Milly
Berrone,
su <www.ezamisdat.it>:
È apparso in estate per i tipi di Odradek un nuovo
volume della collana Ideologia e conoscenza: pur recando
in copertina il nome di Aleksandr Bogdanov, bolscevico, filosofo,
romanziere, economista, scienziato nonché laureato
in medicina, il volume contiene in realtà, come indica
chiaramente il sottotitolo, anche scritti di altri autori
– Ernst von Glaserfeld, Massimo Stanzione e Silvano Tagliagambe
– e, nonostante la relativa brevità, si rivela
di una ricchezza eccezionale.
La presentazione di Felice Accame – docente di Didattica
della comunicazione, collaboratore della rivista A
e di Radio popolare – illustra immediatamente
al lettore il contenuto del libro: si tratta della prima traduzione
in italiano dei quattro dialoghi di Aleksandr Bogdanov Nauka
i filosofija [Scienza e filosofia], firmati con lo pseudonimo
di N. Verner, contenuti nella raccolta Oc<erki filosofii
kollektivizma [Saggi di filosofia del collettivismo],
apparsa in Russia nel 1909. Di fatto l’edizione italiana
si presenta tuttavia come una traduzione dal tedesco di un
volumetto pubblicato in Svizzera nel 1996 a cura di Ernst
von Glaserfeld – epistemologo, professore di psicologia
cognitiva presso l’Università della Georgia e
soprattutto fondatore del costruttivismo radicale – accompagnata
dalla traduzione del testo di due conferenze tenute dallo
stesso Glaserfeld nel 1989 e nel 1995 (“I limiti del
comprendere” e “Prima si deve essere in due. Pensieri
razionali sull’amore”) ed arricchita da due interventi
dedicati alla figura e al pensiero di Aleksandr Bogdanov,
affidati rispettivamente alla penna di Massimo Stanzione –
professore di Filosofia della scienza presso l’Università
di Cassino – e Silvano Tagliagambe, professore di Epistemologia
presso la facoltà di architettura dell’Università
di Sassari.
Se Glaserfeld utilizza tuttavia in modo estremamente personale
il pensiero di Bogdanov, individuandovi una sorta di convalida
del suo costruttivismo radicale (“per chi, come me, si
è dedicato a lungo alla costruzione di un modello concettuale
atto a fornire a un problema intricato una spiegazione più
o meno plausibile, venire a conoscenza dell’opera di
un autore che in precedenza ha condotto con strumenti simili
tentativi che andavano nella stessa direzione è un
fatto molto incoraggiante. Venticinque anni fa ho fatto una
tale esperienza con Piaget. La sua opera mi permise di ottenere
in un certo senso una struttura coerente che tenesse insieme
il mio pensiero confuso. Molto più tardi, quando il
mio modello del sapere era già piuttosto elaborato,
mi è capitato fra le mani un testo del primo decennio
del Novecento in cui Aleksandr Bogdanov esprime con chiarezza
ed eleganza eccezionali alcune riflessioni che sono di fondamentale
importanza nel costruttivismo”) e scorgendovi, seppure
in circostanze politico-sociali molto diverse dal nostro presente,
un’attualità (“Bogdanov era molto avanti
rispetto ai suoi contemporanei, politici e filosofi. Il suo
tentativo di costruire una visione del mondo che si distingua
sia dal positivismo sia dal dogma marxista ha oggi più
possibilità di essere compreso che ai tempi della Rivoluzione
russa. L’idea che il sapere non è conoscenza del
mondo, ma strumento, oggi non viene più tacciata di
eresia. Bogdanov percepiva, come soltanto pochi altri pensatori,
la necessità di abbandonare l’obiettivo illusorio
della verità assoluta, eterna, per perseguire invece
quello della prassi conveniente. Perciò sottolineò,
anche in relazione alla filosofia dell’esperienza, l’importanza
della sua applicabilità perché l’unica
verifica di un pensiero è la sua applicabilità”),
per altro riconosciuta da molti altri pensatori che ne hanno
fatto, in Russia e all’estero, un precursore della cibernetica
e della attuale filosofia della scienza, più storicamente
circostanziati sembrano i due interventi che compongono la
seconda parte del volume.
