“Il
deserto cresce, guai a chi nasconde deserti dentro di sé”;
“Bisogna avere del caos dentro di sé per partorire
una stella danzante”; “Ciò che fa l'originalità
di un uomo è che egli vede una cosa che tutti gli altri
non vedono”; «Io non sono un uomo, sono dinamite!»;
«La felicità non è fare tutto ciò
che si vuole, ma volere tutto ciò che si fa»;
«Ciò che si fa per amore è sempre al di
là del bene e del male» F. Nietzsche
Un
libro utile, alla fin fine, per capire come mai, in ogni movimento
di contestazione, riaffiorano come azzardi questi
"pensierini". "Ritornano", per mangiarsi
la coda. Aforismi che qualcuno ritiene ancora buoni per affascinare
i ragazzi che si affacciano al mondo; e che inducono qualche
editorialista d'assalto a individuare in Nietzsche il “nonno
della contestazione studentesca” o addirittura «uno
dei padri del movimento no global».
Ma il libro è utile soprattutto per individuare gli
artefici di questa mistificazione – quelli del sottotitolo
– e comprendere il modo in cui il postmodernismo ha
potuto diventare quasi senso comune grazie a una serie di
disinvolte equazioni. Tra tutte: volontà di potenza
= produzione desiderante. Suona simile, ma non è
la stessa cosa. Soprattutto, scompare lo scorrere del sangue.
Un libro, questo, che rivaluta l'idea di un progetto consapevole
di trasformazione della realtà e di emancipazione collettiva
del genere umano, da sempre al cuore della modernità,
e però entrata in crisi con la svalutazione della ragione
e la dissoluzione programmatica della nozione di soggetto.
*
* *
_______________________________________________
Dalla
quarta di copertina
« È POSSIBILE RICOSTRUIRE
UNA TEORIA FILOSOFICA E POLITICA DI SINISTRA PARTENDO DA NIETZSCHE?
Da più di trent’anni, la parte che si vuole più
“raffinata” della sinistra annuncia il superamento
della metafisica, la fine delle grandi narrazioni, la morte
della filosofia della storia. Un lungo viaggio iniziato tentando
di fondare una critica del “socialismo reale”
e delle sue meste proiezioni politiche in occidente. Proseguito
nel tentativo di coniugare la lettura “postmoderna”
con l’esigenza di affermazione di nuove figure sociali.
Per ritrovarsi infine impegnata a celebrare le “magnifiche
sorti e progressive” dell’Individuo proprio quando
questo viene schiacciato ovunque sotto il peso di una precarietà
(lavorativa, contrattuale, esistenziale, culturale) che ne
distrugge il futuro già nel presente.
Una occasionale rilettura di alcune opere di Friedrich Nietzsche
ha propiziato tale operazione culturale: un rovesciamento
quasi perfetto. Al filosofo tedesco e alla sua lettura della
crisi della modernità si richiamano Gilles Deleuze,
Michel Foucault e molti altri autori, grazie alla scoperta
del concetto di “differenza” e dell’intrinseco
pluralismo che esso implicherebbe.
In questo libro, muovendo dalla lezione dei francofortesi
(non risparmiando critiche neppure a loro), di Gramsci e Bloch,
Jan Rehmann discute l’ambiguità di queste nozioni
e mostra tutta l’arbitrarietà della lettura postmodernista
di Nietzsche. Ed ecco che nelle mani dei “nietzscheani
di sinistra” il pathos della distanza che separa gli
aristocratici fuorusciti dal gregge degli schiavi si tramuta
nel concetto di differenza in quanto tale; e la volontà
di potenza viene ingentilita fino a sembrare metafora di una
concezione cooperativa del potere. La religione di Zarathustra
viene così riproposta come retroterra di “nuovi
possibili percorsi individuali” di liberazione per i
“nomadi” dei nostri giorni.
Rehmann mostra come questi discorsi siano ben poco fondati
in una lettura rigorosa dei testi nietzscheani e soprattutto,
lungi dal costituire il presupposto per un rinnovamento della
critica del dominio e della società capitalistica,
siano del tutto solidali con l’offensiva ideologica
neoliberale e le sue concrete pratiche di sottomissione politica
e sociale.»
Eccolo qui il simpatico impostore uscito dalla copertina di Giancarlo Montelli, scomposto nelle sue componenti. Metafora del postmodernismo combinatorio.
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RECENSIONI
Ce
ne fregiamo.
Giunge finalmente la prima recensione del tipo «ma anche»
di Alberto Scarponi,
un vero esercizio di stile.
È comparsa, con il titolo "Nietzsche
e Marx non si devono dare la mano?", su retididedalus,
l'apprezzata rivista del Sindacato Nazionale Scrittori
diretta da Marco Palladini. La trovate qui.
Autore,
curatore ed editore, di simili recensioni non possono che
fregiarsi. La debolezza e l'inconsistenza delle peraltro
imbarazzate critiche – «vizio filologico»,
«occorre prendere il buono dove lo si trova»,
«la critica deve essere costruttiva» – non
fanno che esaltare il testo. Resta il fatto che Nietzsche
è un'icona, ormai familiare come il "Che"
con il basco: non è né di destra né di
sinistra, e del simpatico
baffutello non possiamo più fare a meno. Chi ne critica
gli epigoni, è mosso da "accanimento filologico".
Amen.
Affascinato
dal mantra deleuziano, – «Il “sì”
di Nietzsche si contrappone al “no” dialettico,
l’affermazione si contrappone alla negazione dialettica,
la differenza alla contraddizione dialettica, la gioia e il
godimento al lavoro dialettico, la leggerezza e la danza alla
pesantezza dialettica, la bella irresponsabilità alle
responsabilità dialettiche. La sensibilità empirica
per la differenza, per la gerarchia, è ciò che
essenzialmente fa muovere il concetto più efficacemente
e più in profondità di qualsiasi pensiero della
contraddizione» – Scarponi non vuole rinunciare
a tenere i piedi in più scarpe.
Ma dovendo scegliere, sceglie la Cultura, vista e sentita,
però, come
luogo della contaminazione permanente. Tanto, il Politico
è lost.
Questo è il punto. Una ricreazione continua, tanto
c'è il supplente.
