Indice
Prefazione
Ironia ed economia di Francesco
Muzzioli
Prima
perla. La soluzione definitiva al problema della
disoccupazione
Seconda
perla. La teoria neo-libertaria della giustizia
e della schiavitù
Terza
perla. Dall’elettore mediano all’elettore
modale
Quarta
perla. Una modesta proposta per risolvere alcuni
problemi della democrazia
Quinta
perla. La teoria del valore-libido e alcune sue
implicazioni di politica sociale
Sesta
perla. Sull’impossibilità della
democrazia giusta
Conclusione
Da Sade a Marx
Appendice
Breve la storia felice dell’utopia liberale
*******
Ironia
ed economia Prefazione di Francesco
Muzzioli
Non è semplicemente perché sono caduti tutti
gli steccati e tutti i muri, nella confusione postmoderna,
non ci sono più distinzioni di settore e nemmeno uno
straccio di competenza specifica, ed è possibile transitare
liberamente senza passaporto di sorta attraverso i confini
che un tempo separavano la letteratura dalla logica filosofica
o dalla teoria politica ed economica, qualsivoglia argomentare
essendo ridotto in amabile intrattenimento del tipo “conversazione”
(Rorty docet), essendo tutti quanti – letterati e filosofi,
letterati-filosofi, non altro che “scrittori”,
da valutare non secondo metodi e tradizioni proprie, ma vagliati
già da sé davanti all’unico giudice insindacabile
che è il Mercato (quanti libri venduti, quanti studenti-clienti
accalappiati, ecc.). Dunque, dicevo: non è semplicemente
per questo, per questo mescolamento da ortaggi nel medesimo
minestrone epocale; non è per questo che io, “criticante”
di poesie e scartabellatore di avanguardie letterarie, sparuto
epigono di allegoria e straniamento, mi trovo qui a introdurre
un libro “scientifico” (di economia o di logica
che sia: comunque non-letterario): è, invece, tengo
a dichiararlo, per una intrinseca e sostanziale convergenza.
L’«ironiconomia» che qui Ernesto Screpanti
imposta e persegue con piglio ed acume (il lettore si prepari:
ne vedrà delle belle...) l’ho scoperta davvero
consentanea con quelle linee di tendenza della patafisica
e del dadaismo che mi hanno interessato da sempre, costituendo
le punte più acuminate dell’anti-arte novecentesca,
quelle in cui la Poesia con la “P” maiuscola faceva
felicemente naufragio, e con essa tutta la religione romantica
delle Lettere, in un mare di risate...
Un
mondo peggiore? Basta andare avanti così.
di
Tommaso de Berlanga,
il manifesto, 8 dicembre 2006
Come si fa a dimostrare l'assurdità delle ricette economiche
somministrateci tutti i giorni dagli spacciatori del "pensiero
unico"? Semplice: si traggono le estreme conseguenze
da ognuna di esse. E perciò la tesi che vuole che il
lavoro sia una semplice variabile dipendente del processo
produttivo, al pari di qualsiasi altra merce o materia prima
che vi entra, viene "tirata" al limite e diventa
la proposta di legalizzare il "contratto di libera schiavitù".
In cui "i lavoratori assumono un obbligo all'obbedienza
perpetua nei confronti della controparte e rinunciano a negoziare
il salario e le condizioni di lavoro, ricevendo in cambio
un reddito di sussistenza vita natural durante". Il risultato
"previsto" sarebbe la scomparsa della disoccupazione,
ovvero dei “fannulloni” tanto invisi a Ichino
e Giavazzi, e di tutti quei ceti sociali che vivono sotto
la soglia di povertà; quasi un "reddito garantito",
ma a condizioni assai più "realistiche" che
non nelle proposte correnti.
Oppure la teoria del “valore-libido”, in cui si
concentra in modo paradossale il succo di molta pseudo economia
liberal-liberista attuale: è vero, lavorare è
spesso penoso e non piacevole, ma siccome i contratti sono
“liberamente” sottoscritti dai lavoratori, il
“minus-orgasmo” cui pervengono è una loro
“libera scelta”. E ancora: vogliamo risolvere
un paradosso della “democrazia dell’alternanza”
propria del sistema maggioritario, quella dove i due schieramenti
concorrono “correndo al centro”? Facciamo votare
solo l’“elettore mediano”, anzi l’“elettore
modale”, e ci assicureremo quella “stabilità”
continuamente compromessa dalla volgare compravendita di singoli
parlamentari in questa o quella votazione.
