Il
sistema delle stelle non è altro che linsieme
di tutti coloro uomini di scienza e di religione, santi
e in odor di santità, capipopolo e artisti vari, attori
e cantanti, campioni dello sport e intrattenitori televisivi
nei confronti dei quali è in atto la pratica
diffusa dellindulgenza. Possono ingannare, rubacchiare,
scopiazzare, svillaneggiare, dichiarare orride scemenze e,
soprattutto, autocontraddirsi, senza che nessuno abbia niente
a che ridire o, meglio, senza che venga loro comminata fra
capo e collo una sanzione sociale appena percepibile. Si tratta,
insomma, di figure sociali che, con il consenso entusiastico
delle loro vittime dànno il loro cospicuo contributo
alle disparità delle relazioni umane e, alla finfine,
alle disgrazie del mondo. Questa antologia, non potendo risarcire
nessuno, si limita a denunciare il sistema delle indulgenze.
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Biagi
santino e il sistema delle stelle (1)
di Alfredo Ronci
da:www.paradisodegliorchi.com
La morte di Biagi ha giustamente riempito le pagine dei giornali.
Onore e merito ad un giornalista – e partigiano, di
questi tempi conviene sempre sottolinearlo - che ha sempre
svolto con dignità e passione il proprio lavoro. Ma
nei peana massmediologici – pur di quelli che erano
direttamente responsabili del suo allontanamento dalla tv
– si avverte la stantia predisposizione, come pratica
diffusa ed incontestabile, del supino ed acritico assenso.
Come a dire: è morto il migliore. Personalmente non
ho mai amato Biagi, pur rispettandone la statura professionale,
proprio perché non amo la deferenza a tutti i costi
ed aprioristica e non amo i pensatori moderati. Curiosamente
ho sempre avuto un certo rispetto invece per le intelligenze
“superiori” che, proprio perché superiori
spesso elaborano concetti borderline al limite della mia sopportazione.
Potrebbe sembrare una contraddizione in termini, ma non lo
è e consiglierei anche a chi mi legge di non cincischiare
sulle trite argomentazioni che vogliono le peggiori dittature
(e quindi dittatori, o viceversa) ammantati di indiscutibile
fascino.
Premetto ciò, e la morte di Enzo Biagi mi dà
un la non del tutto parziale, perché recentemente ho
letto due libri di autori di intelligenza superiore, ma spesso
talmente presupponenti da rasentare l’intolleranza:
il saggio pop di Franco Bolelli Cartesio non balla (Garzanti),
assolutamente inprescindibile per capire dove va il mondo
oggi e Antologia critica del sistema delle stelle di Felice
Accame di cui vado a discettare.
E’ una selezione - che lo stesso autore ha curato, scelto
ed adattato – di testi scritti per una trasmissione
radiofonica che dal 1985 Accame conduceva con Carlo Oliva
dai microfoni di Radio Popolare di Milano.
Della serie (e come diceva spesso mia madre): il più
pulito c’ha la rogna. Come dice il titolo, sfrucugliamento
analitico delle persone famose che godono di un privilegio
ben radicato nella storia della cultura umana. Artisti, sportivi
e amministratori del sapere hanno origine da atteggiamenti
e pratiche di ordine mistico e religioso. Come ogni forma
di potere istituzionalizzato. (Dall’introduzione).
Se ne salvasse uno dal frantoio intellettuale dell’Accame!
A Jung da del nazista (si evince con inconfutabile chiarezza
che Jung si è prestato al nazismo ed alla sua propaganda,
e che era antisemita, ma come dimostra Andrew Samuels –
in uno splendido saggio intitolato Nazionalsocialismo, psicologia
e psicologia analitica -, che “le stesse idee di nazione
e di diversità nazionale formano un’interfaccia
tra fenomeno hitleriano e la psicologia analitica di Jung
(pag.8).