(Ma poi, dove la trovano tutta questa gioia, e poi leggerezza,
godimento, danza... 'sti pipparoli). Qualcuno glielo spieghi,
a Scarponi: contaminazione, ibridazione, meticciamento sono
la condizione naturale, data, di partenza. Per tutti. Proprio
come la giovinezza, ipostatizzata e indossata come un abito
- ormai liso, si suppone. (Lo sa chiunque si sia ben guardato
dal praticarla, la giovinezza, opportunamente sconsigliato
dallo spettacolo indecoroso che ne davano i coetanei.) Scarponi
non sente la responsabilità di scoprire ed esibire
la ratio di un simile processo di deterioramento
progressivo. A lui sta bene così.
Beato lui.
cdb,
16 luglio 2009
*
* *
Ci
era sfuggita questa recensione di Tonino
- vorreimanonposso - Bucci,
apparsa su Liberazione il 25 agosto 2009:
Il
superuomo, che abbaglio. Anche Foucault c’è caduto
Tra il ‘68 e il ‘77 si fa avanti in Francia una
generazione di filosofi radicali. Si costruiscono un ruolo
nel movimento della contestazione. Parlano di ribellione al
potere, di desiderio e affermazione delle differenze, di forze
individuali in lotta con qualsiasi organizzazione “totalitaria”,
Stato, partito o sindacato che sia. Hanno un riferimento comune.
Si chiama Nietzsche. Un filosofo che fino agli anni ‘60
era trattato da autore di “destra”, antidemocratico
e pervaso di aristocraticismo. Il clima cambia con l’uscita
di due libri: Nietzsche e la filosofia di Deleuze del 1962
e Le parole e le cose di Foucault del 1966. Da questo momento
Nietzsche diventa un eroe che piace alla gauche . Viene letto
come un critico spietato della società borghese, un
contestatore radicale del falso illuminismo delle moderne
democrazie occidentali. Il “superuomo” –
celeberrima formula nietzscheana – è il tipo
di un’umanità futura, di un individuo finalmente
libero dal senso di colpa e senza tabù sui propri istinti
vitali. La filosofia nietzscheana sembra fare piazza pulita
di ogni ideale repressivo, di ogni morale ascetica, di ogni
teoria generale. Niente più ideali e sublimazioni,
soltanto una nuda volontà di affermazione e un primordiale
principio di realtà.
Tra i lettori entusiasti di Nietzsche c’è anche
Foucault. A lui è dedicato in gran parte il saggio
di Jan Rehmann, I nietzscheani di sinistra (Odradek edizioni,
a cura di Stefano Azzarà, pp. 238, euro 20), una delle
poche interpretazioni critiche (da sinistra), anzi l’unica,
tra i tanti libri usciti quest’anno su Foucault –
il venticinquesimo dalla sua morte. La tesi – detta
in sintesi – è che il nietzscheanesimo ribelle
di Foucault, come pure di Deleuze – sia nato da un grande
equivoco e che entrambi avrebbero confuso la vera natura “dominatrice”,
per nulla liberatoria, della volontà di potenza di
Nietzsche con la volontà di affermazione dell’individuo:
per essere più precisi con la potentia agendi di un
altro filosofo amato dalla contestazione: Spinoza. Nietzsche
intende il potere come dominio, Spinoza invece distingue dall’autorità
( potestas ) dello Stato che «subordina dall’alto»,
la potentia delle moltitudini. La potenza spinoziana è
una cooperazione, è il modo in cui gli individui agiscono
ed entrano in relazione fra loro, affermando la propria esistenza
come in un aggregato. La potenza di Nietzsche è invece
tutt’altra cosa, è dominio immediato, violenza,
guerra di sopraffazione non sublimata che nelle moltitudini
vede semmai un avversario di cui sbarazzarsi.
Nell’equivoco, secondo Rehmann, cadrebbe anche Foucault
che confonde la “volontà di potenza» nietzscheana
con una visione pluralistica della realtà, di un campo
di forze individuali in lotta per la propria affermazione
e liberazione. «Il significato dell’espressione
“volontà di potenza” consiste in questo:
naturalizzare il dominio e la violenza identificandoli con
l’essenza della vita in generale». «E’
sorprendente che le teorie postmoderniste, che sono sorte
per rivalutare ciò che è disperso e frammentato
contro il “terrore” della verità, della
ragione, dell’universale e della rappresentazione, passino
sotto silenzio questa trasfigurazione filosofica del comando
irrazionale e del dominio immediato della violenza da parte
di Nietzsche. Egli stesso ha spiegato molto chiaramente di
voler porre come fondamento della vita organica e inorganica
un potere/dominio tirannico» che si scaglia contro gli
“istinti democratici dell’anima moderna”,
contro “l’ostilità da plebei per tutto
quanto è privilegiato e sovrano”».
Già in Le parole e le cose il nietzscheanesimo di Foucault
si fa sentire nella tesi della «morte dell’uomo».
Qui Nietzsche (assieme ad Heidegger, ma questo è un
altro discorso) è preso a modello di un nuovo antiumanesimo
anti-idealistico. Foucault se la prende con l’antropologia,
con le scienze umane moderne che hanno inventato il concetto
di “essenza umana” in generale, ma finisce con
l’accomunare tutte le varianti dell’umanesimo
fra loro, indipendentemente se finalizzate alla passività
o alla trasformazione della realtà. Si scaglia anche
contro le teorie di sinistra che «vogliono ancora parlare
dell’uomo, del suo regno e della sua liberazione».
All’umanesimo sostituisce il superuomo di Nietzsche
che appare una rivalutazione di «questa vita»,
della «vita individuale» contro ogni riferimento
a valori astratti che morale, religione e filosofia hanno
sinora fatto.
Eppure «il flirt postmodernista con l’eterno ritorno
non vuole rovesciare nella pratica la filosofia morale universalistica
di Kant, fondata sulla generalizzazione, per concretizzarla
come l’imperativo categorico di rovesciare tutti i rapporti
sociali più inumani ed umilianti, come aveva tentato
Marx. Vuole invece sostituirla mediante l’arte di vivere
particolaristica di Nietzsche». Il superuomo cela una
natura dominatrice, vive «come gli dèi di Epicuro»,
«secondo le proprie leggi e distante dalla plebe»
anche se il comandare è «una necessità
da seguire con riluttanza». Il superomismo può
funzionare come una droga per l’individuo atomizzato,
privo di «legami sociali solidali» e che dalla
propria posizione subalterna aspira a un rango più
elevato e immagina se stesso come superiore. Ma in questo
revanchismo non c’è una protesta per la miseria
reale, è piuttosto una sofferenza che si trasforma
«in un odio generalizzato verso la sofferenza stessa
– scrive Rehmann – un odio che si sfoga nei confronti
dei deboli e trascina la nausea dell’uomo fino alle
fantasie di sterminio» verso una superiore forma di
aristocratismo. Quando Foucault nella sua tesi della morte
dell’uomo fa proprio il riferimento a Nietzsche sottovaluta
il significato sociale del superuomo, la sua vocazione antiegualitaria.
