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[Eduardo
M. Di Giovanni
Marco Ligini
Edgardo Pellegrini]
LA
STRAGE DI STATO
Controinchiesta
III Edizione
pp. I-X, 188 €
12
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dalla controcopertina
Leggere La strage di Stato serve a capire l'oggi, da dove viene questo paese, da quali storie sorge il presente, di quali infamie sia capace il potere pur di conservarsi. Un libro, ma soprattutto un metodo. Consigliato ai giovani, ove volessero iniziare a pensare con la propria testa, e a quelli che non lo sono più perché misurino la strada percorsa.
Un libro, dunque, non per “ricordare”, perché il metodo di cui si tratta non è l’esercizio della “memoria” – costa moltissimo coltivarla e dura sempre troppo poco – ma un modo di guardare il presente. Una diffidenza vigile, una convinzione non contingente delle proprie ragioni, un interrogarsi costante. Guardare con gli occhi bene aperti, non credere alle favole dei media, imparare a distinguere sempre (tra il compagno ingenuamente estremista e l'agente provocatore infiltrato, per esempio!).
Perché l'antagonismo ha bisogno di intelligenza, soprattutto. Di “rabbia” è fin troppo pieno questo schifo di mondo.
***
La
strage è di Stato, di Stato,
di Stato... Oh yes!
È
uscito sul Corriere della sera un articolo di Luigi
Ferrarella - qui
- doppiamente rimarchevole e straordinario, che già
nel titolo - «Una strage senza colpevoli»
L'ultimo falso di Piazza Fontana - riassume l'argomentazione:
non è vero che «la verità è ignota»,
che «la strage sia senza paternità», che
i misteri non siano stati totalmente diradati - dando con
ogni evidenza sulla voce al presidente Napolitano, che invece
esorta a continuare la ricerca. E fa i nomi di Freda e Ventura,
Zorzi, Maggi, Rognoni; dà per acclarati le coperture
e i depistaggi operati da consistenti apparati dello
Stato - Maletti e Labruna -, il ruolo dei servizi Usa la cui
catena di comando ha sempre controllato l'intera operazione.
Insomma,
con questo ineccepibile ancorché tardivo articolo,
il Corriere si chiama fuori - «Se poi i
liceali di oggi ignorano chi siano Valpreda, Pinelli o Calabresi,
e attribuiscono la strage di piazza Fontana alle Brigate rosse,
questo va sul conto di un’informazione adagiatasi negli
anni sui propri comprensibili meccanismi di routine, che per
definizione rendono poco notiziabile una vicenda così
lunga e segnata da esiti così altalenanti»
- con molta autoindulgenza, e molta amnesia. Come se non avesse
sbattuto il mostro Valpreda in prima pagina, e non avesse
gestito per decenni, in senso antioperaio ed eversivo, la
"strategia della tensione" e alimentato il putridume
della "maggioranza silenziosa". Comunque, meglio
tardi... Parlare di strage di Stato e strategia
della tensione, ora si può. Non è da estremisti.
Tuttavia, anche in questo articolo si omette di ricordare
come sia stato questo libro a
rappresentare il vademecum per tutti coloro che si
sono accinti ad indagare - come riconosciuto dal giudice Guido
Salvini.
O.,
13 dicembre 2009
p.s.-
Però, non c'è che dire, in quarant'anni abbiamo
assodato che a mettere la bomba a piazza Fontana non
sono state le Brigate rosse. Ma chi glielo dice ai mitici
liceali?
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*
Nella seconda edizione Odradek, abbiamo proposto
come III Appendice il testo dell’intervista del giudice
Guido Salvini che compare nel video “12 dicembre. Critica
allo Stato dei misteri” realizzato da SUTTVUESS.
Con il disappunto per la contraddizione che siamo costretti
a registrare. Il giudice Salvini, tra i pochi a continuare
le indagini sulle stragi di Stato, dimostra con la sua azione
di essere persona onesta e coscienziosa, sia pure avvalendosi
di tutte le scorciatoie meno presentabili che la legislazione
gli mette a disposizione, come “pentiti” e intercettazioni.
