ODRDEK EDIZIONI
COLLANA ROSSA - CULTURE SUL MARGINE COLLANA BLU - STORIA E POLITICA COLLANA VERDE - STORIA ORALE FUORILINEA COLLANA GIALLA - LA MACCINA DA PROSA AZIMUTH IDEK IDEOLOGIA E CONOSCENZA PHOTOS
HOME PINOCCHIO CATALOGO-02
INDICE ALFABETICO INDICE DEGLI AUTORI
CATALOGO
LIBRERIE
CULTURE SUL MARGINE
STORIA ORALE
IDEK
STORIA E POLITICA
AZIMUT
LA MACCHINA DA PROSA
PHOTOS
IDEOLOGIA E CONOSCENZA
GIANO
 
 
 

L.I.T.A.
UN'IDEA CHE DIVENTA LAMPADINA

pp.72 € 10,00

 

<< ordina il libro

 

Sullo sfondo della Selva Lacandona, in un contesto di guerra a bassa intensità, viene elettrificata una comunità zapatista insorta. L’elettricità è prodotta da una turbina utilizzando una fonte rinnovabile di energia, l’acqua; i finanziamenti arrivano da Enti locali italiani grazie alla cooperazione decentrata; il lavoro pratico vede attivi la Comunità de La Realidad e una rete internazionale di supporto alle lotte zapatiste, in un’insolita condivisione di metodi, analisi, critiche. La gestione del progetto viene assunta dal LITA che sperimenta nuove modalità di organizzazione, di divisione del lavoro e di trasmissione dei saperi. L’esperienza si arricchisce incessantemente nel corso degli anni attraverso le tante persone messicane ed italiane che collaborano alla realizzazione dell’impianto.
Queste persone hanno fornito spunti di analisi e suggerito modalità di comportamento che abbiamo voluto rendere fruibili a quanti oggi sono impegnati nella ricerca e nella costruzione di un altro mondo possibile.


Il LITA (Laboratorio Itinerante Tecnologie Appropriate) è un gruppo informale di persone che hanno in comune la voglia di spendere la loro preparazione tecnica con soggetti che condividono la critica al capitalismo.

 

Nota editoriale

Da questo testo Odradek è stato immediatamente fatto prigioniero. Entusiasta e volontario. Due gli elementi di fascinazione irresistibile: tecnologia e responsabilità.
Le tecnologie appropriate sono concettualmente l’esatto contrario del modo capitalistico di gerarchizzare le tecniche. È appropriato ciò che corrisponde alla fisicità dell’ambiente dato; degli interessi delle comunità residenti, ai livelli (incrementabili) delle culture esistenti. È appropriato ciò che esce fuori, che risulta, dall’incontro e dallo scambio di conoscenza. Ma senza introdurre elementi irrazionalistici o ideologici: il risultato pratico resta l’arbitro decisivo di ogni ipotesi, lo sbarramento insuperabile per ogni fantasticare sull’infinito possibile.
È la riscoperta e valorizzazione dei livelli intermedi della tecnica, che hanno di buono il basso costo e – per contro, ma solo teoricamente – la bassa resa. È l’affermazione in positivo del processo naturale della conoscenza, fatta di scambio e confronto tra tecniche alternative, frutto di ambienti geofisici e culturali differenti, a volte “meticciabili”, altre no. È il contrario del procedimento capitalistico, che per prima cosa annienta e poi impedisce il costituirsi delle tecniche alternative, con l’obiettivo di centralizzare la conoscenza e affermare quella monocultura da cui è uso trarre il massimo profitto possibile. Senza riguardi per le differenze, i danni, le bio- o le antropo-diversità. Centralizzare la conoscenza è automaticamente espropriare la maggioranza assoluta dell’umanità, privarla del “saper fare” autonomo, ridurla a “cliente” che abbisogna della “merce” per soddisfare ogni minima esigenza vitale.
Sul piano energetico il capitalismo vive da mezzo secolo la fase della “monocultura” del petrolio. E che una piccola comunità indigena debba trarre l’elettricità da generatori alimentati a diesel, in piena foresta, può sembrare “logico” solo a un consiglio d’amministrazione delle “sette sorelle”.
Dimostrare la fattibilità e la convenienza di tecnologie “povere” nella produzione di energia diventa così immediatamente un atto politico. Le tecnologie alternative, appropriate, permettono di incontrare la domanda crescente di energia in tutto il mondo, specie là dove il petrolio non c’è o non può – per problemi di prezzo – arrivare. Sono insomma tecnologie passibili di generalizzazione, e dalla cui generalizzazione può derivare una prima, pratica, messa in discussione della monocultura del petrolio. E delle gerarchie globali che intorno a questa sono state consolidate.
Al di là delle “spaccature” esplicite (maschile/femminile, occidentale/indigeno, ecc), però, il resoconto riesce a mantenere una sua unità. Perché?
Perché c’è un progetto tecnologico e il gruppo è fatto di “tecnici”. È un elemento epistemologicamente decisivo. Un gruppo di persone – giovani, con esperienze politiche legate al mondo dei centri sociali – si mette insieme per fare una cosa concreta. Nel farlo si avvita centinaia di volte in discussioni politico-ideologiche che – senza alcuno sforzo di fantasia – avrebbero distrutto “partiti” ben più solidi e strutturati. Ma mantiene, ciò nonostante e malgrado un ricambio organico altissimo, nel corso di sei-sette anni – una unitarietà di intenti intorno alla cosa da fare. La realtà oggettiva e il progetto soggettivo sono stati ancorati fin dall’inizio in modo corretto, istintivamente scientifico. La “chiacchiera”, l’opinione volubile e priva di ancoraggi, non riesce mai a prendere il sopravvento sull’episteme, sull’idea che corrisponde alla realtà della cosa (nella doppia accezione: realtà oggettiva e idea progettuale ad essa “appropriata”).
È anche per loro, individualmente, una condizione diametralmente opposta a quella che vivono qui, in pieno occidente capitalistico, all’interno stesso del “movimento” (le cui figure rilevanti, a un certo punto, diventano un possibile ostacolo alla riuscita stessa del progetto, vista la vanitosa esigenza di “apparire mediaticamente” che tanti perseguono come massimo – e privato – risultato politico). Molto fumo e pochissimo arrosto, dove si può “dire la propria” senza la responsabilità di dover dimostrare competenza.
È esemplare, in questo senso, il bilancio dell’esperienza accumulata dal Laboratorio. Dove il prezzo pagato al mito della “spontaneità dal basso”, all’assenza programmatica di gerarchie, è stato davvero altissimo, in termini di tempo ed energie impiegate. “Accendere la luce, a un certo punto, è stata la meta della nostra azione, coscienti che la riuscita del progetto fosse la cosa più importante. Anche per correttezza nei confronti delle aspettative della comunità”.
A ben guardare, alla fine, una gerarchia si è imposta. È quella definita dalla realtà locale (le aspettative della comunità chiapaneca), dalle competenze scientifiche (le ipotesi da prendere in considerazione, alla fin fine, sono quelle che dànno soluzione ai problemi pratici), dal senso di responsabilità nei confronti del progetto e delle persone che vi sono state coinvolte. Un buon bagno di realtà, che consigliamo a tutti coloro che ne hanno le tasche piene dell’esser considerati “moltitudine irresponsabile”.
Odradek

 
INFO CONTATTI MAPPA
Odradek Edizioni srl - Via di S.Giovanni in Laterano 276-278/A - Tel e Fax. +39670451413