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CESARE BERMANI
“FILOPANTI”. Anarchico, ferroviere, comunista, partigiano


Prefazione di Sandro Portelli

ISBN 88-96487-05-6

pp. 122 € 14,00

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E narrazione sia!

Emilio Colombo, “Filopanti”, è stato un protagonista del Novecento dai percorsi inusuali: da anarco-sindacalista era diventato comunista; si era poi permesso lui, un ferroviere, di essere l’anima della Repubblica dell’Ossola; aveva citato Stalin dopo il XX Congresso, perché nessuno aveva più il coraggio di farlo; si era tesserato a Italia-Cina nel momento delle divergenze del Partito comunista cinese con Togliatti; e aveva creduto fermamente e sorelianamente per tutta la vita che la violenza fosse la levatrice della storia. Troppo scomodo per perpetuarne il ricordo.
Come raccontarlo, allora? A differenza della narrativa di maniera, il lavoro dello storico non può far ricorso a costruzioni non giustificate, né l’autore può intervenire per manipolare a suo piacimento l’oggetto. Non può farlo neanche per compiacere il lettore che in questi tempi tende a preferire un prodotto editoriale sempre più accomodato e levigato.
In questa ricostruzione Bermani con radicalità, come un DJ, mixa il materiale su cui lavora lo storico, le fonti, con un’opera accurata di selezione, connettendole tra di loro nelle rispettive specificità. Ciò permette di cogliere senza interferenze o ingombranti sovrapposizioni sia il contesto sia la personalità complessa di Filopanti.
Un esercizio di stile che mostra la ricchezza delle fonti che lo storico orale maneggia, e che la narrazione è tanto più affascinante, quanto più ricche sono le fonti. Dall’autore di Introduzione alla storia orale, un libro di esercizi, un manuale di buona pratica.

Cesare Bermani (Novara, 1937), storico e studioso delle tradizioni popolari, è stato tra i promotori ed è tuttora collaboratore dell’Istituto Ernesto de Martino. Redattore e in alcuni periodi anche direttore delle riviste "il nuovo Canzoniere italiano" e “Primo Maggio”, curatore dei più importanti scritti di Gianni Bosio, è stato tra i primi a utilizzare criticamente le fonti orali nel lavoro storico. Tra le sue molte pubblicazioni: Pagine di guerriglia, (4 volumi in cinque tomi), 1971-’99; Una storia cantata, 1997; Gramsci gli intellettuali e la cultura proletaria, 2007; Volare al sabba. Una ricerca sulla stregoneria popolare, 2008; La Volante Rossa. Storia e mito di “un gruppo di bravi ragazzi”, 2009; La battaglia di Novara (9-24 luglio 1922), 2010. Per Odradek: Spegni la luce che passa Pippo. Voci, leggende e miti della storia contemporanea, 1996; Il nemico interno. Guerra civile e lotta di classe in Italia (1943-1976), 1997; Introduzione alla storia orale (due volumi), 1999-2001; "Guerra guerra ai palazzi e alle chiese...". Saggi sul canto sociale, 2003; Storie ritrovate, 2006.

Perché Emilio Colombo assunse come nome di battaglia quello di Quirico Filopanti, a sua volta pseudonimo di Giuseppe Barilli? Notizie tratte da Chi era costui?

Giuseppe Barilli (Quirico Filopanti)
Budrio, 1812 - Bologna 1894


Di famiglia povera, riuscì a laurearsi in Matematica; per amore della classicità nel 1837 cambio il nome e divenne Quirico Filopanti (quest'ultimo significa amore universale). Fece studi di astronomia e idraulica. Repubblicano, accorse alla difesa di Roma nel 1849; costretto all'esilio, fu più anni a New York e poi a Londra. Dopo l'Unità insegnò Meccanica nell'ateneo bolognese, ma fu rimosso dalla cattedra perché non volle prestare giuramento di fedeltà al re; solo le proteste degli studenti gli fecero in qualche modo recuperare il posto. Con Garibaldi partecipò alla II Guerra d'Indipendenza e nel 1867 alla spedizione di Mentana. Dal 1876 fu eletto deputato nelle file del Partito Repubblicano. Morì povero in ospedale.

