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Clara Conti
SERVIZIO
SEGRETO
Cronache e documenti
dei delitti di Stato
Prefazione
di Davide Pinardi
Note
a cura di Margherita Marcheselli
Collana
Blu
ISBN 978-88-96487-08-2
pp. XVIII-182 €
18,00
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Un’inchiesta
partita per individuare i responsabili della mancata difesa
di Roma nel settembre del ’43 – a carico, quindi,
dei generali Roatta e Carboni e di tutte le massime cariche
dello Stato, compresi re, luogotenente e le collegate gerarchie
militari – si era poi sviluppata giungendo a fare un
po’ di luce sugli aspetti più ambigui della politica
estera fascista e su alcune delle tante “iniziative”
del SIM, il Servizio di Informazione Militare, negli anni
immediatamente precedenti la guerra.
Scritto nel 1945, questo libro racconta, nell’immediatezza
degli avvenimenti, le traversìe di una complessa indagine
condotta da Italo Robino, giudice istruttore dell’Alto
Commissariato per le Sanzioni contro il Fascismo. Un documento
storico significativo sia sui fatti oggetto della sua inchiesta,
sia, e ancor più, sul clima nel quale essa nacque e
si sviluppò e come tale viene pubblicato in una nuova
edizione, corredato dei necessari apparati.
Ci si imbatte così nelle vicende dell’uccisione
dei fratelli Rosselli; nei sabotaggi terroristici a navi e
treni per danneggiare la Repubblica spagnola in lotta contro
Franco; nell’attentato al Re di Jugoslavia Alessandro
I; nel caso di Jacir Bey e dello “strano” svolgimento
di alcune decisive battaglie durante la campagna d’Etiopia,
ecc...
Ecco allora una sorta di old italian epic, una narrazione
mozzafiato, una soggettiva giudiziaria che anticipa la temperie
in cui siamo sempre più immersi nel nostro presente:
i tormentati rapporti con la stampa, i militari un po’
minacciosi e un po’ untuosi, la solitudine del magistrato,
l’illegittima ingerenza del Governo nei poteri giudiziari,
l’eterodirezione di potenze straniere.
Ci piace riproporre un giudice giacobino in tempi di sindrome
anti “giustizialista”, cioè della solita
miscela di realismo e trasformismo, della ragnatela di relazioni
occulte tra amici degli amici fin ben dentro le istituzioni,
insofferente di qualsiasi regola – figuriamoci della
Costituzione (o di qualsiasi costituzione), che di ogni regola
è stabile fondamento.
Ma ci piace, con questo libro, aggiungere un altro tassello
a quella “saga” iniziata per Odradek da Silverio
Corvisieri (Il
re, Togliatti e il Gobbo; Bandiera
rossa nella Resistenza romana; Il
mago dei generali), dedicata quindi a quel biennio 1944-’45,
in cui lo Stato, al mutare di tutto il resto riesce a perpetuarsi,
sia pure perdendo qualche pezzo, in un’orgia di mediazioni
e patteggiamenti.
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Nota
editoriale
Offriamo
questo libro nella collana blu per sottolinearne
la caratteristica di documento, e come tale lo pubblichiamo
in una nuova edizione, corredandolo dei necessari apparati.
L’interesse che provoca è peraltro associato
al turbamento che dà il ritrovamento di un manoscritto
perduto o un messaggio in una bottiglia, ma soprattutto allo
spaesamento nei confronti di un passato che si scopre non
essere mai passato.
Ci piace riproporre un giudice giacobino in tempi di sindrome
anti “giustizialista”, cioè della solita
miscela di realismo e trasformismo, cinismo e pragmatismo,
della ragnatela di relazioni occulte tra amici degli amici
fin ben dentro le istituzioni, insofferente di qualsiasi regola
– figuriamoci della Costituzione (o di qualsiasi costituzione),
che di ogni regola è stabile fondamento.