Intendiamoci, Accame riprende tesi di altri per poi argomentare
le proprie. Così come fa per Einstein, accusandolo
(accusa presa in prestito) di aver “rubato” l’idea
della teoria della relatività a Farkas e Janos Bolyai
(padre e figlio, ambedue matematici) ma per propinarci poi
quella della “famosa” linguaccia , divenuta ormai
immagine eloquente di protesta, come emblema di presa per
il culo universale (considerando il furto!).
Esilaranti i suoi appunti sui presunti miracoli di san Carlo
Borromeo tra cui quello che l’avrebbe visto ridonare
il sollievo ad una fanciulla succhiandole la mammella dolorante.
Sulla fica socialmente rilevante della Carlucci (la deputata,
non la presentatrice), sul “noumeno” kantiano
che sembrerebbe (idea anch’essa riportata) prodotto
di un’astinenza sessuale o sul Sant’Ambrogio “horror”
che beveva, vino rosso durante i rituali religiosi affinché
non si provi poi disgusto del “sangue che cola”.
Qualcuno, come ho detto all’inizio, potrebbe trovare
alcune “trovate” al limite della decenza: in realtà
la provocazione (sempre che ci sia) assume il ruolo di filtro
e quel che esce dalla triturazione sistematica dei luoghi
comuni e del comune sentire, che è quello che da forza
al “sistema delle stelle”, è un concentrato
delle sovrastrutture ideologiche e politiche.
A conferma di ciò che dico cito un passo dell’Accame
su Eco: Come buona parte degli scritti di Eco, la ritengo
più l’espressione giocosa di una borghesia intellettuale
che il risultato di una critica radicale del sistema culturale
e della sua filosofia (pag.156). Infatti se si insiste su
rapporti gerarchici in cui da una parte sta la mediocrità
(ricordate il saggio di Eco sulla fenomenologia di Mike Bongiorno?)
e dall’altra chi la segnala, si ribadiscono solo altre
gerarchie secondo i propri punti di vista.
Lo smascheramento di Accame invece fa tabula rasa delle convenzioni
per scagliarsi contro la pratica diffusa dell’indulgenza,
quella pratica cioè che favorisce alcune figure sociali
e sul consenso entusiastico delle “vittime” che
da forza e contributo a questa attività e quindi alle
disparità delle relazioni umane.
Tornando all’inizio. Spesso le morti scatenano l’entusiasmo
della gente e la riflessione pacata dei poveri cristi. Ricordo
l’accidioso appunto di Zeffirelli contro un critico
musicale del Corsera che aveva avuto l’ardire di confessare
che l’ultimo Pavarotti tutt’era meno che un cantante
come si deve. Apriti cielo.
Vorrei che qualcuno con un po’ di coraggio, in questo
momento, potesse reclamare un’immagine di Biagi meno
santino, meno appartenuto al “sistema delle stelle”.
E anche più umanamente intollerante. Perché
è stato anche questo.
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«E
a proposito di insensatezze, contraddizioni, assurdità,
vi segnalo un altro libro decisamente "dirottato".
Si intitola Antologia critica del sistema delle stelle
(Odradek, 16,00 euro) e lo firma un acuto e imprevedibile
Felice Accame, docente di Teoria della comunicazione e presidente
della Società di cultura metodologica-operativa. Accame
è un cacciatore di pregiudizi e bestialità culturali.
Non ha tabù e tanto meno idoli. Anzi si diverte come
un pazzo a smontare tutte le certezze intellettuali di cui
andiamo fieri. In un capitolo si occupa per esempio di Piero
Chiara che aveva messo a confronto due traduzioni di Benito
Cereno, il racconto di Melville, sostenendo "la fedeltà
e la precisione sono a scapito del risultato poetico".
