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Scienziate e scienziati contro la guerra
a cura di Massimo Zucchetti
IL MALE INVISIBILE
SEMPRE PIU' VISIBILE

La presenza militare come tumore sociale che genera tumori reali

pp.268 euro 16,00

 

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Se non dovesse risultare chiaro il titolo – a dire il vero non immediatamente evidente – di questo volume, più chiaro è il sottotitolo che si riferisce alle conseguenze immediate e striscianti di questa presenza sull’ambiente nel quale viviamo e sulla nostra salute. Parliamo della logica militare che pervade sempre più il nostro tessuto sociale, con un sistema di valori che desta repulsione nella nostra coscienza civile. Parliamo delle conseguenze devastanti sulla salute e sull’ambiente delle popolazioni cosiddette “nemiche”. Parliamo delle conseguenze altrettanto devastanti sui corpi e sulle menti dei “nostri”, di chi il militare e la guerra è mandato o comandato a farli senza sapere. Parliamo di un tumore sociale quale il drenaggio delle nostre risorse e del nostro lavoro, un tumore sociale che non fa altro che generare tumori reali: non solo nei nostri corpi, ma anche nella mente nostra e delle generazioni a venire.
Crediamo sia arrivato il momento di sollevare il velo di censure, compiacenze, ignoranza coltivata ad arte che ricopre il mondo militare. Vogliamo contribuire a rendere visibile e vivido questo male invisibile che avvelena la nostra società. Occorre andare avanti nello studio e nella ricerca, occorre andare oltre.

Saggi e interventi di: Elisabetta Galeotti, Massimo Zucchetti, Falco Accame, Valerio Gennaro, Silvana Salerno, coniugi Garro-Cremona, Alberto Tarozzi, Federica Alessandrini, Zivkica Nedanovska, Franco Marenco, Mauro Cristaldi, Nanni Salio, Marco Cervino, Stefano Corradini, Silvio Davolio, Chiara Cavallaro, Vito Francesco Polcaro, Mario Vadacchino, Angelo Baracca, Francesco Spinazzola, Monica Zoppè, Mariella Cao, Maia Maiore, Fabrizio Aumento, Sergio Olivieri, Francesco Iannuzzelli

Massimo Zucchetti ha curato anche Contro le nuove guerre e Giano N.36 sull'uranio impoverito

da il manifesto del 2 luglio 2005

INTERVISTA di ANGELO MASTRANDREA a MASSIMO ZUCCHETTI

Porti militari, città a rischio nucleare
Il prof. Zucchetti: "Pesano il segreto e la discrezionalità data ai militari di segnalare o no gli incidenti"