Per Nietzsche l’uguaglianza è un «fantasma»
artificiale creato dall’istinto di massa: «non
esiste una specie ma soltanto vari esseri individuali».
Il superuomo vuole l’«eliminazione dell’uguaglianza,
la creazione di superpotenti». In Zarathustra , quando
la plebe afferma che non ci sono uomini superiori perché
«l’uomo è uomo; davanti a Dio siamo tutti
eguali» la risposta nietzscheana suona così:
«davanti a Dio! Ma questo Dio è morto».
Non a caso del superuomo sono circolate letture di “destra”.
Foucault non avverte questi timori: il suo Nietzsche è
invece trasformato in un eroe che si ribella al conformismo
e alle regole in nome della scelta individuale e della “differenza”.
Ironia della sorte sarà proprio questo Nietzsche, riletto
a proprio uso e consumo, ad accompagnare Foucault nella sua
svolta radicale dopo il 68. Di Nietzsche farà anzi
un uso correttivo di Marx. Quel che invece il marxismo non
vede, a detta di Foucault, è che il potere è
qualcosa di pervasivo e mobile. Combattiamo «tutti contro
tutti» – dirà Foucault in un’intervista
del ‘77 – e «c’è sempre qualcosa
in noi che combatte qualcos’altro in noi». Contrariamente
a Marcuse, altra icona del 68, Foucault non pensa che il potere
sia repressione e che la sua potenza consista nel “dire
no”, nell’interdire, nell’enunciare la legge
e far funzionare il divieto. Il potere è produttivo
, le sue tecniche di potere producono individui docili. Questo
potere capillare è ovunque, si compie di «microperazioni»
e va studiato nelle sue istituzioni locali attraverso una
«microfisica».
Eppure, secondo Rehmann, qualcosa non torna. Da un lato, Foucault
batte sul tasto della “molteplicità” del
potere e dei suoi centri: il bidello, il direttore di carcere,
il giudice, il delegato sindacale, il capo redattore. Ma dall’altro,
cela un «essenzialismo», un potere onnipotente
che sta sotto e dietro i rapporti sociali, un maître-pouvoir
. Sarebbe questo il prezzo più alto pagato da Foucault
per il suo debito col nietzscheanesimo. «La produttività
del potere: proprio questo è Nietzsche, nella misura
in cui concepiva la sua volontà di potenza come l’unica
e onnipresente forza produttiva nella natura, nell’individuo
e nella società». Tutta la realtà si riduce
a una scena teatrale sulla quale, nonostante le apparenze
e le dissimulazioni, recita un unico e solitario attore: la
volontà di potenza. Un nudo istinto di dominio non
sublimato. Tutto il resto – ogni sapere, ogni discorso,
ogni regola – è finzione e invenzione di questo
potere. L’umanesimo, la giustizia, l’uguaglianza
sono ostacoli di cui sbarazzarsi per liberare il «desiderio
del potere». E’ una strada però che conduce
Foucault pericolosamente vicino al disprezzo che Nietzsche
nutriva per le teorie universalistiche, soprattutto per la
“follia plebea” del socialismo. Certo, per Foucault
la volontà di potenza ottiene «il carisma della
ribellione in quanto tale». Il “basso” che
Foucault contrappone alle ideologie universalistiche è
una costruzione nella quale confluiscono «miti dell’immediatezza
di “destra” e di “sinistra”»,
una combinazione di «vigore fisico, forza, energia»,
un «intreccio di corpi, passioni e di casi». «Foucault
segue lo schema nietzscheano che smaschera nell’ideologia
il cielo di valori del preteso universalismo e umanismo solo
come una forma di potere occulto». Ma ignora che la
violenza, la guerra, l’istinto di dominio che «fa
entrare in scena come una sorta di affascinante antiideologia»
sono in realtà essi stessi una potente ideologia. E
sottovaluta, forse, che a quel cielo di valori delle ideologie
universalistiche sono legate anche le aspirazioni delle classi
subalterne che «bisognerebbe estrarre da esse e mettere
in pratica». Un giudizio severo quello di Rehmann. O
forse no.
Tonino Bucci
*
* *
Rosalinda
Renda, Critica Marxista, 1, 2009
Il
libro di Jan Rehmann – I nietzscheani di sinistra.
Deleuze, Foucault
e il postmodernismo: una decostruzione, a cura di S.
Azzarà,Roma, Odradek, 2009, pp. 235 – si colloca
nel solco della critica marxista dell’ideologia e della
lotta teorica contro l’egemonia culturale borghese.
Rehmann pone in atto la sua strategia decostruttiva della
Nietzsche-Renaissance, confrontandosi con quanto
di meglio la riflessione filosofica ha prodotto sull’argomento
negli ultimi quarant’anni. Oggetto della sua critica
è il nietzscheanesimo di sinistra, affermatosi
nel corso degli anni Sessanta e Settanta, soprattutto a opera
dei suoi più autorevoli maitres à penser:
G. Deleuze e M. Foucault.
Entrambi vengono inquadrati dall’autore nella più
ampia costellazione del postmodernismo, inteso nell’accezione
datane da J. F. Lyotard nel 1979, secondo il quale la fine
della Modernità segna l’eclisse della soggettività
autonoma, la crisi della teleologia storica, il tramonto irreversibile
delle metanarrazioni quali il marxismo e la psicoanalisi.
In questa prospettiva l’intera modernità, secondo
Rehmann, è ridotta a un unico blocco, privo di differenziazioni
e opposizioni interne, che occulta ad esempio i caratteri
emancipatori della ragione illuministica riducendoli alla
dimensione unilaterale della ragione borghese. Il modello
con il quale viene liquidata la dialettica dell’Illuminismo
è desunto dalla
critica della modernità di Nietzsche.
Tale operazione risale al testo di Deleuze Nietzsche e
la filosofia del 1962 che, per Rehmann, è fondamentalmente
«una resa dei conti con la dialettica» (p. 37)
di origine hegeliana. Il principio teorico del negativo,
che nella dialettica appare come opposizione e contraddizione,
sarebbe in realtà una falsa differenza, uno
strumento del positivo che alla fine si affermerebbe
quale ricomposizione della scissione dell’identità
originaria.