Accame ammette che non avesse affatto capito quale fosse fedele
e quale poetica finché non si era accorto che la prima
traduzione era di Cesare Pavese, il quale, eletto nella storia
della letteratura, aveva anche conquistato il merito di fare
"traduzioni poetiche". Mentre l'altra era di Ruggero
Bianchi al quale al massimo si poteva riconoscere di farle
"fedeli". Accame osserva: "A mio avviso, Chiara
è scorretto. Nessuno chiede ad una traduzione di avere
una carattere piuttosto indeterminato e mai esplicitato come
la poeticità, mentre tutti, innanzitutto, chiediamo
che una traduzione sia corretta nei limiti in cui può
esserlo". Il libro è tutto così: imprevedibile
e perfino irritante. Ma soprattutto imprevedibile, per esempio
quanto combina il filosofo Ludwig Wittgentstein con le perversità
della trasmissione televisiva Affari tuoi di Bonolis.
O quando mette in relazione i film L'Esorciccio e Ultimo
tango a Zagarolo con la curiosa scelta della Chiesa di
mandare l'esorcista Milingo proprio a Zagarolo.»
©
Valeria Palumbo
In RottaNOrdOvest del 10 marzo 2006 www.rottanordovest.com
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Andrea
Garbuglia, Riflessioni su:
FELICE ACCAME, ANTOLOGIA CRITICA DEL SISTEMA DELLE STELLE
Voglio
iniziare con una notizia apparsa proprio in questi giorni.
Sembra che la Chiesa Anglicana sia in crisi per il calo delle
vocazioni (solo quattromila nellultimo anno). La preoccupante
situazione ha spinto un pastore, tanto zelante quanto perspicace
(o forse semplicemente appassionato dei libri del Prof. Felice
Accame!), ad inventare una singolare campagna pubblicitaria,
mostrata sui telegiornali della RAI, nella quale la vita consacrata
viene paragonata a quella, solo apparentemente più
allettante (ma credo che questo dipenda dai punti di vista),
dei calciatori. Mi sembra di ricordare che nel manifesto pubblicitario
la faccia di un calciatore e quella di un sacerdote, viste
di profilo mentre si fissano negli occhi, sono divise da un
pallone che campeggia al centro, il tutto su uno sfondo quasi
interamente bianco. Purtroppo non ho la più pallida
idea di quale sia il testo verbale che accompagna questimmagine,
ma sarebbe decisamente interessante studiarlo. Chi sa se questo
esplicito tentativo di costruire la realtà, per altro
solo apparentemente diversa da quella proposta nella campagna
pubblicitaria, riuscirà a creare una nuova categoria,
quella dei sacerdoti che sognavano di diventare Beckham (e
magari di sposarne la moglie), salvando in corner (sic!) la
Chiesa di Sua Maestà?
Il libro Antologia critica del sistema delle stelle è
denso di esempi che lasciano intravedere come questi meccanismi
di costruzione della realtà siano attuati dal potere
a diversi livelli, meccanismi che passano praticamente sempre
inosservati.
Da qualche hanno mi sto occupando dei problemi che legano
le teorie della conoscenza alla testologia semiotica, e credo
che, se fosse stato pubblicato prima che scrivessi la mia
tesi dottorale (La Comunicazione Multimediale e la Musica,
Università di Macerata 2005), avrei trovato in questo
lavoro una fonte praticamente inesauribile di spunti per parlare
di quella che Arbib e Hesse chiamano La costruzione della
realtà (ed. it. il Mulino, Bologna 1992), ma soprattutto
avrei trovato la risposta ad un inquietudine che mi ha accompagnato
nei lunghi mesi passati a studiare questi argomenti: "Il
pensiero autoritario si affida sempre a qualcosa che trascenda
la persona e la comunità di cui questa persona fa parte.
Per continuare a comandare, meglio dire che le cose stanno
così e cosà, piuttosto che ammettere che il
farcele così o cosà dipende anche da noi."
[p. 35] Sicuramente avrei usato questo passo come citazione
dapertura
e il mio lavoro avrebbe trovato ancora
più problemi ad essere pubblicato.