E’ il mondo solo apparentemente rovesciato che Ernesto
Screpanti, docente di economia politica all’università
di Siena, descrive nel suo “Un mondo peggiore è
possibile. Sei perle dalla triste scienza”, appena edito
da Odradek edizioni. Una scorribanda agile e divertente, condotta
però con puntiglio swiftiano, nella stile rigoroso
della “modesta proposta”. Una boccata di ossigeno
per ogni cervello che voglia ancora provare a pensare da sé.
E’ l’“ironiconomia”, la disciplina
in cui le sciocchezze liberiste vengono prese così
sul serio da risultare irresistibilmente comiche. Il problema
è che da quelle sciocchezze veniamo governati davvero.
E quindi il mondo può solo peggiorare.
*
* *
Ernesto
Screpanti anticipa Marchionne. Screpanti scherzava, Marchionne
fa sul serio. Ma noi, appena sette mesi fa
avevamo anticipato l'evento. Vedi sotto lo scambio epistolare
con Screpanti.
Il
contratto di libera schiavitù. Quando la fantasia arriva
prima di Marchionne.
I
capitolo - LA SOLUZIONE DEFINITIVA
AL PROBLEMA DELLA DISOCCUPAZIONE
In questo capitolo illustrerò una grande scoperta
scientifica fatta recentemente all'Università di
Chicago, una scoperta che potrebbe contribuire a risolvere
definitivamente il problema della disoccupazione nei paesi
industrializzati.
Il contratto di schiavitù è un patto col
quale i lavoratori assumono un obbligo all' obbedienza
perpetua nei confronti della controparte e rinunciano
a negoziare il salario e le condizioni di lavoro, ricevendo
in cambio un reddito di sussistenza vita natural durante.
La controparte acquista un diritto di proprietà
sul lavoratore. Cosa succederebbe se tale contratto fosse
permesso? Una percentuale non irrilevante di poveracci
(tra i disoccupati, i sottoccupati, i precari, gli immigrati),
lo accetterebbe subito volontariamente. Infatti la schiavitù
offrirebbe a questi lavoratori molti vantaggi: innanzitutto,
un miglioramento delle condizioni di vita per chi vive
altrimenti sotto la soglia della povertà; in secondo
luogo un'assicurazione dalle avversità e dalle
fluttuazioni economiche, il reddito dello schiavo rimanendo
pressoché costante nel tempo; in terzo luogo un'assicurazione
completa dalla disoccupazione, visto che all'impegno del
lavoratore ad obbedire per sempre deve corrispondere un
impegno del padrone a comandare per sempre. Ma la schiavitù
può funzionare soltanto se anche i datori di lavoro
traggono un qualche vantaggio da questo tipo di contratto.
In cosa può consistere un tale vantaggio? Consiste
nel fatto che il lavoratore, in quanto schiavo, diviene
parte del capitale padronale e può essere iscritto
a bilancio. Come attività patrimoniale esso ha
un valore indipendente dal modo in cui viene usato individualmente:
il valore che viene determinato sul mercato degli schiavi
di seconda mano. Questo, si noti, sarebbe un mercato perfettamente
concorrenziale, dal momento che non esisterebbero sindacati.
Ciò comporta che il padrone può tenere lo
schiavo fin che gli serve e rivenderlo a un prezzo remunerativo
quando non gli serve più. Inoltre l'obbligo all'
obbedienza perpetua garantisce una perfetta flessibilità
del lavoro e perciò un uso ottimale di questa risorsa.
Peraltro, siccome il capitale umano incorporato nel lavoratore
diventa di proprietà del padrone, questi avrebbe
ogni convenienza a valorizzarne le capacità lavorative.
Farebbe i necessari investimenti nell' istruzione e nell'
addestramento dei lavoratori più dotati, migliorando
anche per questo verso l'efficienza nell'uso delle risorse.