Vede con chiarezza i blocchi politici frapposti alle indagini
per 30 anni; vede che persino la sedicente “sinistra
di governo” ha rapidamente depennato dalla sua agenda
(ma non dalla propria retorica) la “ricerca della verità”
sulle stragi pur di sedersi senz’altri intoppi sulle
più scomode poltrone ministeriali (interni, giustizia,
presidenza del consiglio). Eppure, Salvini – forse per
la solitudine in cui lo ha condotto il suo indagare –
è costretto a sperare in un soprassalto di dignità
della Commissione parlamentare d’inchiesta sulle stragi.
Ovvero nell’“onestà” dell’organismo
che da quasi 20 anni, peggio che il “porto delle nebbie”
della procura di Roma, gestisce l’occultamento di ogni
verità possibile sotto un cumulo di ipotesi perennemente
riformulate e programmaticamente non verificabili.
Odradek,
dicembre 2000
* Nella terza edizione Odradek aggiungiamo come IV
appendice un’integrazione redazionale alla cronologia
che gli autori della controinchiesta vollero e una postfazione
del giudice Guido Salvini, che qui ringraziamo.
Odradek,
ottobre 2006
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Qui un'intervista a Davide Conti del 13 dicembre 2019.
Nota editoriale
La strage di piazza Fontana ha cambiato la storia d'Italia.
Su questo non esiste praticamente difformità di opinione
tra nessuno dei principali o secondari soggetti politici,
osservatori, politologi, storici attendibili o contafrottole
di bassa lega. Le bombe esplose il 12 dicembre inaugurarono
la strategia delle stragi, prolungatasi fino al
1980 quella con il bilancio più alto di vittime,
il 2 agosto, alla stazione di Bologna. Tutte incontrovertibilmente
stragi di Stato, ovvero stragi compiute da uomini facenti
parte direttamente degli apparati più coperti
dello Stato, oppure da fascisti da loro personalmente organizzati,
indirizzati, finanziati, protetti senza alcuna eccezione
fino al momento di andare in tipografia con questa
nuova edizione.
Il libro La strage di Stato ha a sua volta cambiato
la storia di questo paese. Non la mentalità della
sinistra, ma proprio la Storia in senso stretto. Ha
infatti impedito che la strage di piazza Fontana raggiungesse
il suo scopo: far scattare un riflesso d'ordine
nel paese, chiudere il biennio rosso '68-'69, rinchiudere
nuovamente gli studenti nel ghetto delle scuole e gli operai
nell'inferno delle fabbriche, senza più resistenze,
contestazioni, antagonismo.
Come è potuto riuscire un libretto scritto da 15 anonimi
compagni qualsiasi, alcuni dei quali allora praticamente bambini
(con il metro attuale), a fare tanto?
Con l'inchiesta, attenta e non indulgente alle facili suggestioni.
Una controinchiesta, più precisamente.
Ma andiamo con ordine.
Lo scopo politico della strage di Milano poteva essere realizzato
soltanto se tutta l'Italia fosse rimasta convinta che i responsabili
fossero alcuni di quegli estremisti di sinistra
che quotidianamente attraversavano in corteo le strade della
penisola. I più deboli tra quegli estremisti
sul piano politico, delle allenze o anche solo nell'immaginario
sociale erano gli anarchici. Loro fu deciso
nelle segrete stanze dei palazzi governativi e di quelli della
cospirazione governante dovevano essere indicati come
i responsabili di una mattanza tanto truce quanto ingiustificabile.
Non unazione di guerriglia, per quanto poco comprensibile
potesse essere. Una strage casuale, invece, indifferente nella
scelta delle vittime. C'è un legame di continuità
ma anche una decisa rottura con la strage di
Portella delle Ginestre, compiuta il primo maggio del '47.
Quella infatti aveva preso di mira una manifestazione sindacale,
i comunisti in festa sotto le bandiere rosse.
