Nel
1919 si susseguirono varie ondate di mobilitazioni, scioperi
e rivolte, con l’irruzione nel conflitto sociale e politico
di nuovi soggetti e programmi capaci di incidere sul processo
di ridefinizione dei rapporti tra Stato e società che
coinvolse vinti e vincitori della Grande guerra. All’indomani
della prima guerra mondiale e di massa, quando dall’Europa
giungevano notizie di rivoluzioni e formazione di nuove repubbliche,
in Italia riemersero antiche forme di protesta popolare con
occupazioni delle terre, assalti ai forni e ai palazzi del
potere, mentre le guardie rosse, lo sciopero generale internazionale
e la nascita di organismi per l’azione diretta davano
il segno di una società ormai pienamente entrata nel
’900. In quello snodo decisivo dell’età
contemporanea si consumò la crisi dello Stato liberale,
sorsero partiti che avrebbero giocato un ruolo notevole nella
storia italiana, presero corpo speranze e progetti per la
costruzione di una società fondata su nuove basi e
nuovi principi.
Roberto Bianchi tratteggia un anno di storia tra guerra e
pace attraverso un’analisi dettagliata degli attori,
dei linguaggi, degli obiettivi, delle forme di azione di quelle
folle di uomini e donne che per la prima volta invasero la
scena pubblica con mobilitazioni effettivamente di massa,
ed esaminando i diversi comportamenti e le diverse risposte
date da classi dirigenti e autorità. Frutto di lunghe
ricerche d’archivio e di un confronto costante con la
storiografia internazionale, il volume centra l’attenzione
sui tre principali luoghi del conflitto politico e sociale
del 1919: la Terra, con l’avvio delle lotte contadine
per il controllo delle risorse e degli usi civici, il Pane,
con i tumulti annonari che sconvolsero la penisola, la Pace,
con la realizzazione del primo sciopero internazionale contro
la guerra del XX secolo.
Roberto
Bianchi (Firenze 1966) è ricercatore di Storia
contemporanea presso il Dipartimento di studi storici e geografici
dell’Università di Firenze. Ha pubblicato Bocci-Bocci.
I tumulti annonari nella Toscana del 1919 (Olschki 2001),
La Valdelsa tra le due guerre. Una storia italiana negli
anni del fascismo (a cura di, Società storica
della Valdelsa 2002), Senza padroni. Storia di un’esperienza
cooperativa: il Consorzio Etruria (con M.T. Feraboli,
Giunti 2004), e vari contributi sulla storia della conflittualità
politica e sociale in riviste o volumi come Le XXe siècle
des guerres (Les Éditions de l’Atelier 2004);
partecipa ai progetti di “Histoire & Sociétés.
Revue européenne d’histoire sociale” e
“Zapruder. Storie in movimento”. Con Odradek nel
2005 ha pubblicato Donne di Greve. Primo maggio 1917 nel
Chianti: donne in rivolta contro la guerra.
RECENSIONI e SEGNALAZIONI |
Amerigo
Sallusti
da
Lavoro e Società
Online www.cgil.it/lavorosocieta
Roberto
Bianchi, Pace, pane, terra. Il 1919 in Italia, Roma,
Odradek Edizioni, 2006, pp. 236, € 18,00.
Il 1919 fu un anno cruciale per la storia sociale d’Europa.
Il primo anno senza le mattanze nelle trincee e le fucilazioni
dei “disertori”. L’anno dell’uccisione
fisica (Rosa Luxemburg e Karl Liebcknecht) e politica (la
soffocata insurrezione spartachista nelle città roccheforti
operaie della Germania pre-Weimar e dell’Ungheria dei
Consigli di Gyorgy Lukács commissario politico all’Istruzione
popolare), del tentativo di espandere il virus della rivoluzione
della “Russia dei soviet”, dai confini sigillati
dalle armate controrivoluzionarie all’Europa centro-occidentale.
Questa eco arrivò forte e prepotente pure in Italia.
Uscita vincitrice dalla grande guerra, ma sicuramente sconfitta
sul piano della coesione sociale. Mai come allora il paese
si trovò diviso tra chi dalla guerra aveva tratto vantaggio
(i grandi ceti industriali ed agrari del nord, futuri finanziatori
del fascismo nascente) e chi (le sterminate masse proletarie)
ne aveva subito morti e miserie. Il puntuale libro di Roberto
Bianchi già nel titolo indica un percorso di lettura
che prefigura in partenza le coordinate del ragionamento.
Un pregio della suddivisione in tre ampi capitoli, Pace-Pane-Terra,
è di mettere “in fila” avvenimenti ed episodi
che, se raccontati in maniera disomogenea e disarticolata,
risultano essere al massimo momenti di esplosione o collera
di masse popolari sfinite dagli avvenimenti bellici da poco
terminati. “Ordinati” e politicamente messi in
sequenza, essi traducono episodi di “apparente jaquerie”
in mobilitazione cosciente di sfruttati che dalla loro condizione
vogliono uscire. Operai, molti dei quali ora disoccupati.
Braccianti, adesso senza lavoro. Reduci privi di speranza.
Donne, nella doppia di figura di disoccupate e vedove.
Orbene in quel 1919 questi dannati della terra provocarono
un lungo bradisismo di lotte dalle campagne alle città.
Uniti, dal basso, e costringendo a stare insieme anche i vertici,
le dirigenze delle diverse organizzazioni del proletariato.
Dagli anarchici di Armando Borghi ai socialisti massimalisti
di Giuseppe Mingrino, passando per gli arditi del popolo di
Giuseppe di Vittorio unitamente ai comunisti ordinovisti di
Antonio Gramsci. Da Perugia a Firenze, da Napoli a Torino,
da Crotone a Milano. Ovunque quell’anno fu caratterizzato
da una radicalità politica e d’azione impressionante.
I riverberi delle lotte operaie al di là dei confini
(si ricorda ancora oggi a Vienna lo sciopero di sei settimane
continuative di tutti gli operai metallurgici del paese a
ridosso del termine della guerra) incendiarono il nostro paese
che partecipò massicciamente allo sciopero internazionale
del 20 e 21 luglio – lo “scioperissimo”–
promosso da decine di associazioni e partiti operai d’Europa,
soprattutto anarchici e socialisti di sinistra (dall’Usi
italiana all’Uspd tedesca). Quell’annus mirabilis
produsse poi il biennio rosso dell’occupazione delle
fabbriche metalmeccaniche, e particolare che troppi dimenticano,
di centinaia di latifondi, da Novara a Brescia. Ancora una
volta, purtroppo, quando le lotte e le rivendicazioni si stavano
saldando: “pace, pane e terra per tutti”, come
accadde nel 1919, il fiume in piena che stava valicando gli
argini venne “ridotto a rigagnolo”.
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