Tommaso
Ottonieri su Carta n, 13 (7/13 aprile
2005)
Il flusso ibrido della cultura
Esce per Odradek la Biblioteca interculturale
di Armando Gnisci, una cartografia di quella cultura dove
il prefisso inter vuol dire stare nel mezzo, nel
flusso delle cose. Non al centro, ma circondati e circondanti
UN PICCOLO-ESPANSIVO [elasticamente] atlante del nodo interculturale
- bussola o labirinto per [dis]orientarsi, per forza di parole
e di scritture [e di un filo discorsivo che le collega e replica
e rilancia, seguendo un metodo associativo -connettivo,
il metodo della complessità, apparentemente dis-ordinato
e con-fuso], in quell'esplosione delle culture chiuse, delle
identità finite, che [al di là dei tentativi
di contenimento da parte degli illuminati regimi
occidentali, ex-coloniali o neocolonizzanti] è il vero
nucleo, il creolo groviglio che noi tutti abitiamo - è
quanto ci regala adesso, al suo trentasettesimo libro [auguri!!],
Armando Gnisci. Cioè [vale la pena di precisarlo],
a partire da questo libro, da armando gnisci:
scritto così, tutto in minuscolo, non per assecondare
qualcosa [sia vezzo, tic, offerta d'intimità comunicazionale,
puro istinto di cyber-semplificazione] che appartiene ormai
al galateo della scrittura elettronica, della corrispondenza
in e-mail: piuttosto, per un'esigenza intimamente politica
[sulla scorta, non solo onomastica, di bell hooks,
teorica nera decolonizzante, e del suo quasi-pseudonimo di
cui lei si è riappropriata seguendo una via matrilineare]:
l'esigenza di manifestare in maniera indelebile e perenne
contro la 'mia'identità di maschio bianco europeo occidentale
quasi borghese, che ha un nomecognome alto e pesante e lo
impone a sé e agli altri [la grammatica, e la
sua ortografia, è - si sa laforma basilare di
dominio: è dal linguaggio, sul linguaggio,
che si sviluppa ogni lotta].
Gnisci [mantengo la G maiuscola ma solo perché viene
dopo il punto: ma forse, come sapeva Joyce, lo stesso filo
spinato delI'interpunzione è da abolire, nel magma-mater
d'una scrittura-senso, d'una lingua femmina, agerarchica,
(a sé) mater], armando gnisci [ma non sarà qui
forse il bianco della battuta, lì giusto al centro,
a deludermi? quel residuo di classificabilità anagrafica,
che ci terrà di qua da ogni effettivo creolizzarci,
fino a che non sapremo abolirlo, e abolire le nostre distinzioni?],
lui, insomma, è nome che tutti i lettori di Cartagià
conoscono assai bene [non solo per l'assidua collaborazione
a queste stesse colonne]. Di lui misembra imperativo ricordare
[fra le uscite recenti] I'importante Creolizzare l'Europa:
letteratura e migrazione [Meltemi], libro che - coronando
una serie di altre opere saggistico-militanti, e soprattutto
Creoli meticci migranti clandestini e ribelli,
stesso editore, pochi anni prima - va a centrarsi, come dall'interno,
sull'imporsi delle prime ondate di scrittori migranti
in Italia: nati [per la maggior parte] già qui, ma
portando vivissima in sé l'identità dell'origine,
una coscienza altra ma ubiqua: e dunque, creolizzanti
per natura; e www.kuma.it, un sito dove con passione militante,
si accolgono le esperienze appunto migranti [in particolare,
le immigrate] di scrittura: un lavoro che sentiremo
sempre più centrale, per tutti noi, a ogni istante
che passa.
Ma allora [uscita in una collana che appunto s'intitola Culture
sul margine], questa Biblioteca interculturale.