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Caro Bermani
ho ricevuto il tuo "Filopanti" e, dopo averlo letto, ho ritenuto necessario dirti quanto mi è piaciuto. E' il risultato di un'opera metodologicamente meditata e non priva di politica creatività. Resterà come un modello per tanti - sempre che tanti, così moralmente puliti e così disponibili alla ricerca storica, possano ancora esserci nel domani che ci aspetta.
Un caro saluto, F.A.
17 aprile 2010

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Felice Accame

Il patchwork della storia, sta su rivista anarchica
anno 40 n. 354 giugno 2010

[...] 8. Con “Filopanti” anarchico, ferroviere, comunista, partigiano (Odradek, Roma 2010), Cesare Bermani ci offre una doppia storia esemplare: la storia esplicita di una vita e la storia implicita del modo di raccontarla. Utilizza soltanto materiali dichiarati e collocati con accuratezza filologica in un posto e in un momento: narrazioni orali registrate – del protagonista e di altre nove persone –, i casellari delle prefetture con le loro cartelle di polizia, rapporti delle formazioni partigiane, carteggi, memorie personali, verbali, giornali dell’epoca e brevi brani di libri altrui – per gli opportuni riscontri. E, armato di forbici e di logica argomentativa, costruisce il suo patchwork biografico: taglia un po’ qui e un po’ là, giustappone in sequenza, anticipa le domande del lettore e provvede, conferisce coerenza alla vita narrata servendosi solo di documenti – in pratica, senza aggiungerci una parola propria. Con questo espediente non solo riesce a infondere vitalità al racconto, ma – è questo l’aspetto politicamente ed eticamente più rilevante – a preservarne il linguaggio proprio. Come se, per una volta, la storia non ci fosse restituita nei termini di chi la scrive ma negli stessi termini in cui si è costituita – con le parole del suo tempo e non con quelle dei tempi successivi che, di principio, ne rappresentano una finzione.

L'intero, gustosissimo e teoricamente agguerrito articolo di Felice Accame si può trovare qui.


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Valerio Evangelisti su Carmilla

Uno dei più importanti storici del nostro paese, Cesare Bermani, non ha mai ricevuto riconoscimenti accademici di rilievo (almeno credo), e forse è meglio così. Tra i fondatori dell’Istituto Ernesto De Martino, tra gli animatori di quella straordinaria fucina di talenti che fu la rivista Primo Maggio, a cavallo degli anni Settanta e Ottanta, Bermani è stato il più illustre e coerente portavoce della “storia orale” (nata su suggestioni di Gianni Bosio, senza adeguarsi alla versione “istituzionale” della stessa disciplina), di cui ha anche descritto metodologia e presupposti scientifici (Introduzione alla storia orale, 2 voll., Odadrek, 1999-2001).
Grazie a Bermani, e quasi solo a lui, oggi conosciamo in dettaglio pagine oscure o trascurate della storia del movimento operaio italiano: dalla Volante Rossa (La volante rossa, Colibrì, 2009) alla “battaglia di Novara” del 1922 (La battaglia di Novara, Derive Approdi, 2010). Altrettante bibbie per ogni antifascista.
Questo Filopanti. Anarchico, ferroviere, comunista, partigiano, è tra i migliori risultati della ricerca di Bermani. La biografia di un personaggio caduto nell’oblio ci è restituita senza una riga di commento, bensì attraverso brani di intervista, documenti, frammenti di testimonianze – passati attraverso vagli ripetuti, fino a solidificare una verità quasi indiscutibile. L’esito è impressionante. Un’identità dimenticata risorge in ogni sua dimensione, da quella politica a quella umana, e diventa specchio di un’epoca in cui si riflettono tante esperienze similari. Senza che l’autore dell’assemblaggio intervenga a suggerircene il profilo.
Chi era “Oreste Filopanti” (vero nome Emilio Colombo)? Un ferroviere nato a Milano nel 1886, morto nel 1966. Uomo comune? No, per niente. Entrato nelle ferrovie diventa un agitatore dell’Unione Sindacale Italiana, di ispirazione anarcosindacalista. Per la sua attività, legata all’ala sinistra del sindacato (che ne ha anche una di destra, affascinata dal nazionalismo), subisce rappresaglie e continui trasferimenti. Tiene duro, riesce finché possibile a mantenere coesa la sua famiglia, e in qualche modo a nutrirla. Arriva il fascismo, e per lui è il licenziamento, il carcere (ha picchiato un crumiro), una serie di angherie. Impossibile ormai trovare un lavoro stabile: deve arrangiarsi come può, spostarsi qui e là.
Lo ritroviamo partigiano, partecipe di battaglie campali contro i nazifascisti. Ora è comunista: è transitato dall’anarchismo al PCI senza passare per i socialisti, che lo hanno sempre esasperato per la loro remissività di fondo, anche quando ammantata da retorica rivoluzionaria. Partecipa alla breve esperienza della Repubblica dell’Ossola, con funzioni di capo della polizia (in una compagine politica che vedeva i comunisti minoritari) e di addetto all’epurazione. Diverrà noto per abbaiare molto ma poi cedere facilmente alle suppliche.
Nel dopoguerra Filopanti svolge modeste attività di partito, si batte per i braccianti del novarese colpiti dalla repressione, si prodiga per chiunque gli chieda aiuto. Mantiene il suo caratteristico temperamento focoso e la bonarietà di fondo. Muore povero a Torino nel 1966.
Di Filopanti / Emilio Colombo oggi sapremmo poco o nulla, se Bermani non avesse registrato i ricordi della sua vita, per poi confrontarli con la restante documentazione accessibile. Cesare Bermani è l’alternativa – forse la sola efficace – al dilagare dei Pansa e degli altri revisionisti più o meno cialtroni. Cosa fu effettivamente il fascismo? Un blando regime paternalista, colpevole solo della guerra e delle leggi razziali, oppure uno spietato meccanismo teso a sradicare la malapianta degli umili in cerca di riscatto?
I tomi indigeribili di De Felice inducono alla prima conclusione. La storia elementare di un ferroviere coraggioso sposta l’ago della bilancia verso la seconda. Con un accento straordinario di verità, anche perché affidato senza filtri – a parte quello ovvio della scelta dei valori di fondo – alle parole di chi visse l’esperienza sulla propria pelle.
Una bibbia per antifascisti, ripeto. E nessuno provi a dirmi che “fascismo” e “antifascismo” sono termini superati. La vita del ferroviere Filopanti dimostra dove stia il discrimine.