Poiché tale tipo di contratto piacerebbe probabilmente
ai padroni più del contratto di lavoro, la domanda
di schiavi aumenterebbe rapidamente, mentre diminuirebbe
la domanda di lavoratori salariati. CosÌ, i posti
di lavoro per questi ultimi si ridurrebbero e le loro
condizioni economiche peggiorerebbero in assoluto e relativamente
a quelle degli schiavi. Di conseguenza sempre più
lavoratori sarebbero disposti ad accettare volontariamente
il contratto di schiavitù e l'offerta si adeguerebbe
rapidamente alla domanda. Al limite, dopo un certo periodo
di tempo, presumibilmente non molto lungo, tutti i lavoratori
sarebbero ridotti in schiavitù. Quindi un sistema
economico basato sulla libera schiavitù sarebbe
robusto e stabile.
La nuova istituzione garantirebbe anche la piena occupazione.
Infatti l'esistenza di un mercato e di un valore di equilibrio
di seconda mano rende superfluo il licenziamento. D'altra
parte, dato il basso costo di questo tipo di risorsa,
nessun proprietario avrebbe alcun disincentivo a comprare
schiavi al prezzo di mercato. E poiché l'obbligo
all' obbedienza totale rende il lavoro perfettamente flessibile,
ogni imprenditore avrebbe un incentivo ad assumerne quanti
più può. L'unico limite alla piena occupazione
sarebbe costituito dalla disponibilità di capitale.
Ma, poiché il salario dello schiavo è per
legge naturale un reddito di sussistenza, l'intensità
capitalistica delle tecniche sarebbe minima, la profittabilità
nell'uso degli schiavi sarebbe massima, molto elevato
sarebbe il tasso di crescita e rapidissimo il processo
di raggiungimento della piena occupazione. Sembra che
a un recente incontro del G8 si sia segretamente discusso
dell' opportunità di introdurre questa innovazione
in tutti i paesi più industrializzati. Il FMI sta
studiando il modo per convincere il più gran numero
di nazioni a sottoscrivere lettere d'intenti in cui si
impegnano a varare l'innovazione nei tempi più
rapidi possibili. L'Accademia di Svezia ha già
messo all' ordine del giorno la proposta di assegnare
il premio Nobel per l'ideologia all' economista di Chicago
che ha elaborato la nuova teoria della libera schiavitù.
Il grande merito di Milton Friedwhip (1997), l'economista
in questione, non consiste solo nell' aver fatto questa
scoperta, ma anche nell' aver dimostrato che la ibera
schiavitù non è in contrasto con la migliore
tradizione del pensiero liberale, anzi che ne è
l'estremo logico approdo. Infatti uno Stato che non vuole
intromettersi nell' economia, e che si limita ad accertare
e garantire la legittimità dei titoli generati
dalle transazioni private, non può proibire a nessuno
di firmare liberamente un contratto di schiavitù.
Inoltre il professor Gary Checker (1998) ha dimostrato
che l'innovazione garantirebbe un miglioramento di efficienza
paretiana e dovrebbe quindi essere accettata unanimemente.
Infatti la riduzione di un disoccupato in schiavitù
non ridurrebbe il benessere dei padroni (altrimenti non
comprerebbero schiavi), ma aumenterebbe senz'altro quello
dei lavoratori, i quali se non fossero schiavizzati dovrebbero
vivere al disotto della soglia di sussistenza.
C'è di più. Il professar Domenico Sordo
(1999) dell'Università di Milano, ha svolto una
ricerca storica in cui, a scorno delle anime belle della
sinistra, dimostra che l'innovazione in questione non
è in contrasto neanche con la migliore tradizione
del Komintern, Essendo stata anticipata con i metodi di
organizzazione del lavoro adottati in Unione Sovietica
nei primi piani quinquennali - quei metodi che hanno consentito
al sistema socialista di raggiungere rapidamente la piena
occupazione già negli anni Trenta, quando i paesi
capitalisti erano in profonda depressione. Forte di questa
lezione storica, il professor Sordo si è messo
quindi alla ricerca di una giustificazione scientifica.
E ha trovato che i meriti della schiavitù, prima
di essere riscoperti dalla moderna scuola di Chicago,
furono studiati con rigore da Friedrich Engels e Karl
Marx. Ecco cosa dice Engels (1970, p. 289):
«Lo schiavo è venduto una volta per sempre;
il proletario deve vendere se stesso giorno per giorno,
ora per ora. Il singolo schiavo, proprietà di un
solo padrone, ha l'esistenza - per miserabile che possa
essere - assicurata già dall'interesse di questo
stesso padrone; il singolo proletario, proprietà
per così dire dell'intera classe dei borghesi,
al quale il lavoro viene acquistato solo se qualcuno ne
ha bisogno, non ha l'esistenza assicurata [...] Lo schiavo
può quindi avere un' esistenza migliore del proletario.»