"I turisti possono stare tranquilli: alla Maddalena l'acqua è pulita e la radioattività è solo nelle alghe. Ma il problema è che le statistiche sugli incidenti ai sommergibili nucleari sono impressionanti, e i "porti nucleari" italiani sono troppo vicini a luoghi abitati". Dunque, nessun problema a fare il bagno, ma attenti a quei gamberetti che si nutrono proprio di alghe. Massimo Zucchetti, ordinario di Impianti nucleari al Politecnico di Torino, ha spiegato nei giorni scorsi alla Commissione d'inchiesta sull'uranio impoverito i rischi del nucleare militare in Italia. In particolare quelli dei cosiddetti "porti nucleari", in cui possono attraccare navi o sommergibili a propulsione atomica. Sono 11, dalla Maddalena a Gaeta passando per Cagliari e Taranto. Proprio in uno di questi, a La Spezia, Zucchetti è consulente ("gratuito", precisa) del comune, che ha predisposto un nuovo piano di emergenza in caso di incidente nucleare.
Quali sono i rischi di un possibile incidente?
In Italia i porti militari dove attraccano navi e sommergibili a propulsione nucleare sono tutti in aree in cui vive popolazione civile. I problemi che pone la presenza di un impianto nucleare sono molteplici. Pur volendo tralasciare il referendum che ha abolito il nucleare nel nostro paese, ci raccontano che queste macchine sono molto sofisticate, mentre se si guarda nel dettaglio si vede che la statistica degli incidenti negli ultimi 45 anni è agghiacciante, con dispersione di materiale radioattivo e irraggiamento di personale. E non parlo solo dei sottomarini americani o russi, ma anche inglesi e francesi. Se un'automobile avesse così tanti incidenti, io non la comprerei. L'ultimo caso conosciuto è avvenuto a gennaio al largo della base Usa di Guam, dove un sottomarino ha urtato una roccia e si è sfasciato. Nel 2000 c'è stato il caso del Tireless inglese, che si dovette rifugiare a Gibilterra, creando un incidente diplomatico tra Spagna e Gb. Il pericolo è davvero reale, molto più che per il nucleare di terra. Considero un'assoluta pazzia mettere un reattore nucleare a bordo di un sottomarino.
Se è così, perché si continua a farlo?
Il motore atomico ha molti vantaggi: non brucia ossigeno, per questo un sommergibile può viaggiare anche per otto anni senza ricambio di combustibile. Ma la safety, la sicurezza, non è mai stata un obiettivo dei militari. Quello che conta per loro è la security, il fatto che funzionino al momento giusto.
Lei è consulente alla Spezia, dove nel 2000 il manifesto tirò fuori il piano militare che fece conoscere per la prima volta l'esistenza di questi porti nucleari.
Il piano di emergenza di La Spezia fa accapponare la pelle. Pensi che a fare le ispezioni sono gli stessi militari, per via del top secret. Non è ammissibile nell'ambito della sicurezza nucleare. Anche le procedure sono improbabili. Il piano dice che nell'arco di un'ora dall'incidente un rimorchiatore deve portare il sommergibile al largo. Solo in questo caso la contaminazione non sarà ingente ma comunque rilevante, al punto da far avviare le procedure di evacuazione della città e di proibire alcuni alimenti. Ma se confronto queste norme con il caso della Moby Prince, dove la nave ha bruciato per 24 ore prima che si capisse cosa fare, o di Chernobyl, dove l'emergenza è cominciata dopo 36 ore, mi chiedo com'è possibile che in appena un'ora si capisca cosa fare.
Il piano militare lasciava decidere ai militari anche se avvisare o no le autorità civili in caso di incidente.
L'autorità civile deve dotarsi un proprie reti di monitoraggio, specie per rilevare il rilascio di materiale radioattivo nelle acque e poter così dare l'allarme, attivando le procedure di emergenza; perché non possiamo accettare il segreto militare. Ma in generale credo che la presenza di navi militari a propulsione nucleare non è ammissibile in porti situati in zone con presenza di popolazione nel raggio di qualche chilometro. E nessuno degli attuali "porti nucleari" italiani ha questi requisiti.
Ci sono dei pericoli solo in caso di incidente o anche in situazioni "normali"?
Nel normale esercizio non vi sono perdite rilevanti, al massimo lo scarico di piccole quantità che non è possibile rilevare. Il problema c'è solo in caso di incidente, anche perché tutti questi reattori sono privi di contenitore, come nelle normali centrali su terraferma, pur essendo di notevole potenza: un terzo dell'impianto di Trino Vercellese. Anche il cambio del combustibile avviene abbastanza di rado e nella base madre americana. Tuttavia c'è un progetto di trasformare la Maddalena in una base per la manutenzione dei sommergibili. La nave-appoggio che è ormeggiata lì serve proprio a questo e per altre operazioni che possono produrre scorie o rilasci nell'ambiente. In realtà, io dubito che gli americani pensino di fare il cambio di combustibile in Italia, anche se la presenza di una nave-appoggio non è rassicurante.
Proprio alla Maddalena un anno e mezzo fa ci fu un incidente nascosto dai militari.
Quello dell'Hartford non è stato tra gli incidenti più gravi. Il problema è che è avvenuto in una riserva naturale e l'avvenimento è stato nascosto dai militari finché non è venuto fuori del tutto casualmente. Questo è inaccettabile, noi non possiamo dipendere da una gestione simile. Nelle alghe della Maddalena è stata trovata una rilevante presenza di emettitori alfa. Ora le concentrazioni stanno diminuendo, ma questo è il segno che qualcosa è accaduto. Ma i turisti possono stare tranquilli: l'acqua è pulita, il problema riguarda solo le alghe.
E dunque i pesci che le mangiano.
Ci sono dei gamberetti mangiatori di alghe. Ma il problema vero è che non dovrebbero esserci basi militari in posti turistici o di pesca.

sempre da il manifesto del 2 luglio 2005, una scheda del libro

Scienziati che spiegano le conseguenze della guerra
Il professor Zucchetti è anche il curatore di un libro uscito in questi giorni - Il male invisibile, Odradek edizioni - scritto da un folto gruppo di "scienziate e scienziati contro la guerra". Presentato a Torino il 30 giugno, sarà oggetto di discussione anche a Sassari, la prossima settimana, presso la libreria Odradek; tra gli invitati anche il presidente della Regione, Renato Soru, e diversi assessori. Col linguaggio asciutto che meglio si attaglia alle pubblicazioni scientifiche, i ricercatori danno conto delle conseguenze materiali, rilevabili e quantificabili, dell'uso di materiali radioattivi e chimici nelle guerre (e nelle esercitazioni a fuoco) degli ultimi anni. Non che agli scienziati faccia difetto la capacità di "indignarsi" (tema al centro dell'introduzione), ma è certo "far vedere" cosa succede quando le armi vengono usate è più efficace di qualsiasi filippica o slogan. Per esempio, ci sono ancora commentatori e giornalisti che seminano dubbi sulla pericolosità dell'uranio impoverito (depleted uranium, Du) per la salute umana. Nel suo saggio Scenari di esposizione futura in Iraq: convivere con l'uranio impoverito?, lo stesso Zucchetti dà lo "stato dell'arte" delle ricerche in materia, ponendo al centro i parametri essenziali per una discussione seria sul tema: natura del Du, quantità "sparate", differente esito di proiettili a bersaglio e fuori bersaglio, ecc. Da segnalare il saggio di Fabrizio Aumento, che ha condotto una serie di rilevanti sulle "matrici biologiche" nelle acque della Maddalena dopo l'incidente al sommergibile Hartford, documentando così l'incremento della radioattività nelle alghe (una delle basi della catena alimentare marina). Ma ogni intervento, nel libro, mette in evidenza almeno un lato di un prisma deformante praticamente infinito: il segreto militare, spesso invocato anche quando non esistono reali "ragioni di sicurezza", semplicemente per nascondere le conseguenze di un'attività militare per principio irresponsabile. Verso la popolazione civile e persino nei confronti dei propri stessi uomini in servizio (come testimoniano i coniugi Garro, genitori di uno dei tanti soldati morti "misteriosamente" al ritorno dal Kosovo o dalla Bosnia).

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