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E
poi allimprovviso ti svegli in una via tua e non tua,
indossando labito di Pierre Cardin, un mitra nella mano
destra, un fanciullo, lamico tredicenne, al fianco sinistro.
Tornate alla base; siamo a Beirut, oppure a Hong Kong, e una
pallottola ha trapassato la tua spalla sinistra, lasciando
intatto losso.
Arrivato col flusso della terza ondata migratoria dallUrss,
lAmerica ammaliatrice laveva finalmente accolto
in un misero spazio della città simbolo. Sperava, Limonov,
in unaccoglienza migliore? Difficile rispondere. Con
sicurezza, però, sappiamo che ben presto non accettò
le regole del gioco che prevedevano una espulsione non già,
come in Urss, dal Paese, ma dai luoghi del consumo e dellidentità
sopravvivenza, altro che libertà di espressione!
E ciò che per un americano significa alienazione, per
un emigrante diventa totale estraneità. La stessa,
peraltro, vissuta da tutti i russi capitati lì prima
di lui, ma che in Limonov sublima in coscienza letteraria,
in delirio rivoluzionario; in riscoperta della tradizione
lirica russa, in concitate scene da film di cappa e kalashnikov.
Negli anfratti, divincolandosi di tra i rifiuti, convive con
la fauna interstiziale, incontra mogli e amanti, alienati
e ribelli, mestieri e servizi: tutto in soggettiva, in campi
molto corti, con locchio incollato alla cosa.
Bentornato, compagno Limonov.
Eduard Limonov è poco conosciuto dal pubblico italiano,
ma un tale personaggio non può rimanere inosservato.
È lo scrittore russo che ha costruito un mito della
propria esistenza, un autore prolifico e poliedrico. Negli
anni 70 voleva fare la rivoluzione con le armi in mano
per spazzare il marcio di questa civiltà.
Negli anni 90 ci ha provato davvero, combattendo in
Serbia, in Abchazia, in Moldavia. Chi non lo prendeva sul
serio si sarà ricreduto dopo larresto per attività
sovversiva, vera o presunta. Le sue opere letterarie ora sono
passate in secondo piano, ma rimangono inseparabili dalla
sua personalità e saranno forse più durature
delle sue fortune politiche.
Diario di un fallito è generalmente considerato dalla
critica come il suo libro migliore: il più sincero
e il meno politicizzato. Le pagine di diario sono collegate
in un solido impianto narrativo, un tracciato di punti che
si allargano in chiazze di colore, trattenendo fedelmente
ciò che sfiora il suo sguardo: le nuvole e i rifiuti
urbani, i vecchi e i bambini, le signore eleganti e le prostitute
stanche. Sui brani si proietta il cambio delle stagioni, delle
donne, dei lavori, delle abitazioni. Le incursioni nel futuro
e i ricordi del passato fanno da contrappunto alle sue peregrinazioni
in una New York fatiscente e sontuosa. Lartificio è
minimo, il narratore mescola il sogno e la realtà,
rincorre il miraggio di una società diversa, respinge
o assume, a seconda dellumore, la realtà che
lo circonda. Il cinismo di Limonov, il fango di cui si copre
vivendo, diventa dura scorza che protegge lanima. Non
segue mai la corrente, semmai la crea: in Unione Sovietica
scriveva racconti alternativi, in America sogna di sparare
al Presidente. Le elucubrazioni politiche, ispirate da un
idealismo che si confonde con le fantasticherie adolescenziali,
gli hanno procurato più rovesci che vittorie. Si è
affermato come scrittore, ma non conduce di certo una vita
agiata e tranquilla. In Russia è una tradizione: la
fama letteraria non esclude la prigione. Daltra parte,
essere un eroe non è per Limonov un artificio pubblicitario,
è il suo modo per continuare a sostenere il peso del
mondo moderno. Finché ti dài da fare la partita
non è persa. Nelle avversità, Edicka rimane
fedele a sé stesso: un fallito, che anche nel periodo
fortunato si ricorda dei riti del popolo dei falliti;
resta un perdente a oltranza, che non smette di credere e
sognare.
