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Javier Pastor
FRAGMENTA


prefazione di Mario Lunetta

trad. it. di Miriam Caracchini

pp. 218 € 12,00

 

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Fragmenta, opera prima del madrileno Javier Pastor, è un testo che si appropria delle lezioni delle avanguardie cosiddette "storiche" e delle neoavanguardie degli anni Sessanta, spagnole ed europee; la triangolazione di Espressionismo, di Dada e di Surrealismo si frantuma e si mescola liberamente con una sorta di profondo cerimoniale stilistico barocco, un sistema di canalizzazioni intasato in cui la scrittura, impossibilitata a fluire regolarmente, è costretta a evitare il continuo rischio di emboli violentando se stessa.
Luna e Gotardo, Pototo e Susanita, Aparicio e il Commissario sono personaggi che si affacciano da un décollage, ognuno malamente interagendo con ciascuno degli altri, raggelati da una estrema violenza allegorica.
Nessuno dei lettori di questo libro può chiamarsi fuori. Questa scrittura torrenziale e sarcastica che macina una quantità di sottogeneri e sottotitoli, non dà tregua. È una scrittura estrema, e lo è per eccesso. Non fa promesse; fa piuttosto deposizioni gridate, denunce, lancia maledizioni e non concede perdono neppure a se stessa. Come sostiene Juan Goytisolo "Tutti siamo responsabili della nostra irresponsabilità, e il protagonista di Fragmenta lo è della sua".

 

Fragmenta, come il titolo dichiara, è una sorta di poema narrativo in cinque canti (o zone psicologiche, o tratti di destino), al proprio interno frantumato e sconvolto, proprio com’è frantumata, sconvolta e irricomponibile l’esistenza del protagonista Oskar, l’eroe a rovescio, “straniero” (in senso camusiano) e “uomo senza qualità” (in senso musiliano), che già dal primo “frammento” (Limbo), scritto in seconda persona è “alunno tonto della vita” e offre una sfocata immagine di sé, che si profila e assume consistenza attraverso il ricordo del suono della voce del padre unita al fischio maschio del fleischklopfer: (…) il corto nerbo in smalto gammato e nero corvino (…), che il padre-padrone stringeva nella sua mano sinistra per battere e addomesticare la sua giovane carne. Quella stessa carne che al morire di un’estate, scopre il corpo della donna e la liberazione susseguente alla morte del padre, “la grande bestia” .
Il secondo frammento ha un’inclinazione spiralica: Oskar è accusato di aver assassinato l’alcolizzata Susanita, figlia del commissario, durante una festa di carnevale, e viene sottomesso dalla polizia a un duro interrogatorio e a una spasmodica tortura fisica e mentale. In questo tratto della narrazione la svolta in direzione onirica e allucinata si compie in modo deciso e quasi irrefrenabile. Quattro anni di reclusione in clinica psichiatrica, quindi il grottesco impiego presso una casa editrice di libri umoristici: è il variegato disastro che squaderna con toni di violenta effervescenza comica e dada-surreale il terzo frammento. Il quarto canta desolatamente la controepopea di uno sconfitto. Nel quinto e ultimo, Oskar, ormai vecchio, resta in compagnia della propria solitudine irrimediabile, e si affida al flusso della scrittura per tornare a impadronirsi – almeno nella memoria oggettivata – del sogno impossibile della sua vita: la splendida puttana Luna, che scompare dalla sua esistenza proprio come il satellite di cui porta il nome, fino al momento in cui si compie l’assassinio, perché ormai lui e il mondo si bastano.

“Oskar, che ha avuto un'infanzia molto infelice funestata dalle angherie di un padre-padrone, viene accusato dell'omicidio di Susanita, figlia di un commissario di polizia, durante una festa di carnevale finita in orgia. E' l'inizio di un delirio onirico e allucinato che porta verso una clinica psichiatrica... ”

E mi vernicerai con uno di quegli sguardi così tuoi, così dall'alto in basso,quegli sguardi che alzano il morale e la temperatura.

Di fronte alle sperimentazioni teatrali anche estreme in gran voga negli anni ’70, il cosiddetto ‘teatro di ricerca’, il mai troppo rimpianto Vittorio Gassman usava dire: “Sospendete le ricerche”. La boutade del grande attore era indirizzata alla gran copia di operazioni pianificate a tavolino, troppo cerebrali, svuotate di qualsiasi energia creativa e dell’immediatezza tipica del linguaggio teatrale, anche del più impervio. Non è il caso di Fragmenta, sorta di romanzo-poema in cinque canti del
poliedrico artista madrileno Javier Pastor, indicato in patria come una delle voci più innovative ed interessanti della pittura e della narrativa spagnola. Il libro percorre come in sogno l’intera esistenza di un uomo, Oskar, divisa in cinque tappe fondamentali (infanzia e pubertà, tortura e prigionia, malattia e lavoro, solitudine e sconfitta, vecchiaia e morte), episodi apparentemente indipendenti dal punto di vista narrativo, ma linkati nel profondo, come tasselli di un puzzle che piano a piano si
forma davanti ai nostri occhi. Un puzzle che si fa beffe del realismo della letteratura normale e descrive la realtà mettendone a fuoco le distorsioni, gli strappi, le mutazioni. Un narrare forse trasgressivo (nei confronti della tradizione, della forma, della comprensione, financo della grammatica) ma senz’altro violento, vulcanico, travolgente nella sua barocca ricchezza di colori, parole, incisi. In barba al principio di causa-effetto Pastor ci mette alla prova con un incedere narrativo a tratti ostico, criptico, pervaso da uno humour grottesco e crudele. Non sempre digeribile, non sempre riuscito, Fragmenta rimane comunque un libro sincero, potente,
adrenalinico, emozionante in positivo ed in negativo, che stana il lettore e lo trascina per la strada, sotto il sole, nella polvere.
David Frati (27-11-2004)

in www.lettera.com

 

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