Qui - è ciò che sin dalla prima pagina che [sia
pure indirettamente, ruotando su una rete di significazione
ancora più estesa] Armando Gnisci chiarisce - inter-
sarà da intendersi, precisamente, come un porsi in
mezzo alle cose, in mezzo a tutti, in
mezzo al flusso, alla corrente: e insomma, non
'al centro', ma circondati e circondanti. Una piega
del discorso si fa traccia di un metodo in costante, progressiva
definizione: decentrante, e rifondativo insieme posto che,
ciò che è da fondare, è altro
dalla verticalità, edificativa, d'un accentrante dominio
- è la riconoscibilità dell'altro,
e di sé ancora come altro - è l'orizzontalità
circondante di margini capaci di farsi
avanti per ricomporre un nuovo orizzonte]. E ri-costruire
un percorso [addirittura] bibliografico, nel processo della
viandanza, non vorrà dire altro che cartografarne
l'inter-secarsi dei flussi: e di sé stesso
come flusso.
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Recensione
di Davide Bregola apparsa sul
n. 16 di martedì 19 aprile 2005 di Stilos
(settimanale del quotidiano La Sicilia)
Il ragazzo ambizioso e dedito allo studio che desiderava entrare
all'Università per insegnare e pubblicava Scrittura
e struttura, Roma, Silva 1970 mettendo a frutto i suoi studi,
in auge al tempo, su strutturalismo e semiotica, dopo 36 libri
pubblicati, con quest'ultimo libro, in ordine di tempo, ha
dato alle stampe il vertice della sua verità.
Armando Gnisci, professore di Letteratura Comparata e Letterature
africane postcoloniali a La Sapienza e Interculturalità
a Ca' Foscari, col suo Biblioteca Interculturale -Via della
Decolonizzazione europea N°2- (Odradek) mette a disposizione
dei lettori la sua conoscenza di libri, film e musica che
hanno una prospettiva, consapevole o meno, di "ri-educazione
europea". Gnisci ci accompagna come una guida sicura
ma gentile e pronta all'ascolto, a fare una camminata assieme
a lui tra filosofie, etnografie, poesia, letteratura, sociologia-
politica, antropologia, ma non si limita a citare, commenta
e compie scelte. Giudica, se ne prende la responsabilità.
E per questo gli siamo grati. Perché è un umanista
sincero, che per il tramite di uno stile persuasivo e convincente,
rende i contenuti importanti. A me, lettore, vien voglia di
andare a cercare i libri citati che mancano alla mia biblioteca
personale, mi viene voglia di condividere. D'imparare e insegnare
allo stesso tempo. Oltre a questo, il libro è anche
lautobiografia intellettuale di un uomo colto nato nella
seconda metà del 20° secolo che rivede tutte le
grandi scoperte e le ideologie dominanti in Occidente dal
famoso viaggio di Cristoforo Colombo fino alla nuova rivoluzione
pacifica della creolizzazione. Da vent' anni Gnisci è
in prima linea a favore di una letteratura mondialista, e
da vent' anni ci dà una prospettiva nuova di "canone",
e da anni ci propone "una storia diversa" della
Letteratura. Se fino ad ora ci aveva dato la teoria, con i
libri Via della Decolonizzazione Europea, Cosmo Iannone, Isernia,
2004 e quest'ultimo Biblioteca Interculturale -Via della Decolonizzazione
europea N°2- pubblicato da Odradek, va direttamente alla
"pratica" e con tesi pacate ci dice: L'etnocentrismo
occidentale moderno è pieno di contraddizioni ed errori
di prospettiva. Oggi la cosa più onesta da fare è
liberarsi da tutti i fardelli di presunta superiorità
-ancora duri a morire- e iniziare a de-colonizzare la nostra
mente, la nostra cultura dai confini limitati, e iniziare
a creare un "nuovo umanesimo". Gnisci ha il coraggio,
sulla scorta di Fanon, di muoversi da una presa di posizione
e ordisce le sue interpretazioni a partire da quella: Sappiamo,
quanto sappiamo?, di essere gli irresponsabili (sordi che
non rispondono a ciò che non sanno che è urlato
per noi:l'urlo polifonico di 500 anni di storia moderna europea
del mondo) eredi e discendenti dei "nostri capostipiti"
che tolsero la storia agli africani e agli Inca, ai Maya e
agli Uroni, ai Maori e ai Mapuche, ai Tupì, agli Arawak
e ai Koori australiani? E che li alienarono deportandoli in
una storia a cui appartennero da allora solo come succubi?.