In più di unoccasione Accame riflette sul gioco
televisivo Affari tuoi e, interrogandosi sullopportunità
di collocarlo nella categoria dei giochi, ne smaschera la
bieca ideologia che lo sorregge e che viene da esso propagandata.
Ma penso che ci si potrebbe spingere ancora oltre. Paolo Bonolis
non perde occasione per sbandierare la sua fervente religiosità
(credo sia un devoto di Padre Pio), e se si studia il meccanismo
che sta alla base di Affari tuoi non si può negare
che esso sia pervaso da un profondo senso religioso, anzi
direi evangelico. Infatti, il gioco dei pacchi, che già
nel titolo fa ricadere interamente la buona o la cattiva sorte
sulle scelte dei concorrenti, che però non sanno mai
quali sono le due alternative della scelta, proprio come capitò
ad Adamo ed Eva, segue pedissequamente la parabola dei talenti
(Mt 25, 14-30). La ricordo brevemente. Un signore prima di
partire per un lungo viaggio chiama a sé i suoi servi
e, conoscendoli molto bene, distribuisce loro i suoi beni,
avendo cura di rispettare le capacità individuali.
Quindi cè a chi toccano cinque talenti, a chi
due e a chi uno solo. Già qui ci si potrebbe chiedere
se ogni persona sappia o non sappia quanti talenti vengono
dati agli altri, cosa che sicuramente non sarebbe stata di
poco conto per chi ne riceve uno. Ma tralasciamo questaspetto.
Durante il periodo della sua assenza, i primi due servi investono
i talenti in loro possesso facendoli raddoppiare, mentre il
terzo, per paura di perdere il talento affidatogli, lo nasconde
in una buca. Al suo ritorno il padrone si congratula con i
primi due servi mentre si adira con il terzo, finendo per
togliergli quellunico talento, che viene dato, guarda
caso, a chi ne ha già dieci (ma perché non a
quello che ne ha quattro, dotato di eguali capacità?).
Morale della storia: a chi ha sarà dato a chi non ha
sarà tolto anche quello che ha. La somiglianza con
il gioco dei pacchi è sconcertante! Anche qui abbiamo
un padrone, il Dio che sta al di là della cornetta
e che, onnisciente per definizione, non PREVEDE ma SA tutto:
sa cosa cè nei pacchi, ma soprattutto sa con
chi sta giocando. Sa se il concorrente è un pensionato,
una casalinga, un imprenditore, se è sposato, se ha
figli e via dicendo. Lo sa prima di noi, perché presumibilmente
chi ha organizzato i provini si è premurato di acquisire
più informazioni possibili; lo sa ancora prima che
sia il concorrente stesso a dircelo, rispondendo alle domande
incalzanti del conduttore. Lo sa, e in base a questo può
giocare (qui si che ha senso parlare di "gioco",
come ha senso parlare di "gioco" nella farsa che
inscena il gatto prima di mangiarsi il topo). Il gioco inizia,
quindi, con una situazione di sostanziale disparità:
quella data dalle differenti fortune economiche dei concorrenti
(sublime metafora della vita!). Anche questo Dio della cornetta,
Signore e Padrone, dà dei talenti, e li distribuisce
in base alle capacità dei suoi servi: a qualcuno offre
diecimila euro, a qualcun altro cinquantamila, a qualcun altro
ancora duecentocinquantamila. Il contenuto del pacco è
praticamente irrilevante al fine del gioco, o meglio è
irrilevante fino a che non si arriva allultima alternativa.
Sta al concorrente mettere o non mettere a frutto i talenti/"euri"
offerti. Se sceglie di giocare, di non accettare lofferta,
a prescindere da quale sarà il risultato, verrà
lodato; nel caso contrario gli rimarrà sempre almeno
un dubbio: "forse giocando sarei riuscito a strappare
unofferta maggiore!" È logico che a rischiare
sono sempre e solo le persone che hanno già di loro
o, per dirla con la parabola, i servi che hanno più
"capacità". Se un semplice operaio traduce
la "misera" offerta di ventimila euro in termini
di stipendio difficilmente rischierà per tentare di
vincerne centomila, se tra le alternative cè
anche quella di andare a casa con uno scopettone da bagno!
