Per
una storia dellinternamento in Italia.
Il
carcere di Salvatore Verde.
di Enzo Albano
Non è quindi separabile linteresse per
il modo di esistere e la cultura degli strati subalterni da
una visione della società globale ; e dalla ricerca
degli strumenti utili per la sua trasformazionecosì
Danilo Montaldi tracciava il solco per inchieste che volessero
avere un respiro ed una dignità politica, e volessero
affrontare il tema prescelto in maniera veramente globale.
Il libro di Salvatore Verde, Massima Sicurezza,raccoglie questa
sfida e, mettendosi decisamente contro corrente, getta ampie
carrellate di luce sulla storia recente della nostra massima
istituzione di segregazione. La consapevolezza, che muove
la ricerca, è appunto quella che una storia sociale
che non si voglia fermare alle parole ed alle pratiche di
chi detiene il potere, e soprattutto il potere di parola,
non può non interrogarsi su quel mondo oscuro, volutamente
ignorato, che è linterno del carcere e delle
logiche che lo governo.
Trentanni dopo il Carcere in Italia di Giulio Salierno,
il libro di Salvatore Verde ritorna sul tema terribile, ma
con un approccio ed un taglio profondamente diversi; il processo
di trasformazione dellistituzione che il libro racconta,
infatti, tiene come polo informativo il movimento di riforma
che lo ha attraversato per un lungo periodo e che, ad un certo
punto, si è intrecciato con le vicende dei militanti
della lotta armata incarcerati. Lipotesi di partenza
della ricerca è particolarmente succulenta: le ragioni
dellequilibrio e della stabilità del potere nellattuale
sistema penitenziario italiano sono da ricercare anche nella
sostanziale eclissi di questo soggetto politico; come correttamente
ricorda lA., dal laboratorio politico istituzionale
che fu generato dallo scontro del movimento con il potere
venne fuori una diversa ingegneria del controllo ed un modello
penitenziario che, negli anni 90, hanno mostrato una grande
efficacia nella gestione della deriva autoritaria delle politiche
sociali neoliberiste, emblematicamente rappresentate dalle
violente ondate di criminalizzazione della miseria che da
tempo disegnano un nuovo spazio sociale della penalità.
Le retoriche di legge ed ordine e di tolleranza zero, assolutamente
bipartisan, sono diventate lunico linguaggio attraverso
cui la c.d. la società civile riesce a narrare se stessa
ed a rimarcare la propria distanza da quelli che lei stesso
nomina ed istituisce criminali e che vuole esclusi, segregati
ed in galera. Laumento vertiginoso delle carcerazioni
in questi anni è anche il frutto di queste retoriche,
oltre che nella tendenza della nuova penologia
ad abbandonare lobbiettivo del reinserimento, proprio
dellepoca del welfare, per accettare strategicamente
lesistenza di zone sociali ad alto rischio di emarginazione
criminali. Listituzionalizzazione dellesclusione
ed un destino di carcere segnano irrimediabilmente lorizzonte
della miseria e del disagio sociale.
La ricerca prende le mosse dal vecchio carcere paternalistico
ed autoritario, contrassegnato da un radicale e progressivo
utilizzo di mezzi fisici di coercizione, in un crescendo disciplinare,
articolato su un puntuale elenco di punizione e per contrappunto
la previsione di alcune ricompense.Ricorda lA. come
il Regolamento carcerario dellepoca descriva la condizione
di isolamento come una graduale e progressiva somministrazione
di sofferenza. Agli inizi degli anni 70, i fattori di crisi
economica e sociale, che colpiscono i paesi occidentali, determinano
un crescente ricorso a politiche repressive, con un forte
processo di crescita delle carcerazioni. Cresce, però,
anche la consapevolezza e la cultura altra; forti
spinte liberalizzatici, sostenute da una affermazione radicale
di nuovi diritti di cittadinanza, sottopongono gli apparati
repressivi ad una incalzante critica sociale, fondata sulle
ideologie del recupero e del reinserimento. Sotto questa spinta
crolla il vecchio carcere sabaudo, in crisi di legittimazione
e governabilità con continue esplosioni di rivolta,
anche per lazione culturale e politica dei movimenti
dellestrema sinistra. La riforma non può più
attendere ed arriva il 26 luglio 75. Reca con sé tutti
i connotati e gli stilemi dellepoca Vengono, infatti,
previsti tre circuiti penitenziari: il carcere riformato,
destinato alla vasta area di criminalità comune, dove
si sperimenta il nuovo, richiesto dallideologia trattamentale
(le nuove forme del controllo penale si giocano sulla territorializzazione
dellesecuzione e sullo scambio pena comportamento
), larea dei detenuti a medio indice di pericolosità
e le carceri speciali, destinati ai militanti della lotta
armata ed ai vertici della criminalità organizzata.