A tale presunto esito monolitico della ragione dialettica,
Deleuze
contrappone il pluralismo delle forze e la differenziazione
dei valori derivanti dalla volontà (di potenza) che
intende affermarsi come differenza, secondo la sua
interpretazione del pensiero di
Nietzsche. Il criterio della differenziazione delle forze
(la loro quantità e la loro qualità) è
dato dalle coppie oppositive alto e basso,
nobile e vile, attivo e reattivo.
Questo «essenziale pluralismo» è, per Deleuze,
«l’unico garante della libertà dello spirito
concreto» (p. 37) diametralmente opposto al totalitarismo
della dialettica.
Contro questa lettura di Nietzsche in chiave ribellistica
e libertaria,
Rehmann solleva essenzialmente due rilievi critici: 1) la
riduzione della dialettica alla sola dialettica hegeliana,
trascurando, in tal modo, l’apporto marxiano, nei termini
del suo rovesciamento materialistico. La dialettica di Marx
non contempla alcuna identità originaria da ricostituire,
ma si radica, all’opposto, nell’auto-dissociazione
del mondo storico-concreto col fine del suo superamento rivoluzionario;
2) la rimozione, da
parte di Deleuze, dell’origine della morale e della
differenza dei valori che Nietzsche individua chiaramente
in quel «pathos della distanza», che
sta a fondamento del dominio di classe dell’aristocrazia
antica sulla massa degli schiavi. Deleuze trasforma in forze
attive e forze reattive le coppie nobile-ignobile,
alto-basso, che in Nietzsche esprimono,
rispettivamente,
il carattere affermativo dei forti e il carattere negativo
dei deboli che
sarebbe ispirato dal ressentiment e dallo spirito
di vendetta. È paradossale, afferma Rehmann, che
i termini differenza e pluralità,
destinati ad ottenere grande successo presso buona parte dell’intellettualità
post-sessantottesca, siano stati tratti «dal progetto
di
dominio esplicitamente antidemocratico di Nietzsche»
(p. 54).
L’occultamento del lato sgradevole di Nietzsche
e la deformazione del suo pensiero, per piegarlo alla propria
costruzione teorica, caratterizzano anche l’interpretazione
di Foucault dalle opere degli anni Sessanta fino ai Corsi
al College de France degli anni Settanta. Per Rehmann,
lo scopo precipuo di Foucault era quello di accattivarsi le
simpatie del movimento
postsessantottino, legando il pensiero nietzscheano alle tematiche
allora in voga, ad esempio sottolineando come Nietzsche derivi
la sfera morale da ciò che è basso,
legato al corpo, quotidiano. Come in Deleuze,
l’opera di stravolgimento del pensiero nietzscheano
si fonda su delle omissioni: ad esempio Foucault tace completamente
sulla circostanza che la critica anti-ideologica e anti-metafisica
del Nietzsche della fase illuminista subisca, dopo
lo Zarathustra, una «spinta alla verticalizzazione
gerarchica» che promuove il dominio in maniera radicale
(pp.138-141).
Sulla base di queste premesse Foucault sviluppa negli anni
Settanta la sua teoria del sapere-potere, derivante dal prospettivismo
nietzscheano, volta alla demolizione della critica dell’ideologia
di matrice marxiana.
Rehmann dedica quasi metà del suo lavoro alla confutazione
di
questa operazione. È la parte più complessa
e stimolante del libro, sia per la critica dettagliata e puntuale
dei testi, sia perché, nel fornire nuovi spunti interpretativi
all’analisi del postmoderno, riempie un vuoto e un ritardo
della critica marxista. A parere di Rehmann, le categorie
formazioni discorsive, potere reticolare,
dispositivi disciplinari sono ideate da Foucault
senza riferimento alla struttura sociale, per cui gli
stessi mutamenti e l’evoluzione storica delle forme
di potere non
trovano alcuna plausibile spiegazione. Il nietzscheanesimo
di Foucault
consiste principalmente, per Rehmann, «nella sostituzione
della critica dell’ideologia» basata sul materialismo
storico «con una critica finzionalistica della verità»,
fondata sul prospettivismo nietzscheano, e «nella
costruzione di un concetto di potere» (p. 116) posto
come fondamento ontologico dei rapporti sociali.
*
* *
«Non
mancherà di suscitare reazioni questo testo di Rehmann,
una polemica ma circostanziata ricostruzione della ricezione
di Nietzsche da parte di Deleuze e Foucault. La tesi del libro
è ben esplicitata nell'introduzione: secondo l'autore,
tale ricezione si è concretata in una "contraddittoria
estetizzazione della vita politica" (p. 20) che ha accompagnato
una deleteria modificazione del paradigma politico, spostando
l'accento dal concetto di "trasformazione" a quello
di "sovversione" (p. 21)»
Così
inizia una recensione di Marco
Maurizi su Amnesiavivace
*
* *
Recensione
di Antonio Ramirez
su Yoricklibri
*
* *
DIMENTICARE
MARX PER AFFERMARE LA VOLONTA' DI POTENZA
di
Vladimiro Giacché,
il
manifesto, 26 aprile, p. 14
Chiunque
abbia compiuto gli studi di filosofia nei primi anni Ottanta
e si sia rivolto al pensiero di Nietzsche si è dovuto
confrontare con Nietzsche e la filosofia di Gilles
Deleuze. Uscito in Francia nel 1962, questo testo allora circolava
in una traduzione di Salvatore Tassinari (Firenze, Colportage,
1978). Chi scrive la cercò a lungo prima di poterla
leggere. E di rimanerne assai deluso. Per un motivo semplice:
la lettura proposta da Deleuze era molto lontana dal senso
dei testi di Nietzsche, che già si potevano studiare
nell’edizione critica a cura di Giorgio Colli e Mazzino
Montanari (non era così nella Francia del 1962 - e
infatti Deleuze citava a piene mani da “La volontà
di potenza”, una raccolta molto opinabile di frammenti
postumi curata dalla tremenda sorella di Nietzsche). Lontana
dal senso profondo di questi testi, e anche da quello superficiale.
Che dire, ad esempio, dell’incipit del volume, che ravvisa
il “progetto di Nietzsche” nell’“introdurre
in filosofia i concetti di senso e di valore”, facendo
di Nietzsche un Max Scheler qualsiasi? O dell’affermazione
per la quale “la lezione dell’eterno ritorno sta
in questo, che non c’è ritorno del negativo”?