Ma ci piace, con questo libro, aggiungere un altro tassello
a quella tarsia iniziata per Odradek da Silverio Corvisieri
con Il
re, Togliatti e il Gobbo (senza dimenticare Bandiera
rossa nella Resistenza romana), poi proseguita con Il
mago dei generali, dedicata quindi a quel biennio 1944-’45,
a Roma, che meno commendevole non si può immaginare,
a partire dall’acme di ambiguità e incertezza
raggiunto l’8 settembre quando uno Stato fatto di cricche,
notabili, faccendieri, servizi segreti, logge massoniche,
non sa decidersi contro chi combattere accarezzando fino all’ultimo
l’idea di una impossibile neutralità; uno Stato,
sempre quello, che fa rimpiangere il leniniano “comitato
d’affari della borghesia”, e che al mutare di
tutto il resto riesce a perpetuarsi, sia pure perdendo qualche
pezzo, in un’orgia di mediazioni e patteggiamenti. Tarsia
che include – ma con riferimento al tourbillon di compromessi
avvenuto a Milano, nella primavera del 1945 – anche
Il
partigiano e l'aviatore dello stesso Davide Pinardi che
qui cura l’Introduzione.
Seguire l’inchiesta del giudice Robino, inoltre, permette
di scoprire una sorta di old italian epic. Una narrazione
mozzafiato, una soggettiva giudiziaria che anticipa, asciuttamente,
la temperie in cui siamo sempre più immersi nel nostro
presente: i tormentati rapporti con la stampa, i militari
un po’ minacciosi e un po’ untuosi, la solitudine
del magistrato, l’illegittima ingerenza del Governo
nei poteri giudiziari, l’eterodirezione di potenze straniere.
Il tutto, icasticamente rappresentato dalla figura del colonnello
Santo Emanuele, un idealtipo, una “maschera” che
diventerà abituale nelle commedie italiche a venire.
Colonnello dei Carabinieri, faccendiere, provocatore, versipelle;
uno dei massimi dirigenti del servizio segreto agli ordini
del fascismo, organizzatore dell'assassinio dei fratelli Rosselli,
passa sùbito armi e bagagli al servizio degli americani,
pronto alla contrattazione e al mercanteggiamento dei dossier
accumulati, compilatore di memoriali ricattatorii, è
disposto alla delazione anche nei confronti dello Stato Maggiore.
Servo dei tedeschi prima, e degli americani poi, la sua figura
suggerisce che in questo paese non è il potere politico
a controllare i servizi ma al contrario, e sempre, sono questi
a controllare il potere politico dopo aver venduto i propri
servigi alla potenza straniera vincente e dominante. Scriveva
infatti: «Agli alleati noi dobbiamo dare soltanto buoni,
bravi e leali combattenti. Sarà bene per noi, per oggi
e per domani».
Ripubblicare questo libro, è infine un omaggio, oltre
che all’autrice e al magistrato Robino, all’editore
Donatello De Luigi – correva l’anno 1945. Nei
loro confronti, o degli aventi diritto, restiamo debitori.
Odradek
Istruzioni
per l'uso
È auspicabile
che un simile libro venga adottato nelle Accademie militari
al fine di far cogliere quando e come è avvenuto lo
slittamento, la frattura nella tradizionale linea di comando
che arrivava fino agli Stati Maggiori; quando cioè
l' "ufficiale e gentiluomo" ha accettato di rispondere
soltanto al potere politico, per giungere - impostosi il format
Roatta - all'autonomizzazione di personaggi come il colonnello
Santo Emanuele - vero protagonista del libro - , disposto,
poi, a interloquire soltanto con lo straniero vincitore. La
Guerra fredda ha trovato questa situazione di fellonia
istituzionale - iniziata con Roatta e con la sua entente
cordiale con i nazisti - e l'ha riprodotta ad libitum,
col beneplacito di una classe politica che sedeva tranquillamente
in Parlamento con il senatore missino Filippo Anfuso, che
fu il mandante dell'uccisione dei fratelli Rosselli.
Letture
consigliate: Il
mago dei generali, Il
re, Togliatti e il Gobbo di Silverio Corvisieri.
Con riferimento alle attuali leggi liberticide della stampa,
è il caso di riportare un passo della prefazione di
Clara Conti che, con una Costituzione di là da venire,
riletta oggi fa venire i brividi:
«Ma al diritto di sapere che si riconosce alla opinione
pubblica, deve corrispondere il civico dovere di parlare da
parte di chi sia in possesso di notizie utili alla democratizzazione
del Paese».
Vincenzo
Mantovani racconta molto bene il libro in
sabatolibri
di Radiopopolare
Per
G.S.
«il
libro che avete riscoperto, con la sua prefazione, è
un piccolo capolavoro di storia passata e attuale».