Troppo facile individuarne i mandanti politici. A Milano nel
'69 si prova a rovesciare le parti vittima-carnefice, ma ad
esclusivo beneficio dell'immaginario popolare.
Il gioco, si diceva, non riesce grazie alla resistenza del
movimento degli studenti, che istintivamente non accetta lidea
stessa che gli anarchici possano essere responsabili di una
strage del genere. Ma un ruolo enorme, decisivo, va al movimento
operaio, che fin dal primo momento si slega dalla tutela idiota
del Pci altrettanto immediatamente aggregatosi, tramite
il proprio quotidiano, l'Unità, al coro dei reazionari
che gridavano al mostro Valpreda.
Il gruppo di compagni che ha redatto questo libro, giorno
dopo giorno, dà corpo alla convinzione di tanti. La
strage è di Stato. E lo provano proprio smontando
pezzo pezzo l'"inchiesta" poliziesca che per mano
del commissario Calabresi, del questore Guida e del capo della
squadra politica, Allegra, si erano indirizzate "a colpo
sicuro" sugli anarchici.
L'altro elemento che scombina il piano di incriminazione
di Valpreda e compagni è la morte di Giuseppe Pinelli
all'interno dalla questura di Milano. Per giustificare questa
morte gli inquirenti milanesi fanno ricorso a
una massa di giustificazioni ad hoc che, nel loro
insieme, compongono un quadro senza senso, una massa di contraddizioni
che è da sola una ammissione di colpevolezza. Smagliature
nella trama della verità di Stato che doveva
seppellire gli anarchici e con loro il '68-'69
sotto l'infamia e la condanna popolare. Dentro queste smagliature
gli autori della controinchiesta infilano il robusto cuneo
dell'intelligenza politicamente orientata ma niente affatto
cieca o preconcetta. Fino a smontare completamente la versione
della polizia sia in merito alla strage di piazza Fontana,
sia alla morte di Pinelli. I due fatti stanno insieme, indissolubilmente.
Se gli anarchici sono innocenti, la polizia è colpevole
per la morte di Pinelli. E anche per la strage (sa chi sono
i responsabili, o chi l'ha ordinata, ma si muove consapevolmente
e volontariamente all'interno dello stesso disegno criminoso,
indirizzando le indagini nella direzione voluta da chi ha
compiuto la strage).
Di qui non si esce. La versione finale della procura di Milano
sulla morte di Giuseppe Pinelli (un malore attivo;
non proprio un suicidio, ma quasi) è un monumento all'impunità
dei funzionari dello Stato, all'ipocrisia del potere, alla
mai abbastanza riconosciuta dipendenza della magistratura
dal potere politico. Il fatto che l'archiviazione delle indagini
sulla morte di Pinelli porti la firma di Gerardo D'Ambrosio
è la chiusura di un cerchio logico e politico
-, non un incidente di percorso. Certo, oltre
DAmbrosio, alcuni altri santi delliconografia
ufficiale escono male da queste pagine. Lo stesso Calabresi,
credibilmente raggiunto da un attentato di sinistra, e Occorsio,
ucciso dal neofascista Concutelli, non fanno una gran figura
di democratici. Ma questo è un problema
di chi nel doppio Stato crede. Non degli antagonisti.
La controinchiesta non si limita a demolire quella poliziesca.
Va un attimo più in là, individuando nei fascisti
i possibili manovali di una strage decisa nelle
alte sfere. È straordinario come in questa autentica
inchiesta non venga mai smarrito il senso della realtà,
della misura, l'attenzione alla verità per come è.
Questo, infatti, non è un libro dietrologico. Non ricostruisce
fatti trascegliendo solo gli avvenimenti che possono far comodo
alla versione che si intende sostenere. Non chiude gli occhi
di fronte alla violenza dicendo cioè mentendo
che la violenza è solo fascista.
