare uno schermo; è un passatempo che quasi
mai comporta esercizio critico.
L'autore ha faticato, ora tocca al lettore di faticare,
leggere, capire, incrociare dati, dedurre. Provare a leggerlo
come se fosse un libro giallo. La metafora del
libro giallo serve a dire: non aspettatevi che vi si dicano
i nomi degli assassini. Di solito non lo si fa, anzi, proprio
chi ha il libro in mano prega che non gli si dica come va
a finire. D'altra parte autore ed editore non hanno la veste
per stilare mandati di cattura, né la forza per farli
eseguire, né il luogo in cui detenere gli arrestati
e interrogarli. C'è chi lo fa istituzionalmente.
Per questo ha poco senso sottolineare certi nomi, quei nomi
che non si fa molta fatica a isolare e a individuare. Mentre
ha molto senso riproporre un metodo, una disposizione molto
comunista, che poi era quella di Valerio Verbano. La disposizione
a guardare criticamente, a cogliere, ad annotare, a organizzarsi.
Odradek
Echi
di stampa
Giovanni
Bianconi,
Corriere della sera, 19 febbraio 2011,
clicca
Andrea Di Consoli,
Il Riformista, 23 febbraio 2011 clicca
Radio
Onda d'Urto intervista Valerio Lazzaretti
clicca
Giacomo
Russo Spena
su Micromega on line clicca
Notevoli
le recensioni
di:
Opinionista
sul
suo blog clicca
Alexik
su
Anobii clicca
Colpito
a morte in uno scontro di linea
Saverio Ferrari
da "il manifesto" del 16 aprile 2011
Valerio
Verbano. Ucciso da chi, come,
perché di Valerio Lazzaretti, un
testo, per diverse ragioni, assai prezioso.
Valerio Verbano, diciannovenne militante dell'Autonomia
operaia, fu assassinato a Roma il 22 febbraio 1980
da un commando di tre fascisti armati di pistola
e incappucciati, che irruppero alle 12.30 del mattino
nella sua abitazione, in via Monte Bianco, al quartiere
Montesacro. Legarono e imbavagliarono i genitori
e attesero che rientrasse dal liceo. Alle 13.40,
dopo una furibonda colluttazione all'ingresso dell'appartamento,
Valerio Verbano fu colpito da un proiettile calibro
38 esploso alle sue spalle. Morirà alle 14.05
al pronto soccorso del policlinico Umberto I. I
suoi aguzzini non furono mai scoperti nonostante
una rivendicazione a firma «Nar, Comandi Thor,
Balder, Tir» e una telefonata all'agenzia
Ansa, la sera stessa, con particolari al momento
non ancora conosciuti.
La galassia neofascista
L'autore di quest'ultimo libro, un archivista impegnatosi
inizialmente a raccogliere materiale per un documentario
Rai, ha qui condotto una vera e propria controinchiesta.
Una sorta di «processo indiziario» che
ha visto la luce poco prima che filtrasse, a febbraio,
la notizia dell'apertura di nuove indagini da parte
della Procura di Roma. Grazie alle testimonianze
di alcuni ex militanti di destra e ai moderni programmi
di grafica informatica si sarebbe, infatti, riusciti
finalmente a ricostruire alcuni volti. D'altro canto,
la madre di Verbano, che aprì la porta agli
attentatori, descrisse l'identikit di uno di loro
prima che si calasse il passamontagna, mentre un
vicino di casa li incrociò sul portone mentre
fuggivano. Si è ancora in attesa, invece,
degli esiti circa il possibile rinvenimento di tracce
biologiche sui reperti scampati nel maggio 1989
alla frettolosa distruzione ordinata dal giudice
istruttore Claudio D'Angelo. In casa Verbano gli
assassini persero un bottone e abbandonarono diversi
oggetti: un rotolo di carta gommata, un berretto,
un passamontagna, un guinzaglio, un paio di occhiali
da sole e una pistola 7.65 con silenziatore artigianale.
Ed è in particolare su quel silenziatore
e sul nastro adesivo che l'avvolgeva, emerso miracolosamente
da un polveroso anfratto dell'ufficio corpi di reato
del Tribunale di Roma, che si sta cercando di individuare
chi potesse averlo maneggiato. Ultimamente è
anche ricomparso dagli archivi dei carabinieri il
voluminoso dossier che fu sequestrato a Valerio
Verbano, dopo un suo arresto, avvenuto tre mesi
prima l'omicidio: 379 fogli dati per spariti, scritti
quasi tutti a mano, con notizie su centinaia di
estremisti di destra, sui militanti che gravitavano
nella lotta armata e sui finanziamenti che ricevevano.
Sul futuro delle indagini non possiamo dire nulla.