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Carlo
Oliva ne ha parlato a radiopopolare
domenica 23 maggio 2010
Continuità
Nell'anno 1935, quando Mussolini si adoperava per riportare
l'impero sui colli fatali di Roma e cominciava a rendersi
conto che la conquista dell'Etiopia, di fatto, era una impresa
un po' più difficile di quanto avesse pensato, uno
strano personaggio si presentò, a Roma, a certi ambienti
riservati del Ministero della Guerra. Si chiamava o si faceva
chiamare costui Chukry Jacir Bey ed era palestinese, anche
se viaggiava con un passaporto diplomatico messicano. Aveva
alle spalle dei rapporti alquanto turbolenti con le polizie
di diversi paesi d'Europa, da tutti i quali era stato espulso,
di solito per storie di debiti non pagati, ma vantava, pure,
delle conoscenze altolocate. In particolare, si diceva amico
del Negus Ha¯yla Sella¯se e, in quanto tale, era
latore di uno strano progetto. Avrebbe condotto con questo
suo amico dei negoziati segreti, allo scopo di indurlo ad
accettare quali condizioni di pace la cessione di gran parte
del territorio etiopico e di consentire nelle altre regioni
il controllo italiano. Nell'ipotesi che si stimasse opportuna
una vittoria militare italiana per indurre la controparte
ad accettare, ne sarebbe stata combattuta una preventivamente
concordata nelle modalità e nell'esito dagli stati
maggiori dei due paesi belligeranti. Per il caso che ogni
trattativa fallisse, Jacir Bey si impegnava a rapire l'imperatore
e a portarlo in aereo in territorio italiano. In cambio, chiedeva
soltanto la modica somma di cento milioni di lire, anticipati
sull'unghia.
Be', quella dell'imbroglione che cerca di vendere al gonzo
la Fontana di Trevi o il Colosseo è una figura classica
del folclore romano, ma non si era mai visto nessuno che tentasse
di vendere per cento milioni un impero. Fu forse per questo
che gli credettero. Fu steso un regolare contratto, firmato
da una parte dai colonnelli Faldella e Lucchini dello Stato
Maggiore Generale e dall'altra da Jacir Bey stesso e la somma
di cento milioni fu regolarmente versata e incassata tramite
il Banco di Napoli. Dopodiché il mediatore tagliò,
come si dice, la corda e anche se alcuni alti ufficiali italiani
ritennero che il successo nella successiva Battaglia dei Laghi
fosse dovuto più ai suoi buoni uffici che al valore
delle nostre truppe, non sembra che il piano sia stato portato
a esecuzione. Certamente Ha¯yla Sella¯se non cedette
sua sponte l'impero e non fu rapito e trasportato per via
aerea in Italia. La vicenda, che fino allora aveva esibito
soprattutto le caratteristiche di una farsa, ebbe una conclusione
più inquietante tre anni più tardi, quando un
tale Charles Ansiaux, cittadino belga, dichiarandosi socio
e finanziatore del palestinese, cercò di farsi pagare
dal governo fascista una somma ingente per non rendere noti
i documenti relativi all'affare, che avrebbero senza dubbio
creato qualche imbarazzo alle persone e alle istituzioni coinvolte.
Jacir Bey e l'Ansiaux, a questo punto, furono localizzati
in Olanda da uomini dei servizi militari italiani e scomparvero
in via definitiva dalla faccia della terra. A dimostrazione
del fatto che gli intrighi politico militari in cui sono coinvolti
quelli che pudicamente si definiscono “i servizi”
sono al tempo stesso più squallidi e meno divertenti
di quanto non li presenti la narrativa specializzata.
La vicenda di Jacir Bey non compare nei libri di storia, ma
non è sconosciuta agli studiosi. È stata rievocata
nel 1945 in un volume, Servizio segreto – Cronache e
documenti dei delitti di stato, che l'editrice Odradek ha
riproposto proprio in questi giorni. L'autrice, Clara Conti,
collaboratrice in quell'anno dell'Alto Commissariato per le
Sanzioni contro il Fascismo, riferisce di un'ampia indagine
che il giudice istruttore Italo Robino aveva condotto su certe
attività del SIM, il Servizio Informazioni Militari,
come a dire l'organo di controspionaggio dello Stato maggiore,
diretto, dal 1934 al '37 dal generale Mario Roatta. Ne erano
emerse, letteralmente, di ogni tipo. In effetti la faccenda
di Jacyr Bey, ancorché forse la più pittoresca,
rappresenta solo una piccola parte delle imprese attribuite
ai Servizi e ai loro uomini. L'inchiesta rivela precise responsabilità
in ordine all'attentato al re Alessandro di Jugoslavia, nel
1934, all'omicidio dei fratelli Rosselli, nel 1937, a un numero
impressionante di sabotaggi e atti di terrorismo contro navi
e treni addetti al trasporto di materiale per il governo repubblicano
spagnolo, oltre a tutta una serie di contatti cospirativi
con le più note organizzazioni terroristiche della
destra francese. Ne era uscita, insomma, la storia di una
vera e propria politica estera parallela e clandestina dello
stato fascista, condotta da un pugno di uomini che avevano
trasformato la vecchia struttura militare in un moderno corpo
separato, mettendolo a disposizione dell'ala estrema e più
irresponsabile del fascismo. Gli imputati, tutti processati
e condannati a gravissime pene, non ne avrebbero tuttavia
scontato nemmeno la minima parte, perché i gradi successivi
di giudizio cancellarono, o fortemente ridussero, le precedenti
sentenze.
