dalla
quarta di copertina
Termini e nozioni come «Stato d'eccezione», «monopolio statale della violenza», «forza dello Stato o Stato della forza» sono oggi investiti di un'accezione pubblicistica e strumentale che spesso ha finito per far loro perdere una diretta corrispondenza con l'oggetto. A determinare la loro ripresa nel dibattito sono stati i molteplici contesti di crisi internazionale (guerre, conflitti asimmetrici o non convenzionali) o le intrinseche contraddizioni degli organismi sovranazionali (ai quali sarebbe delegato il «governo globale»).
Affrontandole da «uomo del terzo potere» il magistrato Lupacchini ne restituisce il significato reale ed esse tornano a rappresentare un elemento essenziale di comprensione del presente attingendo da una storia «dei fatti» e «del pensiero» in cui attorno al dato di fondo, ovvero il rapporto tra la società di massa globale ed il monopolio della forza delle istituzioni ai tempi della crisi dello Stato-Nazione, prendono parola in un dialogo a distanza giganti del pensiero come Hobbes e Machiavelli; Gramsci e Agostino; Schmitt e Kelsen.
Il risultato è un viaggio che attraversa l'ideologia dello Stato ed i suoi cardini effettivi, i suoi elementi di contraddizione ed i fattori di crisi insiti negli elementi della modernità contemporanea.
In questo modo Lupacchini giunge all'apparente paradosso di domandare e domandarsi se vi sia ancora spazio per la giustizia e come debba configurarsi oggi il rapporto tra la politica e la magistratura considerando i fattori del conflitto presenti nella nostra società come elementi con i quali il giudice deve confrontarsi nell'interpretazione delle leggi come «un sarto che dovendo tagliare un abito per un gobbo deve fare la gobba anche all'abito».
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