Eduard
Limonov (Dzerzinsk, URSS, 1943), poeta, scrittore,
comunista di ritorno. Dopo uninfanzia burrascosa in
Ucraina si avvicina allintelligencija dissidente.
Nel 1974 emigra negli Stati Uniti. Dal 1980 vive in Francia,
raggiungendo il successo letterario. Con il crollo dellURSS
ritorna in Russia. Nel 1994 fonda il Partito Nazional-Bolscevico.
Dal febbraio 2002 al giugno 2003 viene imprigionato con laccusa
di traffico darmi e attività sovversiva. È
autore di oltre venti pubblicazioni, fra narrativa, saggi
politici e raccolte di poesie. Diario
di un fallito è presentato per la prima volta in
traduzione italiana.
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LIMONOV,
IL FALLITO CHE VOLLE FARSI VATE 24/09/04
Diario di un fallito,
di Eduard Limonov, a cura di Marina Sorina
Odradek Edizioni, pp. 176, 13 euro
Mauro Martini
su www.lettera22.it
Venerdi' 24 Settembre 2004
“A
me personalmente piace solo scrivere, ma neanche sempre. In
generale preferisco non far nulla. Preferisco pensare. Ricordare
le poesie. Prendere il sole. Mangiare la carne. Bere il vino.
Fare l’amore oppure organizzare la rivoluzione. Scrivere,
-magari qualche volta”. Eduard Limonov non si è
molto discostato nella sua turbolenza vita da questa dichiarazione
programmatica che risale alla seconda metà degli anni
Settanta e compare nel Diario di un fallito, testo letterario
pubblicato nel 1982 e soltanto oggi approdato ad una irrinunciabile
versione italiana, curata con passione e competenza da Marina
Sorina. Negli ultimi ventidue anni Limonov ha fatto di tutto.
L’intellettuale un po’ grassoccio e con gli occhialini
tondi che scandalizzava gli ambienti dell’emigrazione
russo-sovietica, raccontando in una prosa densa e aperta ad
ogni contaminazione le miserie esistenziali dei loro protagonisti,
non esiste più da tempo. Oggi lo scrittore ha appena
passato la sessantina, ostenta un fisico asciutto e curato
e di sicuro ricorda con simpatia le antiche polemiche che
lo volevano tra Francia e Stati Uniti agente provocatore del
Kgb. Bazzecole in confronto al monumento in cui Limonov è
riuscito a trasformare la propria esistenza, quasi come un
avanguardista del primo ‘900. Non si è risparmiato
nemmeno due anni di galera con l’accusa di aver organizzato
un attentato terroristico, circostanza sempre negata, ma un
po’ a malincuore, come se il suo Partito nazional-bolscevico,
fondato ormai un decennio fa, non fosse naturalmente portato
a limitarsi alle mere intemperanze verbali di un organo di
stampa, “Limonka”, croce e delizia dell’intelligencija
moscovita. E d’altronde Limonov vanta, non si sa esattamente
con quale fondamento, una partecipazione armata al fianco
dei “fratelli” serbi durante la guerra di Bosnia.
Insomma, il vecchio Edichka, lo scrittore anticonformista
che si scagliava contro coloro che egli considerava i bacchettoni
dell’emigrazione ostentando una sessualità ingorda
e onnicomprensiva, è riuscito a diventare quel che
aveva sempre sognato, fin dal suo arrivo a Mosca nel 1966,
proveniente dalla natia Char’kov, quando per far breccia
nella cerchia progressista delle riviste del disgelo si prestava
a cucire i pantaloni dei redattori snob e squattrinati delle
testate più prestigiose. Oggi Limonov è agli
occhi delle generazioni più giovani un autentico mito,
costruito non sulla condivisione di idee politiche spesso
aberranti, ma sull’apprezzamento della capacità
di coerenza estrema, della disponibilità a pagare di
persona in una dimensione tutta estetica, ed estetizzante,
dell’esistenza. “Virtù” cui lo scrittore
conferisce piena espressione letteraria in una nutrita serie
di testi dati alle stampe negli ultimi anni. Volumi discontinui,
tutti di natura autobiografica, tra i quali spiccano Il libro
dei morti e Il libro dell’acqua.