Nonostante la libertà ed arbitrarietà della
sua interpretazione, anzi proprio per questo, il testo di
Deleuze conobbe un enorme successo, e influenzò profondamente
anche la lettura foucaultiana del pensiero del filosofo tedesco.
Correttamente, quindi, Jan Rehmann sceglie di affrontare congiuntamente
queste due interpretazioni del pensiero di Nietzsche. Ma l’obiettivo
del suo testo è in realtà più ampio,
e prende di mira l’utilizzo (anche) del pensiero nietzscheano
per liquidare il marxismo. Operazione realizzatasi con pieno
successo anche da noi negli anni Settanta e Ottanta (lo mostra
la bella introduzione di Stefano Azzarà al volume).
Grazie, appunto, anche a Deleuze e Foucault.
Deleuze contrappone alla metafisica della negazione e della
contraddizione (di stampo hegeliano e marxista) una metafisica
delle “differenze”, valorizzando il Nietzsche
pluralista e prospettivista. E crea una continuità
Spinoza-Nietzsche che conoscerà enorme fortuna nei
decenni successivi. Per quanto riguarda il primo aspetto Rehmann
obietta, tra l’altro, che la contrapposizione di Deleuze
trascura l’elemento dialettico presente nello stesso
Nietzsche. Per quanto riguarda il rapporto con Spinoza, Rehmann
mostra come l’identificazione del concetto di “potenza”
nei due pensatori (che Deleuze traduce nella sua filosofia
nel concetto di “desiderio”) trascuri la decisiva
modificazione semantica subita dalla nozione spinoziana di
“potentia agendi”: essa giunge infatti
a Nietzsche mediata dalla traduzione contenuta nella Storia
della filosofia moderna di Kuno Fischer (“Macht”)
il che dà al termine una curvatura assai più
inquietante di quella originaria (il termine tedesco significa
infatti potenza, ma anche potere e violenza). Le pagine dedicate
al concetto di potenza sono tra le migliori del libro, assieme
alla confutazione della presunta contrapposizione di “provenienza”
e “origine” che Foucault vede in Nietzsche.
Quanto a Foucault, il concetto pluralistico di “potere”
– ereditato dalla lettura deleuziana di Nietzsche –
è notoriamente un tassello fondamentale del preteso
superamento della teoria “totalitaria” del marxismo
(e della psicoanalisi). Rehmann analizza l’intero percorso
intellettuale di Foucault e osserva che in realtà Foucault
fa uso di una categoria astratta e onnicomprensiva di potere,
tale da configurare una vera e propria “metafisica del
potere” (Breuer): un potere inteso insomma come una
misteriosa entità che starebbe “dietro”
tutti i rapporti sociali, come un piano ontologico più
profondo. In tal modo, “la pretesa legittima di ampliare
l’analisi del potere al di là del paradigma dell’appropriazione
si rovescia in un essenzialismo mediante il quale il potere
viene posizionato dietro i rapporti sociali”.
Come è noto, la persuasività della teoria foucaultiana
doveva molto al “socialismo reale” dell’Urss,
dimostrazione vivente (anzi morente) della non riconducibilità
dei rapporti di potere ai rapporti tra le classi. L’odierna
crisi del capitalismo reale mondializzato può forse
aiutarci a ripensare criticamente la metafisica del potere
foucaultiana. E a sostituirla con strumenti analitici e teorici
più attenti all’importanza dello specifico potere
localizzato nei rapporti di produzione e di sfruttamento.
E alle sue insanabili contraddizioni.
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Muntzer
il Sopravvissuto su
Politicainrete
L’autore
di questo scritto, Jan Rehmann, insegna Teoria sociale alla
Union Theological Seminary di New York e Filosofia alla Libera
Università di Berlino, e come la stragrande maggioranza
degli studiosi seri è conosciuto in un circolo di specialisti
del settore. I Nietzschiani di sinistra tuttavia
si presta ad una lettura in grado di coinvolgere anche il
grande pubblico, sia per lo stile preciso e sintetico, sia
per l’importanza’sociale’ oltre che accademica,
del contenuto del suo lavoro.
Il sottotitolo, “Deleuze, Foucault e il postmodernismo:
una decostruzione”, sembrerebbe indicare un ambito
di ricerca estraneo alle preoccupazioni quotidiane gravanti
su ognuno di noi, ma non è così: la tendenza
postmoderna a non focalizzare seriamente sui fattori determinanti
la nostra esistenza non elimina la loro influenza ma anzi
la rende ancora più invadente. Rehmann, partendo da
una analisi certamente filosofica, richiama ad una interrogazione
che interessa l’intera società nei suoi processi
più profondi.
Stefano G. Azzarà, studioso serio e traduttore dell’edizione
italiana, presenta il libro in una stimolante introduzione
cogliendo in maniera puntuale proprio questo aspetto. L’uso
fatto da Nietzsche in Italia, specialmente dopo il ’68,
non può essere meramente risolto nelle mura di un dibattito
universitario fra eruditi, perché ha creato delle ripercussioni
nella società civile di cui a tutt’oggi si pagano
gli effetti. Persino chi non ha letto Nietzsche, o l’ha
fatto senza approfondire, ne ha subito il fascino indiscusso,
trasformandolo in una icona politica del ribellismo di sinistra.
Ma la lettura di Nietzsche consente veramente la sua elevazione
a simbolo della sinistra rivoluzionaria? Il fallimento, o
per lo meno il forte ridimensionamento dei risultati ottenuti
dal movimento sessantottino, spinge a chiedersi se questa
debacle fosse già implicita anche e soprattutto nell’uso
inappropriato del pensiero del filosofo tedesco.
Ciò che evidenzia Azzarà, e naturalmente Rehmann
nell’intero suo studio, è indiscutibilmente l’aspetto
reazionario di un pensiero postmoderno disinteressato alla
analisi rigorosa e dialettica della società. “E’
possibile ricostruire una teoria filosofica e politica di
sinistra a partire da Nietzsche?”
La risposta dell’autore evidenzia due aspetti fondamentali:
il ribellismo di sinistra e il tentativo di andare oltre il
marxismo per approdare ad una filosofia della differenza non
produce nessuna liberazione, ma anzi crea un indistinto magma
di forze tutte allo stesso livello, quindi solidali con il
potere costituito; il confronto diretto delle opere di Nietzsche
e dei migliori strumenti critici offerti dagli studiosi del
pensiero nietzschiano (come Losurdo), dimostra che la sconfitta
era prevedibile perché l’arbitrarietà
dei pensatori francesi, così ambigua e sommaria, esprime
una debolezza i cui effetti inevitabilmente vanno a minare
le basi su cui fondare una teoria del cambiamento sociale.