Sa vedere e distinguere la violenza dei fascisti, quella dello
Stato e anche quella del movimento antagonista. Se c'è
conflitto sembra banale dirlo, ma a molti suona oggi
quasi come un'eresia i colpi si prendono, ma si danno
anche. Questo libro non ha insomma nulla a che spartire con
quella subcultura della teoria del complotto universale
fiorita negli anni successivi. Gli autori non cadono mai nella
trappola della teoria del doppio Stato, cara ai
dietrologi (pseudo-storici) di ascendenza Pci che si sono,
al massimo, limitati a definire le stragi come semplicemente
fasciste. Non credono insomma che in Italia sia mai esistito
uno Stato buono che conviveva conflittualmente
con quello cattivo. Lo Stato era ed è soltanto
uno: l'apparato (i servizi, la polizia, i carabinieri, la
magistratura, ecc.) non si muove indipendentemente dal potere
politico. Ma lo Stato non è neppure la riproduzione
organizzata delle molteplici presenze politiche in parlamento.
Esistono anche nell'apparato i sinceri democratici
o semplicemente i funzionati onesti. Ma la controinchiesta
svela senza possibilità di errore come i secondi vengano
sempre rimossi, sostituiti, allontanati, quando la loro opera
non coincide con le finalità dell'azione generale dell'apparato.
Senza teoria del doppio Stato non ci può
essere dietrologia. La dimostrazione di una simile affermazione
sta tutta nel fatto che quasi quattro anni di governo di centrosinistra
(la stessa formula in vigore nel '69, ma con in più
una fetta consistente dell'ex Pci) e un ministro dell'interno
ex "comunista" non hanno fatto uscire dagli archivi
una sola notizia in più sulle stragi e i loro autori.
Quando i dietrologi sono andati al governo, insomma, la verità
sulle stragi è rimasta occultata esattamente come prima.
Il che dimostra non solo la loro malafede, ma l'inattendibilità
stessa della teoria. In questo senso La strage
di Stato è un libro sull'irriformabilità
democratica dello Stato, quanto meno di questo paese, sul
suo consistere reazionario indipendentemente dal succedersi
di governi che se ne servono senza mai metterlo in discussione.
Senza illusioni su una sempre invisibile parte buona
dello Stato, insomma, ci può invece essere la
capacità di vedere le cose come stanno. È questa
inchiesta che porta per la prima volta alla ribalta della
notorietà nomi che diventeranno tristemente famosi
nei decenni successivi: Sindona, Marcinkus, Rauti e tanti
altri che ricorreranno come una litanìa in tutti gli
scandali a sfondo golpistico tra i '70 e gli '80.
Dopo trent'anni le stragi sono ancora e sempre impunite.
È un'espressione ormai consunta. Perché mai
lo Stato dovrebbe punire se stesso per quello che ha fatto?
Perché dovrebbe, se i movimenti che lo misero in crisi,
e per la cui repressione la strategia delle stragi prese corpo,
non sono più sulla scena politica? Perché dovrebbe
criticarsi, se i suoi più accesi critici hanno percorso
in pochi anni la via del pentimento e l'approdo
al liberismo più selvaggio, al bellicismo senza remore,
alla distruzione sistematica delle residue garanzie della
forza lavoro?
Al contrario, quanti si sono opposti allo Stato stragista
qualcuno anche armi alla mano sono stati tutti
e più che duramente puniti. E oltre duecento
prigionieri politici di sinistra, e altrettanti esuli, a ventanni
dai fatti, stanno ancora lì a dimostrarlo. Come non
mettere a confronto la raffica di assoluzioni nei processi
per piazza Fontana, Brescia, l'Italicus, la stessa stazione
di Bologna, e i ben trentadue ergastoli dati e scontati
per il sequestro di Aldo Moro? Come non vedere che
i Merlino, i Delle Chiaie, i Tilgher sono tuttora personaggi
politicamente attivi, protetti, assistiti, senza aver praticamente
mai conosciuto la galera? L'evoluzione degli avvenimenti a
partire dal '69 non lascia molti dubbi. Al di là delle
diverse teorie e progetti politici dei diversi gruppi armati
di sinistra negli anni '70, è storicamente certo
evidente, diremmo che la straordinaria partecipazione
quantitativa alle organizzazioni armate di sinistra trova
una delle sue più forti ragioni proprio nella reazione
allo Stato delle stragi.