Mi sembra di ricordare anche a me il caso citato da Accame
di quel concorrente che rinunciò a duecentocinquantamila
euro e ne vinse cinquecentomila, ma credo anche di non sbagliare
nel dire che il signore in questione era il proprietario di
un ristorante che mascherò la sua scelta coraggiosa
con intenzioni caritatevoli, per altro mai portate a termine.
Dunque, a chi ha sarà dato. E a chi non ha
beh
a chi non ha, cioè a chi ha effettivamente bisogno
di quei soldi che accetta, perché, per quanto pochi,
possono risolvergli in parte una situazione più o meno
precaria,
a chi non ha sarà tolto anche quello
che ha, prima con una serie di mortificazione per il suo poco
coraggio, che rimane un dato di fatto, a prescindere da cosa
sia effettivamente contenuto dal pacco in suo possesso (come
se il coraggio non dipendesse da una situazione pregressa!),
e poi con la beffa di vedere nel suo pacco una cifra maggiore
di quella accettata. In questo caso, il conduttore dà
man forte al padrone e bolla il concorrente/servo come malvagio
e infingardo, che non si fida del padrone che miete e raccoglie
anche là dove non ha seminato (bontà sua!).
Unespressione che mi ha colpito particolarmente è
quella che definisce la pratica psicoanalitica un "colonialismo
della mente e della memoria". Condivido in pieno questa
definizione, ma penso anche che oggi il vero colonialismo
della mente e della memoria sia quello attuato dalla televisione.
Faccio un esempio. Qualche anno fa mè capitato
di entusiasmarmi nel cantare canzoni di vecchi cartoni animati
e di telefilm americani insieme a ragazzi provenienti da tuttEuropa
(in particolare: inglesi, tedeschi, svedesi, spagnoli). Dopo
i primi minuti di euforia dettata dalla scoperta di avere
una memoria comune, e dallinstaurazione di un primo
contato con persone che fino a qualche momento prima neppure
conoscevo (quando si dice che il bere ha una funzione sociale!)
mi sono reso conto della gravità della situazione:
non ceravamo mai visti eppure "mamma televisione",
per quanto discreta possa essere stata negli anni Settanta
e nei primi anni Ottanta, aveva provveduto a farci avere,
a nostra insaputa, un background comune. Ma questo background
va molto più in là del semplice "aver visto
la stessa cosa"
e lentusiasmo lo dimostra.
Il background fornitoci dalla televisione ci coinvolgeva emotivamente,
simbolicamente, direi ontologicamente. Mi spiego. Se da una
parte alla base dellapprendimento cè limitazione
(e il doppio, dato che, come sottolinea Jakobson nei suoi
Essais de linguistique générale, le prime parole
apprese sono mama e papa, formate, appunto, dal raddoppiamento
della stessa sillaba), dallaltra limitazione non
è mai neutra: imitando i miei genitori non apprendo
solo come ci si muove e come si parla, ma investo quanto da
me appreso, anche le cose più banali e funzionali (come
ad esempio il camminare), di un valore simbolico, di cui sono
solo in parte cosciente. Infatti, il bambino non imita chiunque,
ma sceglie per una ragione o per laltra i soggetti da
imitare. Il risultato finale sarà quella sorta di patchwork
unico, personale, irripetibile che chiamiamo
soggettività. Ora, è sicuramente vero che ogni
processo di apprendimento è diverso dagli altri e che
due soggetti, posti nella medesima esperienza, elaborano una
conoscenza almeno parzialmente diversa, ma è altrettanto
vero che leuforia provata nel cantare canzoni di cartoni
animati (situazione che a ripensarci desta non poca vergogna
e imbarazzo!) derivava in gran parte dallaver investito
la conoscenza prodotta in quelle esperienze, comuni ma distanti,
di un valore simbolico (uso qui il termine simbolo
nellaccezione di Carlo Tullio-Altan, Soggetto, simbolo
e valore, Feltrinelli, Milano 1992). Guardando quei cartoni
animati avevamo tutti appreso qualcosa, ci eravamo identificati,
immedesimati, con quei personaggi, il nostro patchwork si
è costruito anche sulla base di queste identificazioni,
e ora quelle canzoni che stavamo cantando erano il mezzo attraverso
il quale riattivavamo le connessioni neuronali instaurate
grazie a quellesperienza conoscitiva, esperienza che
aveva contribuito a farci crescere insegnandoci parole nuove,
modi di agire e di pensare, facendoci sognare il nostro futuro,
il tutto condito con una buona dose di auto-valorizzazione.