Il pensiero di Nietzsche, sottoposto alla seria critica filologica,
avvalora indiscutibilmente una volontà aristocratica
il cui odio per il socialismo, le masse, la democrazia non
trova eguali nella storia del pensiero reazionario.
Come possiamo notare, l’uso politico di Nietzsche, seppure
a sinistra e tralasciando per un attimo la legittimità
di una scorretta esegesi, conserva inevitabilmente i batteri
dell’aristocratismo e veicola qualsiasi rivolta –
seppur in buona fede – ad un epilogo dai tristi contorni.
Nel suo bel libro Rehmann offre al lettore la possibilità
di interrogarsi su ciò che Nietzsche abbia realmente
voluto dire, e sulla operazione di travisamento – voluta
e cercata – compiuta da Deleuze e specialmente da Foucault.
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Su Dialettica e Filosofia una recensione di G. Carluccio
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Dentro “I nietzscheani
di sinistra” di Andrea
Comincini
“Rehmann mostra come questi discorsi [dei filosofi della
Gauche] siano ben poco fondati in una lettura rigorosa dei
testi nietzschiani e soprattutto, lungi dal costruire il presupposto
per un rinnovamento della critica del dominio e della società
capitalistica, siano del tutto solidali con l’offensiva
ideologica neoliberale e le sue concrete pratiche di sottomissione
politica e sociale”.
Siffatte parole esprimono perfettamente l’obiettivo
dell’autore, ovvero smascherare l’aspetto conservatore
e fondamentalmente disimpegnato della cultura postmoderna
di ispirazione nietzschiana. Ma quali sono, secondo Rehmann,
i capisaldi di un tale fraintendimento? Dove si annida il
‘misunderstanding’?
I concetti ‘pathos della distanza’ e di ‘differenza’
– ereditati da una rilettura della volontà di
potenza e dalla distanza schiavo-padrone in Nietzsche - evidenziano
palesemente questa confusione. Lungi da essere strumenti di
liberazione ed emancipazione, essi si riducono a metafora
di espressioni nietzschiane la cui valenza è contraria
a qualsiasi obiettivo democratico.
La differenziazione si riduce ad una inutile presa d’atto
dell’esistente, e nega il valore di ogni negazione determinata,
dialettica, in un contesto emancipatorio dai connotati storici.
Un altro grande torto che si compie infatti nell’ambito
delle filosofie sottoposte qui a giudizio è la banalizzazione
della storia e delle istanze in essa presenti.
D’altra parte, osserva ironicamente Rehmann, è
da questi filosofi esplicitamente dichiarata la volontà
di trasformare, manipolare, “usare” Nietzsche
a seconda delle esigenze, che sembrano in definitiva rivolte
alla distruzione della dialettica ed al superamento del marxismo.
La prima parte del libro è dedicata a Deleuze, ed è
notevole non soltanto la padronanza degli argomenti dell’autore
ma anche la perfetta disposizione stilistica dei contenuti,
mentre la seconda, su Foucault, è più articolata
ma ugualmente imponente per l’acutezza dell’analisi
e delle prove a sostegno. Tale frammentarietà non è
da considerarsi un difetto ma la conseguenza della intera
analisi del pensiero foucaultiano, certamente complesso e
flessibile.
I nietzschiani di sinistra propone in definitiva una analisi
intelligente e pertinente di una tendenza filosofica la cui
importanza va oltre il semplice ambito accademico perché,
come su descritto, è arrivata a influenzare persino
gli striscioni degli studenti universitari in rivolta. Rehmann
ed il suo lavoro meritano una attenzione particolare per la
vivacità della prosa, la pertinenza delle risposte
ed infine va ringraziato per la cura dell’impianto bibliografico
da cui si può partire per una ricerca autonoma delle
fonti e degli argomenti citati.
La fine delle grandi narrazioni, il superamento della metafisica
verso un futuro dalle magnifiche sorti proclamato con enfasi
negli anni passati – osserva Rehmann – non ha
lasciato altro che macerie: un fallimento dovuto alla mancanza
di approfondimento, di attenzione filologica, di narcisismo
intellettuale dal quale questo libro ed il suo autore sono
indiscutibilmente emendati.
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Nella scheda relativa a questo libro su Anobii, compare, firmata con un nickname - Ut - una recensione molto dissonante che riportiamo, convinti che la miglior pubblicità è quella comparativa. Proviene dal demi-monde postmodernista al quale non piace che la ricreazione sia finita, e che reagisce "buttandola in caciara", come si dice a Roma, dando di gomito e chiamando a raccolta le plebi acculturate, per difendere i livelli di semplicità tanto facilmente raggiunti.
Nascita del comico-filosofico
"... D'altra parte si era alla ricerca di altre vie intellettuali proprio per giungere là dove sembrava prendesse corpo, o esistesse già, qualcosa di totalmente "altro": e cioè il comunismo. E' stato così che senza conoscere bene Marx, rifiutando l'hegelismo, provando disagio per i limiti dell'esist ... (prosegui)
"... D'altra parte si era alla ricerca di altre vie intellettuali proprio per giungere là dove sembrava prendesse corpo, o esistesse già, qualcosa di totalmente "altro": e cioè il comunismo. E' stato così che senza conoscere bene Marx, rifiutando l'hegelismo, provando disagio per i limiti dell'esistenzialismo, io decisi di aderire al Partito Comunista Francese. Si era nel 1950: essere, allora, "comunista nietzscheano"! Una cosa davvero al limite della "vivibilità"! E, se vogliamo, anch'io lo sapevo che era un pochino ridicolo, forse." (Michel Foucault da "Colloqui con Foucault")
Se Nietzsche scrisse "Nascita della tragedia", allora Jan Rehmann si sarà detto: anch'io voglio scrivere qualcosa (magari un libro) che duri nel tempo. Scriverò "Nascita della comicità". Sottotitolo, burlesco non di meno, "I nietzscheani di sinistra". E nella copertina del libro cosa inseriamo, giusto per allietare i lettori? Ma il Barone di Muenchausen, per rendere ancor più manifesto il target giullaresco-teutonico del libro. E allora iniziamo la lettura e già in prima pagina dell' Introduzione di Rehmann, arriva la prima battuta del genere comico-filosofico (che ha, tra l'altro, nel Candide di Voltaire il suo antesignano monumento definitivo):
"Nel 1973 Deleuze riassume così, nel suo saggio sul "pensiero nomade", gli esiti della propria riflessione sulla rivalutazione di Nietzsche: Marx e Freud hanno rappresentato il sorgere della civiltà burocratica moderna; il loro progetto era quello di una ricodificazione dello Stato in Marx, della famiglia in Freud. Nietzsche costituisce invece l'irruzione della controcultura. Egli fa del pensiero una forza nomade, "una macchina da guerra" contro la macchina razionale e amministrativa i cui filosofi parlano in nome della ragion pura. Il Nietzsche di Deleuze si rivolge in questo modo direttamente ai rivoluzionari dei nostri giorni: abbiamo bisogno di una "macchina da guerra" che non produca un nuovo apparato statale (Rehmann sta citando da "Pensiero Nomade" di Deleuze del 1973). In quale altro luogo i lettori degli anni Settanta avrebbero potuto collocare queste macchine da guerra nomadi se non nell'orizzonte delle Brigate Rosse italiane o della RAF tedesco-occidentale?".