Un libro, dunque, non per ricordare. Leggere La
strage di Stato serve a capire l'oggi, da dove viene
questo paese, da quale storia sorge il presente, di quali
infamie sia capace il potere pur di conservarsi. Un libro,
ma soprattutto un metodo. Che non è lesercizio
della memoria costa moltissimo e dura sempre
troppo poco ma un modo di guardare il presente. Una
diffidenza vigile, una convinzione non contingente nelle proprie
ragioni, uninterrogarsi costante. Guardare con gli occhi
bene aperti, non credere alle favole dei media, imparare a
distinguere sempre (tra il compagno ingenuamente estremista
e l'agente provocatore infiltrato, per esempio!). Perché
l'antagonismo ha bisogno di intelligenza, soprattutto. Di
rabbia è fin troppo pieno questo schifo
di mondo.
Odradek
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A
proposito di dietrologie e misteri, a proposito del doppio
Stato
Abbiamo
ripubblicato questo libro senza pensarci troppo su. Ci sembrava,
da una parte, un atto dovuto, e dallaltra unoperazione
nemmeno troppo politica. Di memoria, più che altro.
Sbagliavamo. Perché in questo paese, in cui il passato
non passa mai, ogni operazione di memoria è unindagine
sul presente.
Lo Stato è sempre lo stesso lo stesso che negli anni
venti metteva le bombe allhotel Diana di Milano per
far ricadere la colpa sugli anarchici; sempre la stessa mancanza
di fantasia, tra laltro.
Ma lo Stato non è soltanto gli apparati che lo compongono,
è anche il consenso che riesce a costruire, o, in ultima
istanza, la capacità di decostruire le opposizioni,
la capacità di dividere, di mistificare, di disinformare.
Leggetevi larticolo di Sandro Portelli sul manifesto
che riguarda la proibizione di esporre striscioni razzisti
e fascisti; è stata interpretata da un commissario
di p.s. di Cagliari che ha fatto sequestrare uno striscione
dei tifosi perugini che riportava semplicemente il nome del
loro gruppo Armata rossa.
E non mi pare che qualcuno abbia protestato nei confronti
di un simile sopruso; men che mai i giornali. Anzi, i giornalisti,
sono i primi a reinterpretare benevolmente le interpretazioni
unilaterali che lo Stato, dal primo magistrato allultimo
agente, fa nelle sentenze o nellelevare contravvenzioni.
Prendi un principio, un assioma, unequazione e troverai
il bravo giornalista [Da.Lu., per essempio] che dirà,
ma basta, ancora? Distinguiamo...
Tu scrivi, stringendoti nelle spalle, quasi scusandoti dellovvietà:
La strage è di Stato e trovi subito un
giornalista che scrive, a proposito della prefazione che come
editori abbiamo premesso al libro:
Riproducendo lo schema amico-nemico, utilizzando analisi
semplificate sui fatti di quegli anni, ma anche su quelli
successivi, dividendo il mondo tra buoni e cattivi, rischia
di indirizzare unopera teoricamente indirizzata a tutti
(la verità non appartiene a nessuno) in quella destinata
soltanto a chi la pensa allo stesso modo.
Che dovevamo scrivere? che la strage è un po
di Stato e un po no? Dovevamo riconoscere, alla
maniera di Violante, le ragioni dei fascisti? Ahinoi, questo
libro è a prova di revisionismo. Non lo si può
edulcorare, né manipolare. Tanto è vero che
è no copyright e sta integralmente su Internet.
Non ci è venuto in mente, e nemmeno ce ne scusiamo.