Da un lato infatti Massimo Stanzione ricostruisce il contesto
– la filosofia della prassi le cui radici risalgono a
Hegel e Marx – entro il quale si muove la concezione
del rapporto tra scienza e filosofia di Bogdanov, delineando
con chiarezza e linearità i legami di tale pensiero
non solo con quello austro-tedesco ed europeo in generale
– i linguisti Lazar Geiger e Max Müller, l’economista
Karl Bücher, l’intellettuale Ludwig Noiré,
i pensatori Ernst H. Haeckel, Ernst Mach, Richard Avenarius
e Georg Simmel – ma anche con quello di alcuni scienziati
russi di formazione positivista come il darwinista Kliment
Timiryzaev, il biologo Aleksandr Babuchin e il cristallografo
Evgraf Fedorov, soffermandosi solo brevemente sui rapporti
con il pensiero degli altri leader bolscevichi, mentre Silvano
Tagliagambe concentra maggiormente le propria attenzione proprio
su questi ultimi, dedicando ampio spazio alla disputa tra
Bogdanov e Lenin sul concetto di verità, alla critica
di Lenin a Plechanov a essa strettamente connessa, alla polemica
di Lenin in relazione all’ Empiriomonizm [Empiriomonismo,
1906] di Bogdanov, al conseguente sviluppo da parte di quest’ultimo
della sua Tektologija [Scienza generale dell’organizzazione.
Tectologia, 1913-1929], all’influenza dell’opera
di Nikolaj Fedorov sul pensiero di Bogdanov e infine ai due
romanzi di fantascienza in cui Bogdanov espresse in forma
letteraria la propria utopia politica ( Krasnaja zvezda
[La stella rossa, 1908] e Inz<ener Menni [L’ingegner
Menni, 1912]).
Al curatore e agli autori dunque il merito non solo di riproporre
al pubblico italiano l’estrema ricchezza del pensiero
di Aleksandr Bogdanov, intorno al quale le ricerche italiane
si arrestano intorno ai primissimi anni Novanta, pur proseguendo
in Russia e nei paesi di lingua inglese, ma anche di offrire,
accanto ad un’ottima bibliografia, la possibilità
di riflettere su temi di fondamentale importanza non solo
per i filosofi della scienza, ma anche per chi tenta di comprendere
le complesse dinamiche che regolano l’universo della
lettere sovietiche, spesso dimenticando o sottovalutando,
come nel caso del formalismo, dell’ultimo Mandel’s<tam
o dei romanzi di Andrej Platonov – lasciando da parte
per ovvi motivi la letteratura utopistica e fantascientifica
– l’enorme peso che in esso aveva l’influenza
del pensiero scientifico.
Un unico appunto a un’operazione editoriale per molti
versi pregevole: la traduzione. Benché motivata con
ogni probabilità dall’intenzione di sottolineare
la difficoltà di reperimento, fino a non molti anni
fa, delle opere di Aleksandr Bogdanov e in particolare dei
quattro dialoghi in questione, donati da Vadim Sadovskij,
studioso moscovita di cibernetica, a Glaserfeld, e dalla esplicita
volontà del curatore italiano di non perdere nulla
dell’originario volumetto, apparso in lingua tedesca,
di quest’ultimo, la scelta di tradurre dal tedesco in
italiano un testo originariamente pubblicato in russo si sarebbe
potuta evitare. Il testo originale russo è infatti
facilmente accessibile anche on line grazie all’efficientissimo
sistema della Biblioteca nazionale di San Pietroburgo (nel
volume Oc<erki filosofija kollektivizma, I, Sank
Peterburg 1909, con i testi di N. Verner, “Nauka i filosofija”;
A. Bogdanov, “Filosofija sovremennogo estestvoispytatelja”;
B. Bazarov, “Material kollektivnogo opyta i organizujus<c<ie
ego formy”; A. Lunac<arskij, “Mes<c<anstvo
i individualizm”; M. Gor’kij, “Razrus<enie
lic<nosti”) e una traduzione dal russo avrebbe, a
mio avviso, indubbiamente arricchito il volume.