Il Diario di un fallito è l’imprescindibile premessa
a ciò che Limonov rappresenta oggi, il testo capitale
sicuramente più decisivo di quel Sono io, Edichka,
pubblicato nel 1980 e a suo tempo importato in Italia dalla
traduzione francese con il titolo, suggestivo ma fuorviante,
Il poeta russo preferisce i grandi negri. Fu insulsa la scelta
di ignorare l’originale russo per il semplice motivo
che la grande novità dello scrittore consisteva nella
sua capacità di inventare una lingua ben lontana da
quella normatività che all’epoca ancora affliggeva
una letteratura per cui molto contava il bello scrivere. Non
a caso Andrej Sinjavskij affrontò coraggiosamente la
sfida di pubblicare le opere del giovane e controverso autore
proprio nell’intento di valorizzarne l’originalità
linguistica e immediatamente fu bersaglio delle polemiche
di autorevoli esponenti dell’emigrazione che vedevano
in quei lavori delle pure e semplici provocazioni. Quanto
quelle diatribe fossero inconsistenti lo dimostra la lettura
odierna del Diario di un fallito: grazie alla competenza e
alla sensibilità della traduttrice si riesce a cogliere
a distanza di più di vent’anni la dirompenza
di un lungo monologo in cui il “fallimento” denunciato
nel titolo si traduce nel consapevole rifiuto di ogni limite.
Non c’è modo di fare esperienza del mondo circostante
senza ricercarne gli aspetti estremi e ripugnanti, soprattutto
nella sfera sessuale che rimane il luogo privilegiato della
conoscenza a patto di non farsi condizionare dai canoni riconosciuti
della bellezza. D’altronde per Limonov non c’è
modo di separare l’esperienza dalla violenza. Una violenza
che da un lato è esasperata reazione al mondo occidentale
che respinge il giovane emigrato sovietico, ma d’altro
lato è l’unico strumento di cui si dispone per
far sì che la sfera delle convenzioni non abbia il
sopravvento. E’ solo la primordiale violenza del desiderio
fisico che consente di abbracciare una fresca vedova e di
superare il lutto della recente scomparsa. E’ solo l’odio
intenso per la civiltà che può assicurare la
speranza di un cambiamento. In un delirio che approda al sogno
di assassinare il presidente degli Stati Uniti e che ha come
unico punto d’appoggio alla realtà una rigorosa
coerenza linguistica. Con buona pace di tutti coloro che continuano
a prendere per veri i proclami dell’aspirante Vate Eduard
Limonov.
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Ne
ha voluto parlare Milly Berrone
su esamizdat. Bene, ci pare.
Se,
come sostiene Calvino, tanto nella letteratura quanto nella
vita tutto quello che apprezziamo come leggero finisce invariabilmente
per rivelare il proprio peso insostenibile, Il diario di un
fallito di Eduard Limonov rappresenta il versante esattamente
opposto alla levità di Kaminer. All’umorismo
e alla melanconia di quest’ultimo corrispondono infatti
la prosopopea e l’intenzionale teatralità di
Limonov. Pur avendo vissuto e narrando nei propri testi la
medesima esperienza di vita, l’emigrazione, non è
possibile trovare due autori più distanti l’uno
dall’altro, ma i tempi ed il contesto sono radicalmente
mutati.
