Come
la prima guerra mondiale, la guerra fredda non ha
avuto vincitori ma soltanto sconfitti. La falsa pace del 1919
fu seguita da vent’anni di crisi, fino ad un nuovo e
più terribile incendio del mondo: la seconda guerra
mondiale, vent’anni dopo. E la guerra continua ad essere
l’aspetto determinante della storia mondiale anche in
questo primo decennio del Duemila.
La fine della guerra fredda, infatti, non ha superato il dissidio
tra i membri fondatori del sistema delle Nazioni Unite –
Usa e URSS principalmente – che rese largamente inoperanti
le sue potenzialòità di progresso e di pace.
Ha soltanto bloccato il sistema stesso mentre, finché
è durata, lo ha confermato almeno come quadro di riferimento,
sebbene nella forma impoverita dell’equilibrio di potenza.
La guerra fredda, infatti, ha reso sempre meno efficaci i
principi e le possibilità di mediazione dell'ONU. Nello
sforzo di prevalere, le parti in lotta hanno contraddetto
largamente le proprie ragioni e soprattutto hanno evocato
mostri inauditi. L’evento dell’11 settembre del
2001 può essere compreso soltanto come l’annunciato
epilogo di questo processo.
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Una
recensione di Carlo Vallauri
Sui
temi della guerra fredda, della coesistenza e del cosiddetto
equilibrio del terrore sono stati scritti innumeri saggi e
libri sul piano politico, militare ed economico. L’originalità
di questa fresca opera di Raffaele D’Agata Disfatta
mondiale (Odradek, Roma, 2007) è nell’aver impostato
la ricerca sulle cause che portarono alla divisione tra Ovest
ed Est al termine della guerra mondiale e quindi sulle complesse
vicende che separarono le due principali potenze sino alla
ricerca della distensione. Ma saranno le successive evoluzioni
nei campi della tecnologia – nucleare e non –
e di rapporti finanziari internazionali a segnare in maniera
definitiva i termini di quel conflitto. Perché l’autore
usa il termine “disfatta”? Egli si riferisce alla
constatazione che già nell’immediato dopoguerra
cadde la speranza di una cooperazione tra i vincitori di quel
tragico conflitto che permettesse la piena affermazione dei
principi di pace, libertà ed eguaglianza. Tutto il
proseguimento dei tentativi di cercare strumenti di collaborazione
sarà vanificato dalla durezza di uno scontro a larghe
dimensioni che conduceva ad un inasprimento delle condizioni
reali dei rapporti tra gli Stati, sottoposti al progredente
dominio dei grandi interessi finanziari attorno ai quali si
verrà poi a delineare, a partire dagli anni ’70,
una serie di nuove articolazioni del capitalismo mondiale.
Caduto il confronto tra le massime potenze, si assisterà
al perseguimento di una politica economica risoltasi, nella
sua dinamica, in un incremento pauroso delle disuguaglianze,
favorito dal pieno successo della finanziarizzazione dell’economia.
Come si vede chiaramente, D’Agata affronta una serie
di problemi, ciascuno dei quali richiederebbe un volume a
sé. Vogliamo qui sottolineare, oltre al merito di aver
esposto con grande linearità i termini della contrapposizione
di fondo, la capacità – attraverso anche il richiamo
a importanti opere di ampie dimensioni su quello stesso periodo
– di individuare nei vari momenti gli aspetti più
significativi nel comportamento delle varie forze in gioco,
dai gruppi militari alle manifestazioni vivaci dell’insofferenza
alle violenze. Così la differenza nelle potenzialità
nucleari – di volta in volta recuperate dall’Urss
– e dei sistemi politici vengono in luce nel susseguirsi
delle varie crisi, dalla Corea a Berlino, da Suez a Cuba.
Particolarmente sottolineati sono alcuni momenti decisivi,
come gli eventi in Afganistan, le crisi nei paesi dell’Europa
orientale, i contrastanti atteggiamenti di Washington e Mosca
rispetto all’Iran: viene così dai fatti la presa
d’atto – a nostro avviso – della superiorità
di una attrezzatura tecnologica occidentale e della corrispondente
inferiorità nei tempi lunghi, del sistema economico
comunista. Attraverso questa lettura i reali condizionamenti
e i concreti effetti della grande guerra non combattuta direttamente
dai due Stati più potenti del mondo dimostrano –
da un lato – l’ampiezza dei problemi affrontati
dalle due differenti economie e dal diffondersi del contrasto
nei paesi del terzo mondo, dall’altro l’emergere
progressivo di nuovi soggetti che – come oggi mostrano
le cronache – diventano attori non eliminabili di un
grande gioco di distruzione: i poteri sovrani degli Stati
hanno indubbiamente condotto all’esasperazione della
conflittualità con tutte le conseguenze perniciose
che vediamo attualmente.
Carlo Vallauri |