DAVIDE BREGOLA
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Daniele Barbieri
recensisce Biblioteca interculturale n.2
su www.migranews.it
Cè unapparente contraddizione in questo
libro. Da una parte lansia comunicativa di Armando Gnisci
è tale che lautore dà il suo indirizzo
e invita a scrivergli
una prima volta e poi ancora verso
la fine. Daltra parte è indubbio che alcune parti
di questo nuovo saggio sono faticose, che il dialogo intrecciato
dallautore con chi legge in qualche punto si sfilaccia.
Contraddizione solo apparente però. Gnisci non perde
il filo per qualche trascuratezza o disordine stilistico.
Lo fa volutamente, comunque senza paura e spesso ironizzando
sul rischio: perché questo è lo stato
dellarte; o meglio per dirla come a lui
piacerebbe incamminarsi sulla via della decolonizzazione
europea è obbligatorio ma la strada è
ancora tutta da disegnare (lastricare no
quella, con
tanto di buone proverbiali intenzioni, ci porta solo in qualche
inferno fra i tanti possibili).
Armando Gnisci ha fretta certo. E noi con lui. Ciò
spiega perché, a così breve distanza da decolonizzazione
- edito da Cosmo Iannone - esca il 2 (etichettato in questa
maniera, proprio come un sequel cinematografico) e perché
bisognerà leggerlo, rifletterci, parlarne, usarlo.
Conviene dunque seguire Gnisci nelle sue urgenze, nei necessari
ripensamenti, in qualche errore (fecondo e sempre possibile),
nei toni polemici, nei punti in cui urla, nelle
incertezze, nelle trame che oggettivamente si aggrovigliano
perché i tempi sono confusi, gravidi insieme di potenzialità
e di angoscia. Perché scrive lui «siamo
in mezzo», «attraverso» e «non credo
proprio che ci sia un centro» piuttosto «un flusso».
Nuotare allora. «Fluttuare alla maniera taoista»
forse. Pentirci anche. Provare rimorso. E necessario
che «decostruiamo e rimordiamo il misfatto epocale che
ha sequestrato e sgozzato la storia della specie umana».
Quando in una conversazione diciamo «si va a oltranza»
il concetto ci è chiaro. Ma, come capita con tanti
vocaboli, se dovessimo definire esattamente oltranza forse
prima sbirceremmo un dizionario. Armando Gnisci afferma che
loltranza è il soggetto del libro.
«Diciamo che è la meta e la strada che faremo
per poterla adocchiare quando capita allorizzonte; ma
non è largomento, il contenuto, il messaggio».