Le Edizioni Odradek presentano infatti, a più di venti
anni dalla sua data di pubblicazione, la traduzione italiana,
curata da Marina Sorina, di Diario di un fallito oppure. Un
quaderno segreto, scritto dall’autore intorno al 1977
a New York e apparso in Francia nel 1982. Espressamente dedicato
ai falliti e ai perdenti di tutto il mondo, questo testo,
suddiviso in venti capitoli a loro volta composti di brevi
frammenti lirici, racconta in forma di diario, in una sorta
di poesia in prosa, come nota nella prefazione la traduttrice,
un anno della vita di Limonov a New York.
Ex enfant terrible sovietico che al pari di Venicıka Erofeev
non volle e non seppe mai adeguarsi, come nota Gian Piero
Piretto (“La Russia “dentro e fuori l’Europa””,
Mappe della letteratura europea e mediterranea; III. Da Gogol’
al postmodernismo, Mondadori, 2001, p. 49), nel 1974 Edicıka
Limonov, pur non considerandosi un dissidente, abbandona l’Unione
Sovietica in cerca di una maggiore libertà di espressione
e, dopo aver soggiornato per qualche tempo a Vienna, a Roma
e a Parigi, si trasferisce a New York. Se l’America
tuttavia piace a gran parte degli emigrati russi, così
non è per Limonov che, con la delusione e la rabbia
di chi non riesce a trovare spazio nel tanto agognato paradiso
delle libertà, nelle pagine del suo primo romanzo composto
negli Stati Uniti (Sono io, Edicıka. Il poeta russo preferisce
i grandi negri) si scaglia violentemente non solo contro il
capitalismo ed il way of life americano, ma anche contro gli
emigrati russi, soprattutto contro il premio Nobel Josif Brodskij,
che, ricambiati, quel sistema lo hanno invece pienamente accettato.
Terminato nel 1976, il romanzo, che non verrà mai pubblicato
negli Stati Uniti e vedrà la luce soltanto nel 1980
in Francia, dove Limonov ritorna dopo aver lasciato New York,
trova un anno dopo, nel 1977, il suo cotè intimo e
privato proprio in Diario di un fallito.
Le vicende che vi sono narrate coinvolgono infatti –
nota sempre la traduttrice nella sua prefazione alla traduzione
– le stesse persone, lo stesso periodo, la stessa storia
del precedente romanzo, ma su tutto domina, in una disperata
e disperante solitudine, la voce del narratore, la voce di
Edicıka che, abbandonandosi totalmente non solo alla confessione,
ma anche ad un sommo autocompiacimento, tenta di costruire
attraverso le pagine del suo diario, offerto impudicamente
alla curiosità del pubblico, il mito negativo della
propria esistenza, andando, come sottolinea Mauro Martini,
ben oltre la semplice identificazione tra arte e vita (Oltre
il disgelo. La letteratura russa dopo l’Urss, Mondadori,
2002, pp. 15-21). Abbandonato dalla moglie russa e ignorato
dalle case editrici newyorkesi che non hanno alcuna intenzione
di pubblicare il romanzo che ha appena terminato (si tratta
ovviamente di Sono io, Edicıka), Eduard Veniaminovicı, Edik,
Ed’ka, Edicıka, E.L. o Edward che dir si voglia si barcamena
tra mille impieghi precari, abbrutendosi in uno squallido
albergo di periferia o facendosi mantenere dalla cameriera
di un ricco americano, nella costante ricerca di avventure
sessuali – ora reali, ora immaginarie – con donne,
uomini, adolescenti e persino bambini, senza mai smettere
di imprecare contro il sistema americano che trasforma i suoi
cittadini in schiavi, per giunta idioti. La narrazione oscilla
costantemente non solo tra il passato agreste e rurale, in
ogni caso sereno, dei suoi ricordi d’infanzia e di gioventù,
il presente della degradante avventura newyorkese ed un improbabile
futuro di rivoluzioni e assalti al sistema americano, ma anche
tra l’esibita e compiaciuta esaltazione di sé
e l’intimistica contemplazione della natura in uno scadente
romanticismo a tratti adolescenziale. Non è un caso
infatti che la narrazione si concluda con il trasferimento