Diverse le ipotesi in campo: forse un omicidio non
preventivato, sfuggito di mano, in origine un tentativo
di «interrogatorio» per scoprire gli
informatori di Valerio, o una vendetta, magari legata
alla morte di Stefano Cecchetti, un giovane colpito
a pistolettate nel gennaio 1979 davanti a un bar
del quartiere Talenti frequentato da elementi di
destra. Lo stesso Valerio condannò l'episodio
intervenendo in diretta a Radio Onda Rossa.
In questo quadro il libro di Lazzaretti non si limita
a ripercorre le vecchie inchieste, a formulare ricostruzioni
o a scavare circa i possibili moventi. Si addentra
in profondità nel contesto neofascista romano
dell'epoca, fra il 1977 e il 1982, analizzando figure,
gruppi e «linee politiche» spesso differenti
se non in contrasto fra loro. Un'analisi accurata
che per alcuni versi getta una luce nuova su talune
dinamiche che caratterizzarono il terrorismo nero
nella capitale.
Conflitti interni
I Nar, apparsi per la prima volta il 23 dicembre
1977, rappresentarono un'etichetta, una sorta di
logo, dietro al quale operarono più gruppi
armati con ipotesi diverse: chi puntava ad alzare
il livello dello scontro nei confronti di polizia
e magistratura, a imitazione delle Brigate rosse,
e chi pensava di continuare a colpire gli avversari
storici di sinistra. Lo studio non superficiale
dei comunicati diffusi all'epoca dai Nar, in particolare
dopo l'assassinio il 23 giugno 1980 del giudice
Mario Amato, permette di cogliere questi contrasti,
a volte frontali, ma anche individuare le diverse
aree che componevano l'arcipelago di estrema destra.
Da un lato il gruppo di Valerio Fioravanti, Gilberto
Cavallini e Francesca Mambro, propenso ormai a ingaggiare
una lotta frontale contro lo Stato, e dall'altro
le strutture clandestine di Avanguardia nazionale
e Terza Posizione. Da qui anche la scelta dei primi
di ritenere chiusa l'esperienza dei Nar per connotarsi
attraverso nuove sigle come i Goad, i Gruppi organizzati
per l'azione diretta, mentre andavano proliferando
altri gruppetti inclini principalmente a colpire
a sinistra. Su questo versante anche la rivista
Quex, animata da alcuni detenuti di destra (Mario
Tuti, Edgardo Bonazzi, Angelo Izzo, Francesco De
Min e altri), con Fabrizio Zani, tra i fondatori
di Ordine nero, a far da terminale all'esterno,
tesa, tra l'altro, a ispirare e orientare le azioni
armate che venivano condotte. In un editoriale del
marzo 1980 comparve anche una spiegazione dell'omicidio
di Valerio Verbano, accostato ai giovani che sparavano
«nei bar 'di destra' a casaccio» per
«uccidere i ragazzini di 16 anni». Un'evidente
falsità che ricalcava il movente già
apparso nella rivendicazione telefonica.
Il quadro di attentati e violenze che emerge da
questa ricostruzione comprova, anche statisticamente,
come gli agguati fascisti fossero di gran lunga
superiori alle ritorsioni di sinistra. Un dato storico.
Come il fatto che per i fascisti «i processi
andavano abbastanza bene, con piccole condanne e
terminavano in brevi periodi», come ebbe a
dichiarare Cristiano Fioravanti, un tempo nei Nar.
In quegli anni non furono certamente casuali le
disattenzioni della magistratura. Anche nel caso
Verbano.
|
PRESENTAZIONI
di
VALERIO VERBANO. Ucciso da chi, come, perché
con Valerio Lazzaretti
*a MILANO Barona
Giovedì 21 aprile, ore 21:30 con Valerio di Horus Project,
allo ZAM Zona Autonoma Milano, alla Barona, via Olgiati 12
* a TARANTO
Venerdì 22 aprile, ore 20, Comitato di quartiere Città
Vecchia,
*a
MOLFETTA
Sabato 23 aprile 2011 ore 20:00
Centro sociale Le Macerie Baracche Ribelli
*a MILANO GIOVEDì
5 MAGGIO, alle ore 18
Guido Salvini presenta Valerio
Verbano - Ucciso da chi, come e perché alla Libreria
Odradek, Via Principe Eugenio 28.
*a ROMA Mercoledì
18 MAGGIO, alle ore 17
Davide Conti presenta Valerio
Verbano - Ucciso da chi, come e perché alla Facoltà
di lettere e filosofia, Università Roma Tre, via Ostiense
234
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
Odradek
Edizioni srl - Via san Quintino 35 - Tel e Fax. 067045 1413 |
|
|
|