Se questa frase (è a pagina 10, proprio allinizio
dunque) vi apparisse ambigua, andatevela a rileggere a libro
finito: sarà tutto chiaro. Aspettando che Gnisci sparigli
le carte in decolonizzazione 3
Dobbiamo liberarci dun modo di vedere il mondo «solo
euro-occidentale». Armando Gnisci ci consiglia di usare
un po dordine, suvvia: il vostro recensore
li elencherà seguendo lalfabeto Achebe,
Adonis, Antunes, Anzaldua, Basso (Pietro), bell hooks (minuscole
dobbligo, chi lha letta sa perché), Bernhard,
Carmichael, Cesaire, Diop (Cheik Anta), Frisullo, Galeano,
Ghosh, Gilroy, Glissant, Kanafani, Kincaid, Loomba, Maalouf,
Makaping, Naipaul, Portelli, Roy (Arundhati), Said (Edward),
Soyinka, Spinelli (Alex Santino), Thiong, Walcott, Zerbo
per dirne alcune/i. Sullo sfondo, è quasi scontato,
vanno recuperati Bernal (sempre sia benedetto
chiarisce Gnisci), Conrad, Davidson, De Martino, Fanon e Sartre,
un Kafka considerato minore, Marcuse, Marx (toh chi si rivede)
e un po del pessimo Hegel, il sempre più moderno
Giordano Bruno, senza trascurare certi film di Resnais, Scorsese,
Kiarostami e Gerima, poi ancora Tagore, due atipici yankee
come Twain e Vidal
più gli afro-americani Baraka
e Malcom: anche qui lelenco è incompleto. Contrariamente
a quello che la copertina indurrebbe a pensare, la musica
non ha un posto di rilievo nella biblioteca ma
ha un ruolo decisivo (ed è sempre proposta in modo
originale e piacevole) nel dialogo con il lettore, visto che
Armando Gnisci ama raccontare cosa sta ascoltando e perché:
in parziale ordine di comparsa Santana, Monk, Billie Holiday,
Maria Bethania, Veloso, Manu Chao, Gould (Glenn), Ellington
.
«La musica è la Porta» chiarisce Gnisci
che è di solito così parco di maiuscole.
Fra le tante parti di piacevole lettura forse quella che resta
più in mente è la destrutturazione parlando
un po più volgarmente si potrebbe definire presa
per il culo- delle tesi di Ram Radar Mall e più
in generale della cattiva filosofia interculturale.
Scrive con efficacia Armando Gnisci: «Come si fa a insegnare
questa sbobba nellepoca più avanzata della mondializzazione
del dominio del capitale?». Con ogni evidenza lusare
gli intellettuali o presunti tali per confondere
le acque è anche unantica e sapiente strategia
dei detentori di poteri traballanti.
Tanto per non smentire la pignoleria dei recensori segnalo
un (piccolo) errore: Mani Tese non è un gruppo cattolico
anche se lo era allorigine. Consiglio a un certo
punto del libro Gnisci mi cita come amico e anche
per questo mi consento di usare la prima persona
un bagaglio in più per proseguire il lungo viaggio:
lautore accenna, quasi di sfuggita, alla fantascienza
ed è unintuizione sicuramente da approfondire.
Soprattutto ma non solo nei testi di Philip
Dick, di Ursula Le Guin, di un da noi quasi ignoto Theodore
Sturgeon, si trovano molti buoni motivi per sovvertire questo
universo e ottimi consigli su come incontrarne altri. E il
brevissimo, esemplare racconto Sentinella di Fredric Brown
sarebbe di grandissimo aiuto proprio per ragionare su «una
civiltà europea che non ha elaborato nella sua storia
una forma culturale dellincontro felice» con quel
che segue (sopraffazione e sofferenza).
«Forse le domande sono troppe. Forse lo stesso domandare
è troppo incalzante» si arrovella (verso la fine)
Gnisci. Ma bisogna andare avanti, non cè altro
modo. In attesa magari di apprendere «larte mai
imparata di ascoltare senza prendere appunti, come si ascolta
intorno al fuoco».