di Edicıka nella casa di campagna del riccone di turno, dove,
nella contemplazione del cielo aperto egli riesce finalmente
a trovare tranquillità, pur continuando a sognare di
disseminare violenza contro se stesso e contro la società
che lo circonda: “Pallottola, sei bella. Pallottola,
sei vendicativa. Pallottola, sei bollente. È bello
sparare da una distanza ravvicinata nella pancia gonfia e
moscia del Presidente degli Stati Uniti d’America, protetto
solo da una camicia a quadri da contadino, riuscendo a prendere
la mira tra due spalle larghe, nel caldo asfissiante di una
fiera agricola dei farmers dello Iowa, nel paese del mais
gigantesco e dei manzi capaci di schizzare un getto giallo
che buca la terra. Correre verso i trattori nuovi di zecca,
entrare nel padiglione tecnologico e sprangare la porta…E
mentre quelli tentano di sfondare le porte e le finestre,
alzarsi in piedi sul tetto e spararsi alla tempia una bollente
pallottola. Addio!”.
Molto si è scritto su Eduard Limonov dentro e fuori
la Russia, soprattutto da quando, al suo rientro nella ormai
ex Unione Sovietica, l’estremista politico ha preso
il posto dello scrittore, alleandosi dapprima con Zıirinovskij,
fondando successivamente il Partito Nazional-Bolscevico e
scontando infine più di due anni di carcere per un’infondata
accusa di traffico di armi, banda armata, terrorismo e attività
sovversiva. Al di là di quanto scritto sul Limonov
attivista politico, la migliore interpretazione, perlomeno
in Italia, di Diario di un fallito è tuttavia quella
di Mauro Martini che scorge nel protagonista di questo testo
la descrizione dell’homo violentus “nella sua
forma più pura, quella incarnata nell’emigrato
dall’Unione Sovietica che guarda dall’esterno,
e con una buona dose di rabbia, quel mondo occidentale da
cui si sente irrimediabilmente escluso e che denuncia la voglia
frustrata di integrazione invece di perpetuare l’immagine
dell’intellettuale sempre pensoso delle sorti della
madrepatria”. Esprimendo inoltre un’opinione più
generale sulla attività del Limonov scrittore, Martini
gli riconosce da un lato il pregio di essere sempre rimasto
un uomo di letteratura fino al midollo, pur avendo sempre
cercato di disonorare la letteratura stessa, mentre per altri
versi si rende conto di come spesso ciò che egli scrive,
pur essendo letterario al massimo grado, non riesca a conquistarsi
una autentica dimensione artistica.
Non è facile – bisogna ammetterlo – nell’affrontare
la prosa di Eduard Limonov riuscire non solo a distinguere
il provocatore ed il delirante rivoluzionario dallo scrittore,
ma anche superare l’irritazione provocata da una scrittura
spesso immatura. Va tuttavia detto che la scelta delle Edizioni
Odradek di presentare finalmente in una traduzione italiana,
estremamente attenta e curata, il Diario di un fallito è
indubbiamente lodevole. Non solo fino ad oggi in Italia era
apparso unicamente un suo racconto, contenuto nell’antologia
di Viktor Erofeev, I fiori del male russi, curata per la Voland
da Marco Dinelli, oltre ad una traduzione dal francese (!)
del romanzo Il poeta russo preferisce i grandi negri per Frassinelli,
ma la possibilità di leggere in italiano questo testo
di Limonov è senza dubbio estremamente utile per comprendere
più a fondo tanto la letteratura dei decenni immediatamente
precedenti il crollo dell’Unione sovietica, quanto i
più recenti sviluppi del postmodernismo in terra di
Russia. Va infatti riconosciuto a Limonov e alla sua opera
il merito, indubbiamente condiviso, tra gli altri, con Venedikt
Erofeev, di aver introdotto nella letteratura russa temi e
procedimenti, non da ultimo il ricorso al lessico basso, che
in questi ultimi anni ne sono diventati il tratto caratteristico,
merito che tuttavia i diretti interessati, da Pelevin a Sorokin,
da parte loro si guardano bene dall’ammettere.