Milly
Berrone
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Flavio
D'Abramo su Recensioni Filosofiche
http://www.recensionifilosofiche.it/crono/2005-9-10/bogdanov.htm
***
Da “A”
rivista anarchica, n. 302.
La (mancata) rivoluzione “costruttivista” del bolscevico
A.A. Bogdanov.
Nel 1903, la polizia dello Zar segnalava Bogdanov e Lenin
come i due rivoluzionari “piu’ pericolosi in assoluto”
. Insieme, uno in Russia e l’altro dalla Svizzera, guidarono
la neonata fazione dei bolscevichi durante la Rivoluzione
del 1905 - una rivoluzione fallita, come è noto, ma
importante per la formazione dei “soviet”.
Nel 1909, Lenin diede lo storico calcio al tavolo scrivendo
e pubblicando in tutta fretta “Materialismo ed empiriocriticismo”;
e, soprattutto, lasciando il compagno a meditare sull’ipotesi
di “suicidarsi, dopo essere stato escluso dai piu’
importanti comitati di partito” .
Bogdanov, che fu “lo scrittore di gran lunga piu’
produttivo e popolare della socialdemocrazia russa”,
accanto a Plechanov , continuò a lavorare, deprecando
la Rivoluzione d’Ottobre - prima e dopo i fatti -, e
subendo anche un arresto nel 1923 , fino alla morte - che
lo colpì, in modo non del tutto chiaro, quando aveva
cinquantacinque anni, nel 1928.
Sotto il regime di Stalin, di pari passo con la canonizzazione,
a massimo riferimento gnoseologico del marxismo, proprio della
summenzionata opera che Lenin aveva concepito e scritto contro
di lui, le sue opere furono “fatte sparire” dalla
circolazione .
Ben poco dei suoi scritti è oggi accessibile a chi,
perlomeno, non conosca il russo. Comunque, sul finire degli
anni ’80, Ernst von Glasersfeld si reca ad un convegno
per parlare del suo “costruttivismo radicale”, e,
grazie a un collega russo venuto in possesso di un volumetto
sfuggito alla censura, scopre che Bogdanov esprimeva, dice
Glasersfeld, “con chiarezza ed eleganza eccezionali,
alcune riflessioni che sono di fondamentale importanza nel
costruttivismo” - anticipando una serie di argomentazioni
con cui i filosofi della scienza “si sono spesso scontrati”,
dagli anni ’50 in poi .
Il volume in tal modo fortunosamente recuperato e appena tradotto
in italiano, per la prima volta, a cura di Felice Accame ,
è intitolato “Quattro dialoghi su scienza e filosofia”.
Fu pubblicato nel fatidico anno della rottura con Lenin, il
1909.
Ma piu’ che rispondere direttamente a Lenin , direi che
forse questi dialoghi trasfigurano la loro vicenda umana,
oramai disperatamente in crisi, raccontando di due personaggi:
un “marxista funzionario del Partito” il primo,
chiamato A, e “un “vecchio propagandista” il
secondo, chiamato B.
Il primo personaggio, una parodia che rovescia il Lenin che
improvvisamente si chiude nella biblioteca pubblica di Londra
(come già Marx) per ridurre il suo divario di erudizione
rispetto a Bogdanov e attaccarlo sul piano filosofico, si
presenta così:
A: Mi scusi se l’importuno. Anche se non ci conosciamo
affatto, mi permetto di chiedere aiuto e consiglio a un competente
par suo. Mi piacerebbe studiare filosofia. Come devo cominciare
?