Tradotto: L'interpretazione data da Deleuze di Nietzsche è totalmente errata. Nietzsche è, e tale deve rimanere, un pensatore conservatore proto-nazista. Deleuze è un padrino, o perlomeno un ispiratore del terrorismo degli anni settanta. Anzi giustifica aprioristicamente una eventuale futura scelta giovanile di chi, desideroso in costruire una macchina da guerra anti-borghese, utilizza metodi violenti, vessatori e criminali. Insomma Nietzsche è responsabile finale di Auschwitz e Deleuze delle Brigate Rosse. Risata generale, applausi... (e siamo solo alla prima pagina!!)
(nota bene): Quella di Rehmann è la miglior battuta filosofica del 2009, anche se non supererà mai in bonhomie quella di Giuliano Ferrara (Festival di Filosofia di Roma anno 2007, dibattito con Flores d'Arcais) su Costantino (l'imperatore romano) padre della democrazia moderna. In Italia non ci risparmiamo mai nulla - almeno in termini comici - dal Cyber-nano a Ferrara, ma anche questo Rehmann, è un vero fuoriclasse !!
NNB: ho osato proseguire nella lettura del pamphlet caustico del nostro e già alla pagina seconda Rehmann sfodera un uppercut micidiale, rispolverando un classico dell'umorismo filosofico del 1980, quando Habermas definì i nietzscheani di sinistra, da Bataille a Deleuze, da Foucault a Derrida, i "giovani conservatori" ! (...) Poi non pago, il nostro umorista, citando Heiner-Muller, afferma papale papale che se Lenin è il Moderno del socialismo reale, Stalin ne è il Post-Moderno (...) Di nuovo risate a crepapelle, cori da "Santo subito!!", allegria irrefrenabile... E pensare che la filosofia contendeva all'economia l' epiteto di "scienza triste"!!
Ultima domanda: ma alla fine di questa clownerie accademica, troveremo la musichetta-pa-pa-rappa-pa-pa-ra, il Woodpecker ilare e la scritta: "That's all, folks!!"?? Ut
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domenica
28 giugno, ore 20:00
a Roma si libra, piazza del Popolo
con Claudio Del Bello, Stefano Azzarà, Roberto Finelli,
Jamila Mascat
A
Rehmann che ci chiedeva notizie della presentazione di piazza
del Popolo, abbiamo così risposto:
La
presentazione è durata più di due ore, il parterre
era gremito e una trentina di persone sostavano fuori, in
piedi: per lo più fumatori. I relatori sono stati molto
bravi, anche la giovanissima Jamila
Mascat. C'erano molti studenti e dottorandi di filosofia,
e la circostanza è molto significativa. Un indirizzo
di pensiero riduttivo, semplificatorio ed omissivo finisce
per esibire la propria inconsistenza e per respingere gli
studiosi in formazione - o anche, i topi abbandonano la nave
quando questa sta per affondare.
Il caso ha voluto che un fiero contraddittore fosse di livello
molto basso. Il che ha permesso ai relatori, nelle risposte,
di essere ostensivi - guardate, signori, i guasti del pensiero
unico! - e didascalici. Alla domanda perché Rehmann
se la fosse presa con due autori defunti - che, tra l'altro,
uno defunto non era quando il libro è stato elaborato
- hanno risposto i relatori, suscitando generale ilarità.
Alla domanda perché Odradek ha pubblicato questo libro,
ho risposto che Odradek è come l'uccello di Minerva:
si alza in volo al tramonto... D'altra parte, instant book
filosofici è merce filosofica altamente deperibile
- come si vede - , e non la trattiamo.
*
* *
Lunedì
19 gennaio 2009 è stato presentato
a
Roma
alla
libreria Odradek.
Con
Jan Rehmann,
e
con il curatore Stefano G. Azzarà,
sono intervenuti Augusto
Illuminati, Domenico Losurdo e Elio Matassi
Augusto
Illuminati, Elio
Matassi, Stefano
G. Azzarà, Jan
Rehmann e Domenico
Losurdo
Jan
Rehmann
Lunedi,
19 gennaio 2009, Jan Rehmann
ha presentato il suo libro I nietzscheani di sinistra.
Deleuze, Foucault e il postmodernismo: una decostruzione
nella libreria di Odradek di Roma. Sollecitato dagli interventi
di Stefano Azzara', Augusto Illuminati,
Domenico Losurdo e Elio Matassi, Rehmann ha investigato
la chiave ermeneutica stessa secondo la quale Gilles Deleuze
e Michel Foucault hanno letto gli scritti di Nietzsche,
e come la loro accettazione acritica dei concetti di Nietzsche
ha pregiudicato le teorie postmoderne stesse. Hanno creato
una retorica ultra-radicale nel momento stesso in cui diluivano
i fondamenti analitici della critica del dominio di classe
e di Stato.
Nel caso di Deleuze si può
parlare di un “ermeneutica dell'innocenza” (Losurdo)
che equipara il concetto di potenza in Nietzsche e in Spinoza.