http://www.esamizdat.it/recensioni/berrone2.htm |
IL
CASO EDUARD LIMONOV, SCRITTORE E DEMENTE POLITICO
in Alias de il manifesto, del 2 ottobre 2004
la Talpa libri
Violento di culto
Libro dell'acqua (scritto in carcere) e Diario
di un fallito (di vent'anni prima): due uscite italiane
per il fondatore del partito nazionalbolscevico, che fa d'ogni
risentimento una prosa esplosiva, coercitiva
di Mauro Martini
Un
tronco maschile nudo che emerge dall'acqua e a cui il bordo
superiore dell'immagine taglia di netto la testa. Un gioco
di muscoli che conferisce a quel busto una postura scultorea
ma al tempo stesso un'immobilità ravvivata dal fitto
intreccio di graffiti in penna rossa che una stessa mano ha
tracciato su quella citazione della classicità pagana.
Il grafico che due anni fa ha studiato la copertina dell'edizione
russa del Libro dell'acqua di Eduard Limonov per i
tipi di Ad Marginem (ora ne esce la traduzione italiana, curata
da Mario Caramitti, per la padovana Alet: pp. 256, €
17,00) ha colto così, lapidariamente, lo spirito del
testo, lo sforzo dell'autore di costruire un monumento a se
stesso e di converso limpossibilità di fargli emanare
armonia e compostezza di fronte alla prevalenza di una prosa
frammentata che si spoglia di ogni orpello per consentire
l'esplosione della violenza insita in ogni scrittura.Se Limonov
è oggi in Russia uno scrittore di culto, soprattutto
tra le generazioni più giovani, lo si deve all'immediatezza
con cui le sue pagine lasciano capire che le fatiche dello
scrivere consistono nella continua coercizione che ogni riga
deve esercitare nei confronti di chi legge. Poco importa che
il buon Edicka abbia trascorso in carcerazione preventiva
ben due anni con l'imputazione di acquisto d'armi e di partecipazione
a banda armata - reato collegato alla preparazione di un attentato
per conto del Partito nazionalbolscevico, la rumorosa ma poco
vitale creatura politica dello stesso Limonov. Nessuno ha
mai prestato eccessivo credito a un'accusa talmente mal costruita
che la stessa magistratura ha alla fine chiuso la faccenda
con una sbrigativa condanna a quattro anni, derubricando i
reati e rimettendo immediatamente in libertà l'imputato,
il quale aveva trasformato la sua cella, nel carcere di transito
di Lefortovo, in una fucina letteraria di prim'ordine, licenziando
migliaia di pagine. Molti invece hanno visto in quell'arbitraria
detenzione la volontà di stroncare una letteratura
intransigente, troppo votata alla descrizione della pulsione
originaria della scrittura per trovare il modo di stringere
compromessi. Due anni in galera e un autore, in precedenza
noto per gli happening trasgressivi del suo partito, che ha
travalicato l'angusto ambito della politica moscovita e dei
professionisti della letteratura per diventare una voce controversa
ma autorevole della narrativa russa.Il Libro dellacqua, che
di Lefortovo è figlio, riprende all'apparenza l'eterna
ossessione autobiografica di Limonov, affrancandosi però
dalla vocazione diaristica dei primi anni di attività
e proseguendo invece nell'organizzazione in libro
intorno a un tema prefissato inaugurata con il Libro dei morti,
in memoria dei molti defunti tra gli occasionali compagni
di viaggio. L'acqua del titolo sta a segnalare i mari, i fiumi,
i laghi, le fontane, le saune, le piogge che hanno costellato
la vita dell'autore e si traducono in frammenti narrativi
privi di coerenza cronologica. D'altronde l'unica coerenza
che si può pretendere dall'autore è quella letteraria,
perché assai poco tiene insieme il giovane Savenko
(il vero nome di Limonov) - il provinciale di Char'kov che
arriva a Mosca per conquistare l'ambiente della letteratura
liberale e si ritrova a cucire pantaloni agli
accigliati direttori delle riviste più prestigiose
- con l'odierno leader politico votato al culto di una durezza
virile da mettere al servizio di un contenitore ideologico
piuttosto confuso ma comunque destinato a raccogliere i nostalgici
di un ordine imperiale perduto. Lo stesso Limonov ha provveduto
a correggere progressivamente il tiro. Quand'era soltanto
uno scrittore emigré, odiato dai suoi compatrioti per
la scarsa venerazione nei confronti delle gerarchie letterarie
della Russia all'estero, la sua bandiera era il bisessualismo
più spinto, mentre adesso, che si presenta come un
palestrato capo nazionalbolscevico, il bisessualismo sfuma
a vantaggio di una ostentata pedofilia.