Credo molto nella ricerca che ha per oggetto loperare
del mentale, a prescindere da qualsiasi tipo di specificazione
il mentale possa assumere. Lana (lo scimpanzé
che parlava tramite una tastiera), Hans (il cavallo che sapeva
contare), Papere (la collie di Accame) e Briciola (la gatta
che da qualche tempo ha scelto di dormire in camera mia) fanno
delle operazioni mentali, che sono sicuramente diverse dalle
mie ma ciò non toglie che sia possibile individuare
una base comune, e postulare una superiorità o uninferiorità
in presenza di una differenza è, come sempre, solo
un pretesto per esercitare un potere, che molto spesso si
conclude con la soppressione fisica o con uno dei suoi surrogati.
Racconto un piccolo aneddoto personale. Mia madre crede a
tutto quello che dico. Se, ad esempio, le dico che oggi pomeriggio
io e Cristina (la mia ragazza) andremo in macchina a prendere
un caffè a Rimini, lei si agita subito e inizia a chiedermi
che bisogno cè di fare tutta quella strada, a
dire che cè molto trafficate e che succedono
tanti incidenti
anche se sa benissimo che non è
mio solito fare una cosa di questo genere, che non mi piace
particolarmente Rimini, specialmente quando si avvicina lestate,
e che bevo solo tè. La cosa si ripete puntualmente
ad ogni mio scherzo! Briciola ama fare quello che sa di non
dover fare: salire sui letti e farsi le unghie sulle coperte,
dormire sulla mia sedia, saltare sul tavolo e giocare con
penne e matite. Ama farlo perché sa che poi mi arrabbio
e iniziamo una finta battaglia che lei sicuramente considera
un gioco molto divertente. Per distrarla dalle marachelle
che fa quotidianamente avevo trovato lespediente più
scontato: fingere che le sto per dare qualcosa da mangiare,
chiamandola con le parole e con il tono di voce che uso quando
le riempio la ciotola di crocchette. Le prime volte lespediente
ha funzionato, anche se lei nel seguirmi era un po titubante:
evidentemente cera qualcosa di strano, che ha trovato
riscontro nel non ricevere nulla da mangiare. Poi ha capito
e adesso posso tranquillamente sgolarmi, tanto lei continua
imperterrita a fare quello che sta facendo! Probabilmente
riesce a percepire dal tono della mia voce che sto bluffando;
forse, sapendo di mentire, uso un tono che si differenzia
impercettibilmente da quello appropriato e lei riesce a capirlo,
meglio di una macchina della verità. Ho fatto anche
la controprova: mentre stava facendo qualche danno lho
chiamata per darle effettivamente qualcosa da mangiare e,
neanche a dirlo, lei mi ha seguito con il solito entusiasmo.
Mia madre sa dove si trova Rimini, sa cosa significa prendere
un caffè e sa che bevo solo tè ma crede a tutto
quello che le dico. Briciola non ha la più pallida
idea di cosa stia ad indicare il termine "crocchette",
pur mangiandole tutti i giorni, ma sa benissimo quando sto
mentendo. Morale della favola
mai giocare a poker con
i gatti!
Andrea
Garbuglia, maggio 2006
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