Se Deleuze trasforma Nietzsche con successo in un eroe della
cultura alternativa, ciò accade perchè lo
ha surrettiziamente camuffato da Spinoza. Nel caso di Foucault,
Rehmann ha dimostrato che la sua legittima pretesa di ampliare
l’analisi del potere al di là del paradigma
dello sfruttamento e dell’oppressione repressiva statale
si rovescia in un essenzialismo mediante il quale il potere
viene posizionato dietro i rapporti sociali. Il potere foucaultiano
e il suo legame con il sapere sono derivati direttamente
del tardo Nietzsche per cui il concetto di potere di Foucault
produce l’effetto di escludere i rapporti reali di
potere.
Ci sono almeno due ragioni per cui il postmodernismo neo-nietzscheano
ha comportato un regresso analitico rispetto alle teorie
marxiste dell’ideologia e dell’egemonia: per
il rifiuto tipico di scomporre il materiale discorsivo e
ideologico rispetto alle contraddizioni sociali che sono
contenute in esso e per la tendenza culturalista a limitarsi
ai testi e ai discorsi a partire dai quali si volgono a
dematerializzare la vita sociale. Una critica marxista deve
allora impegnarsi a re-integrare le intuizioni produttive
del postmodernismo nel quadro di una teoria rinnovata dell’egemonia
e dell’ideologia.
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Sommario
Prefazione
L’immagine di Nietzsche in Italia: dopo
il Sessantotto
di Stefano G. Azzarà
Introduzione
di Jan Rehmann
Parte
prima
Deleuze e la costruzione di un’immagine di Nietzsche
pluralista
e differenzialista
1. Differenze plurali al posto delle opposizioni dialettiche
2. Nietzsche antidialettico?
3. La nascita della «differenza» postmodernista
dal «pathos della distanza»
4. Il dibattito sulla «volontà di potenza»:
pluralismo o metafisica?
5. La combinazione nietzscheana di decentramento e gerarchizzazione
6. Spinoza e Nietzsche: lo scambio tra capacità di
agire (Handlungsmacht)
e potere/dominio (Herrschaftsmacht)
7. «Fare del pensiero una macchina da guerra»
Parte
seconda
La morte dell’uomo e l’eterno ritorno
1. Ricognizione: ripetizione postmodernista, critica normativa,
impotenza della sinistra
2. L’«epoca della storia» e il «sonno
antropologico»
3. Il debito con la critica heideggeriana dell’umanismo
4. La costruzione riduzionistica di un’epoca «antropologica»
5. Il superamento dell’utopia marxiana mediante il superuomo
6. L’eterno ritorno come religione
7. La lettura postmodernista di Nietzsche come ripetizione
devota
Parte terza
L’introduzione di un concetto di potere
neonietzscheano
e le sue conseguenze
1. Nuove coordinate
2. Ricognizione: il superamento della critica dell’ideologia
mediante
la «molteplicità» e la «produttività»
del potere
3. Il dissolvimento dell’ideologia nel «sapere»
4. L’alternativa neonietzscheana: «tutto è
messa in scena»
5. Il potere come macchina di rimozione
6. La «genealogia» di Nietzsche, ovvero: la costruzione
forzata
di un Nietzsche alternativo
6.1. “Origine” versus “provenienza”
in Nietzsche?
6.2. Punti di appoggio dell’interpretazione di Foucault
nel Nietzsche
della fase “mediana”
6.3. La spinta di verticalizzazione di Nietzsche e la sua
rimozione in Foucault
7. I legami con il radicalismo di sinistra parigino
8. La misteriosa questione del potere e il suo radicamento
nella guerra
9. Il dissolvimento delle relazioni strutturali di potere
Parte quarta
Dalla prigione all’anima moderna. Sorvegliare
e punire rivisitato
1. Un (troppo) fugace incontro con la «teoria critica»
2. L’approccio storico-sociale di Georg Rusche e Otto
Kirchheimer
3. Sviluppo di una storia sociale del sistema penale o rinuncia?
3.1. Dalla funzione agli aspetti del funzionamento
3.2. Un ordinamento teorico neonietzscheano
3.3. L’astrazione dal lavoro forzato
3.4. Una genealogia della prigione riduttiva
3.5. Un procedimento che elimina le contraddizioni
3.6. Una critica rivolta alla riforma pedagogica e sociale
del sistema penale
3.7. Una nuova «economia politica del corpo»?
4. L’embrione panoptico della società disciplinare
4.1. Il Panopticon come diagramma dell’egemonia moderna
4.2. L’appianamento della differenza tra socializzazione
forzata
e socializzazione consensuale
4.3. L’immaginario reale del panopticon
4.4. «L’economia deve essere la considerazione
prevalente» (Bentham)
4.5. Bentham come precursore del «complesso carcerario
industriale»
5. Il potere disciplinare nel doppio legame tra «microfisica»
molteplice
e onnipresente «essenza fagocitante» (Poulantzas)
5.1. La contraddizione nascosta
5.2. La molteplicità del potere e la sua accumulazione
5.3. «I limiti del disciplinamento sociale» (Peukert)
5.4. L’allontanamento della «topica» dalla
teoria della società (Althusser)
6. La metaforizzazione della prigione e il «complesso
carcerario industriale»
Sigle delle opere citate più frequentemente
Bibliografia
Appendice
Al posto della critica dell’ideologia
Le lezioni di Michel Foucault sulla «Storia della
governamentalità»
Indice dei nomi
Indice degli argomenti
Jan
Rehmann (Altenmarkt, 1953) insegna Teoria sociale
all'Union Theological Seminary di New York
e Filosofia alla Freie Universitaet di Berlino.
È redattore dello "Historisch-Kritisches
Wörterbuch des Marxismus" (HKWM) e della rivista
Das Argument. Ha appena pubblicato Einführung
in die Ideologietheorie. Tra le sue precedenti
opere ricordiamo Max Weber: Modernisierung als passive
Revolution, 1998; Die Kirchen im NS-Staat,
1986 e, insieme ad altri, Faschismus und Ideologie,1980,
e Theorien über Ideologie, 1979. |
Stefano
G. Azzarà (Messina, 1970) è ricercatore
di Storia della filosofia all'Università di Urbino.
Il suo lavoro si concentra sul confronto tra le grandi
tradizioni filosofico-politiche dell'età contemporanea:
conservatorismo, liberalismo, materialismo storico.Tra
le altre cose ha scritto Pensare la rivoluzione
conservatrice. Critica della democrazia e grande politica
nella repubblica di Weimar (2a ed. 2004). Sta per
pubblicare un libro sulla ricezione italiana di Friedrich
Nietzsche. |
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