Già questo basterebbe per capire che il materiale autobiografico
va preso con la dovuta cautela, perché non si potrà
mai essere sicuri delle prodezze belliche di Limonov in Abchazia
o nella Krajina di Knin a fianco del comandante Arkan oppure
nella Transdnistria. Né la cosa importa più
di tanto. Conta invece il modo in cui l'originaria esplosione
di risentita violenza viene tradotta in una prosa da un lato
sapientemente orchestrata sui temi che maggiormente feriscono
la coscienza russa, e dall'altro giocata sui registri dell'imposizione
e della seduzione al tempo stesso. Casualmente, dopo una lunghissima
assenza dalle librerie italiane, Limonov vi è rientrato
quest'anno con questo Libro dell'acqua - che è del
2002 - e con il Diario di un fallito, pubblicato
un ventennio prima (traduzione di Marina Sorina, Odradek Edizioni,
pp. 176, € 13,00). La lettura dei due testi è
istruttiva perché i due traduttori hanno, forse inconsapevolmente
o forse forzati dall'originale, privilegiato corde diverse:
il Limonov di Caramitti è crudamente violento, il mitra
e la donna ridotta a orifizio sono i due poli di un vitalismo
tetro, disperato, cui fa da contraltare l'impossibilità
di penetrare al fondo di paesaggi sempre descritti come morti;
il Limonov di Sorina è invece accattivante, usa il
suo rifiuto dell'Occidente come un'arma per vincerne le difese
e non esita a farsi seducente. E i due Limonov convivono ancora
adesso in pagine terse e affascinanti che si fanno leggere
solo a patto di trascurare ogni considerazione etica o politica
e di aver voglia di vedere la violenza oltre il velo delle
convenzioni e dei pregiudizi per ciò che essa è,
vale a dire un incontenibile impulso. Andrej Sinjavskij considerava
il giovane Edicka una promessa della letteratura russa e scatenò
feroci polemiche pubblicandone i testi a Parigi all'interno
di quell'emigrazione che li accolse assai negativamente, adducendo
i più vari motivi, dall'ossessivo turpiloquio alla
scabrosità delle situazioni, passando per la ferocia
con cui erano ritratti alcuni emigrés, Iosif Brodskij
in testa. Sinjavskij naturalmente trovava una notevole consonanza
tra la propria prosa e quella di Limonov, entrambe fondate
sul pieno dominio della finzione letteraria sull'esistenza,
fino al punto di piegare la vita alle esigenze della letteratura.