Engels ha dunque capito quali sono i vantaggi che la schiavitù
può arrecare ai lavoratori. Marx (1971, pp. 284-285),
da parte sua, ha messo in evidenza quelli che essa offre
allo sviluppo economico:
«Non occorre che vi parli dei lati buoni e cattivi
della libertà o dei lati cattivi della schiavitù.
L'unica cosa che si deve spiegare è il lato bello
della schiavitù [...] La schiavitù diretta
è il premio dell'industrializzazione odierna non
meno della macchina, del credito ecc. Senza schiavitù
non c'è cotone; senza cotone non c'è industria
moderna. La schiavitù ha dato alle colonie il loro
valore; le colonie hanno creato il commercio mondiale;
il commercio mondiale è la condizione necessaria
per !'industria meccanizzata su larga scala [...] La schiavitù
è perciò una categoria economica della massima
importanza. Senza schiavitù l'America del Nord,
il paese più progredito, si trasformerebbe in un
paese patriarcale. Cancellate l'America del Nord dalla
carta delle nazioni e avrete l'anarchia, la decadenza
totale del commercio e della civiltà moderna.»
Dunque la schiavitù, oltre a massimizzare il benessere
dei lavoratori, è un fattore di progresso industriale
e di civiltà. Così, suggerisce il professor
Sordo, si dimostra che la terza via non mira tanto a superare
la prima e la seconda quanto a rivelarne l'intima profonda
unità. I politici democratici ma di sinistra vadano
tranquilli; le leggi sulla flessibilità del lavoro
possono essere varate senza problemi morali dai partiti
laburisti oltre che da quelli liberali, essendo anticipazioni
di riforme avanzate. |
Ernesto Screpanti,
che insegna Economia politica all'Università di Siena,
ha pubblicato con noi Un mondo peggiore è
possibile. Sei perle dalla triste scienza. Sei
paradossi, apparenti. Ci penserà
Marchionne a rendere più "realistico" il
contratto: licenziando gli schiavi
*
Ernesto
Screpanti, che ci legge, ci fa notare che:
«Questa vostra applicazione empirica delle mie teorie
dimostra che il mio lavoro si sta rivelando scientificamente
utile. Ora mi rendo conto che non era un modello distopico,
ma uno studio adeguato dei processi storici in atto.
Sarebbe interessante se qualcuno si divertisse a spiegare
il mondo attuale sulla base di quel modello. Un mondo peggiore
non è solo possibile: è in fase avanzata di
realizzazione.
Provare a spiegare Berlusconi col modello del dittatore benevolente
(sesta perla). Attraverso elezioni democratiche i cittadini
"assegnano al presidente il compito di massimizzare una
funzione del benessere sociale basata sul principio: massima
libidine per il più gran numero di persone" (p.
87). Il presidente trasforma lo stato in un'azienda su cui
ha il potere assoluto di un manager. Governa col consenso
degli azionisti-cittadini, e potrà continuare a governare
fintanto che distribuirà qualche utile.
Marchionne sta facendo qualcosa di speculare dentro l'azienda:
un manager-presidente che ha potere assoluto sui sudditi col
loro consenso.
Mai l'isomorfismo azienda-stato è stato più
vicino alla realizzazione storica». E.S.-
25 giugno 2010
Caro Ernesto,
è nota la tua avversione per Hegel e la dialettica,
e in questa disposizione non rischi certo di sentirti solo.
Sarà per questo, forse, che sei il primo a stupirti
nello scoprire che quello che a te sembrava la costruzione
di un paradosso altro non era che l'anticipazione della realtà.
Il tuo indegno editore, però, aveva colto che la cortocircuitazione
di elementi apparentemente eterogenei, se non opposti –
democrazia-dittatura, Stato-azienda – non avrebbe condotto
che a rivelare contraddizioni, contraddizioni reali, rilasciando
come effetto collaterale, e riprova, uno sciame di ossimori
e poi di chiasmi. Nel tuo libro non manchi – nell'Appendice
– di individuare il processo. Le forme che la scienza
economica ha determinato e liberato – le forme, Ernesto,
le forme – apparivano come il prodursi di chiacchiere
nella testa degli economisti, e invece rappresentavano interessi
in conflitto. C.D.B.-
28 giugno 2010
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