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Caro
Armando,
ho letto il tuo libro ricavandone un'impressione che, con
un tuo aggettivo, potrei definire "torrida": hai
un modo di porre le questioni che apre all'improvviso scenari
mai visti e ci insegna a ragionare in modo diverso, a considerare
i problemi sotto nuovi punti di vista. Complimenti e grazie.
un saluto peppino
Giuseppe Marci,
Università di Cagliari
Pierangela
Di Lucchio
dixit:
Quale che sia la metafora esplicativa e lordine simbolico
su cui poggia lesperienza del viaggio, questo implica
un giro più o meno lungo attraverso luoghi al di fuori
del proprio ambito abituale, sia nel proprio paese che in
terre lontane, con soste e permanenze di varia durata. Nei
viaggi per mare, in particolare, accade spesso di intravedere
arcipelaghi ed isole dai contorni sfrangiati, dalle connessioni
né evidenti né facili. In un certo senso, il
mare aperto diventa scuola del limite: del senso e della ricerca
del limite e, nello stesso tempo, dellimpossibilità
di dire il limite. Navigare in mare è un gesto antico
che riporta allorigine e allamore per la conoscenza
del viaggiatore-esploratore che nel viaggio vale
a dire: nellAvventura trova il proprio
destino.
È questo che viene al pensiero leggendo la Biblioteca
interculturale di Armando Gnisci, ricerca simile a un vento
di idee nuovo nel dibattito interculturale italiano ed europeo.
Arricchito dallappassionato capitolo Abbasso leurocentrismo,
questo libro colpisce non solo per il coraggio e lintelligenza
delle tesi espresse (implicite ed esplicite), ma anche per
lopportunità della scelta editoriale in un tempo
di derive e abbandoni del pensiero. La qualità di questo
testo non è soltanto da individuarsi nella originale
messa a tema del discorso interculturale, ma soprattutto nella
pluralità di una ricerca che non smette di interrogarsi:
una ricerca che non guarda agli approdi ma al cammino
Caminante, no hay camino, se hace camino al andar
come scrive Machado dallautore tanto amato.
Questo libro racconta di innumerevoli incontri, di studi appassionati,
di esplorazioni e sconfinamenti ben oltre le rassicuranti
discipline tradizionali. Attraverso un gesto antico e familiare,
in ogni sua pagina, Gnisci propizia un movimento del ricevere
e del donare, dove gli sguardi si incrociano, le voci risuonano,
ogni cosa si fa movimento.
Colpisce questo suo inserire elementi autobiografici che coinvolgono
ad ogni passo il lettore. Potrebbe sembrare un espediente
tecnico di chi è attento alle astuzie psicologiche
della comunicazione. Ma così non è. Nel discutere
di letteratura raccontando coraggiosamente se stesso in prima
persona, egli segue fino in fondo il compito e, forse, il
destino degli innovatori. Che è quello di chi viaggia
senza stelle che orientino il cammino, raccontando e testimoniando
storie: storie di viaggi che si conoscono e si decidono solo
in parte, come sa chi trova senso al cercare solo cercando
ancora.
Frammenti personali, dunque, che rendono più esplicita
la narrazione di sé, trasformando lintero libro
in unautobiografia complessa dove lautore
racconta da dove viene e dove va,
come Tahar Bekri che scrive doù viens-tu
lumière?
È così che la luce della conoscenza si irradia
pervenendo al lettore. Questultimo, a sua volta sollecitato,
talvolta provocato (come me nel leggere quanto scritto su
Keith Jarrett), ma sempre coinvolto in un dialogo, spesso
immaginato e trascritto come fosse reale, sa che tutto avviene
per lui.
Ed è qui che si apre uno spazio che si colloca fuori
da ogni giurisdizione disciplinare. È un invito al
viaggio, da intraprendere solo a condizione di congedarsi,
senza esitazioni, da tutto ciò che presumiamo di conoscere.
Allora nessuna domanda viene annullata, ma ogni cosa trasformata
nelle soste di un cammino che attraversa idee, fatti, esperienze
sorprendenti.
Questo libro è, inoltre, un invito alla lettura. Il
lettore avverte subito lesigenza di redigere un elenco
di testi per allestire al più presto una
propria Biblioteca interculturale. Non solo. La filmografia
riportata, per alcuni titoli preziosa e rara, si muove in
quello spazio cinematografico dove il film si riconcilia con
le arti e sconfina nella poesia.
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