Che la verità appartiene a tutti, inoltre,
non è affatto pacifico. La verità è un
processo innanzitutto, e poi un costrutto, unaffermazione
che vuole corrispondere alloggetto, opera del lavoro
(manuale e intellettuale); non un fiume o una pietra. La verità,
vogliamo dire, va trovata e riesumata. Come la libertà,
insomma. Cè chi la verità non vuole neppure
vederla, e chi fa di tutto per nasconderla.
Questo libro dimostra che la verità non appartiene
a tutti, ma solo a coloro che se la vanno a prendere, contro
tutto e nonostante tutti.
Non per polemizzare con questo giornalista. Ma ci critica
perché scriviamo che dopo trentanni, senza nessuna
condanna, lo Stato si autoassolve.
Altra affermazione che tutto ci sembrava meno che una forzatura:
lunico a farsi tre anni galera è stato Valpreda,
poi prosciolto.
A noi che scriviamo che lo Stato si autoassolve
Da.Lu. risponde:
«Non è proprio così, per chiunque abbia
letto lordinanza del giudice Guido Salvini. Fra laltro,
per avere ostinatamente cercato la verità (e non avere
assolto lo Stato) il magistrato e il suo investigatore principale
(un carabiniere, un giovane capitano) hanno entrambi pagato
uno scotto (procedimenti disciplinari e penali)».
Appunto. E noi abbiamo detto proprio questa cosa.
Anzi, forzando un po il nostro più intimo pensiero,
avevamo concesso: «Esistono anche nellapparato
i sinceri democratici o semplicemente i funzionari
onesti. (!!!) Ma la controinchiesta svela senza possibilità
di errore come questi vengano sempre rimossi, sostituiti,
allontanati, quando la loro opera non coincide con le finalità
dellazione generale dellapparato».
E allora, di che stiamo parlando? Se qualcuno ha fermato Salvini,
insomma, ciò dimostra proprio una volontà
di autoassoluzione da parte dello Stato.
Semmai abbiamo scritto una cosa ben più pesante, sulla
quale il giornalista ha sorvolato. Abbiamo attaccato le posizioni
dietrologiche, quelle dei costruttori di MISTERI, e che sui
misteri vivono di rendita. Misteri dopo trentanni, ma
andiamo!
Abbiamo scritto che non esiste doppio Stato -
uno visibile, buono, e uno occulto, cattivo -; abbiamo scritto
che lo Stato è uno, quello dei suoi apparati, delle
sue istituzioni; Commissione parlamentare sulle stragi
compresa, avremmo dovuto aggiungere. Nello spirito di
questo aureo libretto.
E concludiamo proprio con riferimento alla Commissione Stragi,
quella presieduta dal senatore Pellegrino. Se la Commissione-stragi,
col suo codazzo di consulenti e portaborse, avesse prodotto
in otto anni la decima parte di quanto Di Giovanni, Ligini,
Pellegrini & Co. hanno prodotto in sei mesi, noi non staremmo
qui a ripubblicare questo libro. Non si deve dire? qualcuno
si offende?
Fino a prova contraria, la strage è di Stato.
Da. Lu. (Daria Lucca?) ha tutto il diritto di non trovarsi
daccordo e di criticarci, per esempio quando dice che
una prefazione di 4 pagine non è molto approfondita.
Forse. Giudichino i lettori.
Daltra parte, volevamo scrivere una prefazione di servizio,
anodina, non molto caratterizzata, anche per via del fatto
che doveva trovare daccordo realtà editoriali
diverse tra loro. E anche perché non ci sembrava giusto
che, delegati ad approntare la pubblicazione da Un gruppo
dei compagni/compagne che indagarono e scrissero 30 anni fa
per smascherare la Strage di Stato, gli
editori debordassero dai loro compiti e mettessero il
cappello, con sproloqui chilometrici, su un libro
del movimento per il movimento.
Una rosa è una rosa, una rosa, una rosa...
La strage è di Stato, di Stato, di Stato...
Tanto dovevamo a chi ci ha delegato e ci ha dato fiducia.
Fiducia che peraltro ci è stata completamente riconfermata.
Odradek |
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Odradek
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