B, il personaggio a cui è affidato il sapere di Bogdanov,
acconsente al dialogo, che entra subito nel vivo dei tormenti
filosofici di A, che, in realtà, aveva già iniziato
a studiare:
A: ammettiamo pure che esista un essere esterno, che esista
la conoscenza, che il soggetto e l’oggetto ne siano la
condizione... Ma perché tutto questo ? E se la conoscenza
è necessaria, qual’è il suo posto ? E una
volta letto tutto quanto c’è da leggere, se si
cerca un riscontro, che rapporto c’è...
B: Credo di aver capito. Siamo partiti con il piede sbagliato.
Per lei la filosofia è una questione di vita, non di
cose da leggere. Non potevo saperlo.
B sottopone ad A domande su domande, come da tradizione platonica
- ma esse, a differenza di quelle del presunto Socrate, sono
finalizzate a confezionare la proposta di un “monismo
scientifico”; un punto di vista che, gradualmente, sarebbe
destinato a sostituire, paradossalmente, proprio quella “filosofia”
che A voleva studiare - e, soprattutto, “vivere”.
A, marxista e funzionario del Partito, rispondendo alle domande,
deve collocare la filosofia nella “sovrastruttura”
- come “coronamento dell’ideologia”; mentre
le “forze produttive” della società si troverebbero
nella sua “base”.
B passa a chiedergli, allora, se egli sa qualcosa della “capacità
di lavoro dell’uomo”: per arrivare, passando per
“tutta la struttura organizzata dell’uomo”,
alla “teoria della lingua” e “al problema della
sua nascita e della sua evoluzione”, su cui, ovviamente,
inchioda il suo interlocutore:
B: Come lei sa, la parola è lo strumento della comunicazione
(...) E, in quanto marxista, lei sa bene che se un lavoratore
non padroneggia i suoi utensili saranno questi a padroneggiare
lui.
Il primo dialogo si chiude con una battuta, da parte di
A, che messo di fronte alla propria ignoranza non si offende
affatto, mentre, al contrario - apprezza il suggerimento:
A: e adesso mi metterò a studiare l’alfabeto...
delle forze produttive.
Ernst
von Glasersfeld trova una notevole “congruenza”
fra le tesi di Bogdanov e il suo “costruttivismo radicale”.
Soprattutto allorquando Bogdanov, “con riferimento all’esperienza”
che Glasersfeld considera “il concetto fondamentale del
suo pensiero”, afferma che non si devono considerarne
gli “elementi” come “indipendenti dall’essere
umano”. Per entrambi, in breve, “non ci sono elementi
a priori, visto che è l’uomo stesso a determinarli
e definirli, isolandoli nel flusso dell’esperienza”
.
Gli “elementi dell’esperienza” (parole di Ernst
Mach) sono sempre ulteriormente analizzabili, provenendo dal
“lavoro” (categoria fondamentale in Karl Marx),
sia individuale - di soggetti pensanti -, e sia collettivo
- di appartenenti a movimenti culturali e politici, famiglie,
comunità linguistiche, classi sociali e così
via.
Il concetto di “cultura proletaria”, proposto da
Bogdanov partendo dal Marx che faceva di ogni pratica (socializzata)
un criterio di “verità” e dal Mach che scomponeva
tutta l’esperienza in “elementi” e loro “combinazioni”,
era alla base della rivoluzione costruttivista-bolscevica
che non ci fu - stroncata dal dogmatismo di Lenin.
Per il “costruttivismo radicale” di Glasersfeld
come per Bogdanov, in conclusione, è cruciale la lotta
degli atteggiamenti sensati - solitamente propri della vita
quotidiana - contro i misticismi-autoritarismi - tutelati
dagli pseudo-problemi della filosofia.
Francesco Ranci
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