Che volete che vi dica? All'autrice, che aveva seguito l'inchiesta
come segretaria del magistrato inquirente, al giudice Robino,
al conte Sforza, alto commissario per le sanzioni contro il
fascismo e a Mario Berlinguer, alto commissario aggiunto,
la scoperta di questo verminaio deve aver fatto, si capisce,
molta impressione, soprattutto man mano che si accorgevano
che le autorità del neonato stato democratico non avevano,
tutto sommato, alcuna intenzione di fare pulizia e che gli
uomini su cui stavano indagando erano pronti a passare armi
e bagagli alla causa dell'antifascismo. L'uomo chiave dell'inchiesta,
per dire, un colonnello Santo Emanuele che nel SIM di Roatta
sembra aver rivestito il ruolo esecutivo e a cui si deve la
più parte delle rivelazioni (comprese quelle su Jacyr
Bey), fu arrestato il giorno stesso in cui doveva essere assunto
dall'Alto Commissariato in veste di epuratore e, del resto,
si era già riciclato come informatore per l'esercito
americano. E l'autrice registra, d'altronde, le non poche
pressioni che sugli indagatori non mancavano di fare i comandi
dei carabinieri (da cui il SIM dipendeva) e i loro tentativi
di interferenza.
A noi, tutta la storia di impressione ne fa molto meno. All'azione
parallela dei servizi “deviati” (con le debite
virgolette) siamo ormai più che avvezzi. La storia
italiana recente è stata segnata dalle gesta (supposte,
naturalmente) dei Giannettini, dei Maletti, dei Labruna e
degli altri, e la denuncia delle loro trame è stata
parte importante della nostra educazione politica. Ma fa impressione,
lo converrete, scoprire in quelle attività le origini
di quelle supposte devianze, scoprendo, per così dire,
il filo rosso (o, meglio, nero) che lega la storia di oggi
con quella di ieri. Si è parlato spesso della continuità
tra lo stato fascista e quello democratico, ma forse non ci
si è mai resi conto del ruolo del come siano stati
i servizi a garantirla, o addirittura a incarnarla. Quando
leggiamo, sul Corriere dell'altro ieri, che un funzionario
dei servizi è indagato per la strage di via D'Amelio,
di fatto, la notizia ci sembra addirittura banale. Queste
vecchie pagine di memorialistica, in effetti, ci parlano soprattutto
di noi.
C. O.
Nota
Il nome di Chukry (Chruey nel testo della Conti, Chubry nel
testo riportato del contratto con lo Stato Maggiore, ma probabilmente
sono errori di trascrizione) Jacir Bey è riportato
secondo la grafia francesizzante che si usava allora per le
cose mediorientali. Noi scriveremmo, probabilmente, Shukry
Yassir (ma non ne sono sicuro). Il nome dell'imperatore Ha¯yla
Sella¯se è comunemente traslitterato con la forma
fonetica Hailé Selassié. L'unica altra opera,
a mia conoscenza, che riferisca qualcosa della vicenda è
il saggio di Franco Bandini, Gli Italiani in Africa, Storia
delle guerre coloniali 1882 – 1943, Milano, Longanesi
& C., 1971, pp. 351 – 401 e 532 – 551. Il
volume Servizio segreto – Cronache e documenti dei
delitti di Stato, pubblicato nel dicembre 1945 a Roma
da Donatello De Luigi Editore, è oggi ripubblicato
dalla Odradek con una prefazione di Davide Pinardi e note
biografiche a cura di Margherita Marcheselli.
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Odradek
Edizioni srl - Via san Quintino 35 - Tel e Fax. 067045 1413 |
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