Si tratta di un piccolo capolavoro di ipocrisia, nella quale
si concilia la marea culturale montante, contrassegnata dalla
ideologia della rieducazione e del reinserimento con la repressione
dura nei confronti dei nemici dello Stato, rinchiusi nelle
famigerate carceri speciali. In buona sostanza, comunque,
il carcere cessa dall essere una mera scuola di violenza
e diventa una palestra di obbedienza; i benefici previsti
dalla legge saranno fruiti solo dagli osservanti. Osservanti
per definizione ed emblematici sono i collaboratori di giustizia,
fiore allocchiello di tutta le legislazione demergenza.
Giustamente nota lA. come la legislazione speciale demergenza
abbia finito per agire tanto sulla macchina repressiva quanto
su quella giudiziaria: in effetti ledificazione del
sistema dellemergenza è stata la risposta istituzionale
alla rivolta sociale. I tratti salienti di quel sistema rimarranno
come lascito ed eredità culturale, anche per i giudici
progressisti e segneranno tutta la legislazione penale a venire,
risultata un mix indigesto di severità repressiva e
perdonismo becero, con una costante caduta dei livelli di
garanzia e di credibilità complessiva del sistema.
Bisogna attendere il 1986 per vedere unaltra riforma
organica dell Ordinamento Penitenziario ed è
la meglio conosciuta legge Gozzini. Le rivolte sono finite,
le irruzioni dei corpi speciali negli istituti, gli omicidi
ed i sequestri degli uomini degli apparati penitenziari ormai
un ricordo. Lemergenza sociale sembra ormai cessata
e la legge sui dissociati sembra essere lemblema di
una resa e di una sconfitta del partito armato. L Amministrazione
Penitenziaria si assume il compito di tradurre in domanda
politica il disagio che proviene dalle prigioni e di indirizzare
la protesta verso le forme della non violenza e del gradualismo
riformista. In ogni caso le parole dordine della nuova
riforma sono sorvegliare e premiare: definitivo assestamento
di un nuovo modello di governo del carcere e forte accelerazione
della diffusione territoriale del controllo della devianza
penale. Emblematica di queste parole dordine sono appunto
la legge sulla dissociazione ed i permessi premio, con il
contro altare per questi ultimi del giudizio di pericolosità
sociale. Se la prognosi di recuperabilità
è condizione essenziale per la premialità e
per accedere ai percorsi decarcerizzanti previsti dalla legge,
il suo giudizio rimane quanto di più controverso sul
piano teorico, di più discrezionale sul piano delle
pratiche, quanto di più duttile nellesercizio
del governo dellinternamento . Basta pensare che detti
giudizi si basano sugli atti dellosservazione penitenziaria,
sui pareri dei Direttore delle carceri, le osservazione dei
servizi sociali territoriali e, fondamentalmente, sulle note
informative dei carabinieri e delle questure. Come è
stato giustamente osservato, in fase esecutiva la discrezionalità
giudiziaria viene ad operare su un oggetto in parte fortemente
pre selezionato dal carcere stesso. Intanto siamo agli
anni 90, allaltro ieri o anche alloggi della repressione,
la crisi di lunga durata del carcere, raccontata in questa
ricerca è al suo temporaneo epilogo. Si tratta di un
epilogo da grande internamento: le carceri continuano
a riempirsi con il cospicuo contributo della criminalizzazione
di tossicodipendenti ed extracomunitari. Lo Stato, incapace
di rispondere alle domande di lavoro, di eguaglianza sociale,
di cittadinanza, mostra come al solito il pugno duro e continua
a reprimere ed incarcerare gli strati più deboli ed
emarginati, continua ed implementa la repressione del disagio
sociale, soprattutto degli ultimi tra gli ultimi, tossicodipendenti
ed extracomunitari appunto.
La storia, narrata da Salvatore Verde, è in controluce
la storia di questo paese, è un utile esercizio di
memoria, è una storia militante, nel senso più
nobile ed alto del termine. La trama di questa storia è
quella che abbiamo ricordato, ma lordito è laffresco
politico nella quale essa è stata agita, con i suoi
attori politici e le loro scelte; ma è soprattutto
la storia della sinistra, sempre in difficoltà e spesso
subalterna nei confronti del problema della criminalità
e delle sue maniere di affrontarla.
La narrazione ha un prezioso contro-canto nei tre intermezzi
che separano le sezioni della ricerca: raccontano il carcere
vissuto da vicino, esprimono solidarietà ed empatia
nei confronti dei diseredati, ricordano che essi non sono
altro da noi, ma soltanto, nella maggior parte dei casi, uomini
e donne segnati dalla miseria, dagli stenti, dalle privazioni.
Se è vero, come ha scritto Walter Benjamin, che
larte di narrare volge al tramonto, perché il
lato epico della verità, la saggezza, vien meno, la
narrazione di Salvatore Verde recupera in pieno la forza epica,
e, partendo dallesperienza, la trascende traendone una
saggezza.
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