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Marco Rovelli, su l'Unità del 15 agosto

Scomodo, molto scomodo Filopanti. Un personaggio “minore” del movimento operaio la cui biografia è stata ricostruita da Cesare Bermani nel libro Filopanti. Anarchico, ferroviere, comunista, partigiano (Odradek, 14 euro). Con la maestria storica che lo contraddistingue Cesare Bermani è riuscito a restituirci la vita di un quasi sconosciuto militante semplicemente facendo parlare le fonti. Con un lavoro di montaggio tra fonti diverse, senza mai farci sentire la sua voce fuori campo, Bermani ha fatto rivivere la “vita esemplare” di Filopanti. Fonti orali e fonti scritte si intrecciano senza soluzione di continuità, a tracciare un itinerario esistenziale e politico singolare e, insieme, paradigmatico. Bermani del resto è uno dei punti di riferimento della “storia orale” italiana, iniziata consapevolmente da Gianni Bosio e dal gruppo che si raccoglieva intorno all'Istituto De Martino (sul percorso della storia orale italiana, nonché dei suoi fondamenti, Bermani ha scritto e curato un importante testo, usato anche come manuale universitario, Introduzione alla storia orale, Odradek, 18 euro). In Filopanti l'autore ci dà un esempio pratico di che cosa può produrre il ricorso alla storia orale. Nei brani di vita che si susseguono si sente l'attrito dell'esistenza di Filopanti: del resto nell'introduzione Bermani ricorda che spesso si è sentito dire “La mia vita è un romanzo”, e questa espressione non è mai stata vera come in questo caso. Filopanti fu un antifascista tout court, esemplare nella sua etica antifascista. Un ragazzo inquieto e ribelle (una “testa matta”, per la sua borghese sorella), che a sedici anni si fa licenziare per il sostegno dato agli scioperi – è il 1903 – e parte per l'Egitto. Poi il ritorno in Italia, l'impiego nelle ferrovie e la militanza nell'USI, l'Unione Sindacale Italiana, le agitazioni e i sabotaggi durante il biennio rosso, l'iscrizione al PCd'I, e dopo l'avvento del fascismo il licenziamento, come vendetta per aver picchiato a suo tempo un crumiro fascista. Di lì una serie di traversie: l'arresto (con gli inquisitori che si convincono che il libretto dove annotava le spese fosse in realtà una serie di crittogrammi clandestini); il passaggio da un impiego all'altro, con periodi di misera disoccupazione, tra l'Ossola e Milano, con spesso la solidarietà materiale dei compagni a sostenerlo; il duro lavoro per mantenere i tre figli che accudiva dopo che la donna che ne era stata madre se n'era andata con un altro uomo. Bello vedere anche questi aspetti più umani del militante, il suo privato che poi privato non è, visto che vi si intrecciano motivi storici e sociali. Del resto Filopanti era conosciuto per abbinare una grande severità politica (non smise mai di credere nella violenza come levatrice della storia: scomodo, si diceva) con una bonomia personale e una capacità empatica basata di fatto sulla fiducia nell'essere umano, che si mostrò anche nella sua breve esperienza come ministro di polizia nella Repubblica partigiana dell'Ossola (dove era arrivato dopo una militanza metropolitana nei Gap). La parte sulla Repubblica dell'Ossola è quella più ampia del libro, e si leggono con piacere, proprio in quanto sgranati in un filo rosso ininterrotto fatto di linguaggi differenti che sfregano tra di loro, anche i verbali delle sedute della Giunta di Governo, che prendono letteralmente vita. Filopanti è un personaggio “minore”, s'è detto all'inizio, “minore” in senso nobile però: e viene da riappropriarsi di un'espressione che Deleuze aveva usato in altro contesto. “Di grande, di rivoluzionario non c'è che il minore”.

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