Probabilmente però, alla base di quel giudizio favorevole
vi era l'intuizione che Edicka avesse trovato una peculiare
via di uscita dal disfacimento dell'utopia sovietica, una
sorta di tentativo di ritorno al magma originario della violenta
esplosione rivoluzionaria, un percorso a ritroso seguito senza
speranza ma fingendo di credere nella praticabilità
di una seconda chance. È un po' quello che oggi Limonov
fa risibilmente in politica, finendo con il limitarsi ai gesti
dada del lancio di colori e di uova contro i malcapitati bersagli
e negando ogni nostalgia in un virilismo che vive soltanto
dell'atto e non si lascia comporre in una strategia razionale.
Il Partito nazionalbolscevico non è però che
un pallido riflesso di ciò che Limonov ha tentato e
tenta in letteratura, la pratica di uno squarcio che riduce
l'intera realtà a finzione.
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La vita quotidiana raccontata attraverso le pagine di
un diario che non risparmia niente: i dolori e i rifiuti,
la gente, i vecchi, i bambini, le ex mogli che te le ritrovi
davanti quando meno te lo aspetti. E poi le delusioni, le
confessioni. Intanto intorno cambiano le stagioni, i tempi,
la storia.
Chiara Lico, in http://www.lettera.com/libri/libro.jsp?id=5181
scrive così del nostro Limonov.
Diario di un fallito: La volontà di farsi conoscere
Il mondo. La vita. Pareva che tutto si fosse fermato. Il
sole in faccia è la pace nellanima.
Solo che tutto ciò è un imbroglio. Domani, dopodomani,
di nuovo sarà esploso il mondo
di nuovo i capelli
si sporcheranno, il vento sferzerà, la pioggia bagnerà,
la donna tradirà, e io bacio una foglia rossa, che
cade sul mio libro. Salve, Natura!
E voi, gente, ammazzatemi, per favore, in un modo spettacolare.
Sono pagine dure, queste. Tanto da far pensare, mentre le
sfogli, che ci sia anche una certa compiacenza nella crudezza
delle espressioni. Miraggi icastici, a volte anche troppo,
di una realtà da ingoiare così come ci si presenta.
Così come Limonov vuole presentarcela e rendercene
partecipi.
Un diario che al di là del privato che racconta, ha
il pregio di ristabilire un rapporto con una storia poco conosciuta.
E da lì, nasce la curiosità di conoscere anche
il protagonista che la vive e che ce la racconta. Ma attenzione:
questopera è anzitutto un atto di narcisismo.
Alla base cè la volontà di farsi conoscere,
di essere scoperto, riconosciuto, al limite anche ammirato
in tutto quel che rappresenta una forzatura al senso comune:
mi piace essere un avventuriero. Mi torna spesso utile.
Allimprovviso piove, e mi sento povero e nauseato, e
mi viene da piangere, allora penso: - ehi, sei un avventuriero,
può capitare. Tieni duro, ragazzo, te la sei scelta
tu questa strada, non volevi una vita normale ora beccatela,
e non ti lamentare. E questo è niente in confronto
a quel che si trova leggendo questo Diario di un fallito che
ci prova gusto a sentirsi tale. Quasi che la sofferenza, a
prescindere dal tipo, sia comunque un pregio da esibire.
Il bello veramente di questo testo sono gli sprazzi di verità.
Mai edulcorati, mai regalati o forzati. Li trovi lì,
ad attenderti come luci che di tanto in tanto ti fanno strada
e che servono a darti la via: la realtà, brutta, sporca,
malsana e dolorosa è comunque la realtà. E con
lei vanno fatti i conti. Non mistifica niente, Limonov. Semmai
il contrario. Ma tutto questo non deve indurre in errore:
tanta aderenza alla realtà non significa che il sogno
sia archiviato. Piuttosto che va preservato, curato, coccolato
pena la sua dissipazione. E questo sarebbe il peggiore dei
reati, il più grave dei peccati. La realtà e
il pelo sullo stomaco che essa comporta sono il solo modo
di tenere al caldo la fantasia, la felicità che aspettiamo,
quel domani che sarà - che dovrà essere - comunque
migliore delloggi.
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