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Dobbiamo a Guido Ruzzier - autore indimenticato del Liber legendarius - questa nota bibliografica.

Kafka ne scrive in Die Sorge des Hausvaters: in italiano, la traduzione del titolo del racconto dipende dall'edizione: Gli affanni del padre di famiglia, in: Racconti, Biblioteca Universale Rizzoli. Superclassici 43 Rizzoli; La preoccupazione del padre di famiglia, in: Racconti, TEA 113, Editori Associati; Il cruccio del padre di famiglia, in: Un medico di campagna, Oscar Paralleli, Mondadori; Il cruccio del padre di famiglia, in: La metamorfosi e altri racconti, Oscar Classici Moderni 77, Mondadori;
Il cruccio del padre di famiglia, in: Tutti i racconti, Grandi Tascabili Newton. Serie Speciale Rilegata 8, Newton & Compton; Gli affanni del padre di famiglia, in: I racconti, La Biblioteca Ideale Tascabile 6, Editoriale Opportunity Book, Milano;
Il cruccio del padre di famiglia, tr. Ervino Pocar, in: Presenze inquietanti. Racconti fantastici del novecento, La Mia Biblioteca 4, Edizioni Il Capitello, Torino;
Il cruccio del padre di famiglia, in: La metamorfosi e altri racconti: la raccolta completa dei racconti pubblicati in vita dall'autore, Biblioteca Economica Newton Classici 91, Newton & Compton, Roma; Il cruccio del padre di famiglia, in: La metamorfosi e altri racconti, Novecento Europeo. I Grandi della Narrativa 10, Periodici San Paolo.


About Odradek

LA PREOCCUPAZIONE DEL PADRE DI FAMIGLIA


Gli uni dicono che la parola Odradek derivi dallo slavo e cercano in questo modo di rintracciare la formazione della parola. Altri invece pensano che derivi dal tedesco, e sia soltanto influenzata dallo slavo. L'incertezza di questi due pareri però lascia forse concludere a ragione che nessuno dei due sia giusto, soprattutto che con nessuno dei due si riesca a trovare un significato della parola. Naturalmente nessuno si occuperebbe di simili studi, se non ci fosse davvero un essere che si chiama Odradek. Sulle prime ha l'aspetto d'un rocchetto di spago piatto a forma di stella, e infatti sembra anche che sia rivestito di spago; certo devono essere soltanto pezzi di spago strappati, vecchi, annodati insieme, o anche pezzi di spago di colore e specie diversissimi messi insieme. Non è poi soltanto un rocchetto, ma dal centro della stella sporge un bastoncino di traverso e a questo bastoncino se ne unisce ad angolo retto un altro. Con l'aiuto di questo ultimo bastoncino da una parte e di una delle irradiazioni della stella dall'altra l'insieme può camminare diritto come sopra due gambe. Si sarebbe tentati di credere che questa formazione avesse avuto in passato una qualche forma razionale e che ora sia semplicemente rotta. Ma non sembra sia così; almeno non si trova nessun segno di questo; in nessun punto si vedono aggiunte o rotture che accennerebbero a qualcosa di simile; l'insieme appare, sì, privo di significato, ma nel suo genere chiuso in se. Non è possibile parlame in modo più particolareggiato, perche Odradek è straordinariamente mobile e impossibile ad acchiapparsi. Si trattiene alternativamente nelle soffitte, sulle scale, nei corridoi, al pianterreno. A volte per mesi e mesi non si vede affatto; allora probabilmente si è trasferito in altre case; ma poi torna immancabilmente in casa nostra. A volte, quando si esce dalla porta proprio mentre egli si appoggia alla ringhiera della scala, vien voglia di rivolgergli la parola. Naturalmente non gli si pone nessuna domanda difficile, invece lo si tratta, già la sua minuscola statura ci induce a farlo, come un bambino. «E come ti chiami? » gli si domanda. « Odradek », egli dice. «E dove abiti?» «Senza fissa dimora », dice e ride; però è soltanto una risata come si può fare senza polmoni. Suona press'a poco come un fruscio di foglie cadute. Con questo la conversazione per lo più è terminata. Del resto nemmeno queste risposte si possono sempre ottenere; spesso resta muto a lungo, come la legna cui assomiglia. Invano mi domando che cosa sarà di lui. È sottoposto a morire? Tutto ciò che muore, prima ha avuto una specie di mèta, una specie di attività, e in essa si è consumato; nel caso di Odradek questo non si avvera. È dunque destinato magari a srotolarsi giù per le scale davanti ai piedi dei miei figli e dei loro figli trascinando dello spago dietro di sé? È palese che non nuoce a nessuno; però l'idea che debba ancora sopravvivere anche a me, mi è quasi dolorosa.

Franz Kafka, I racconti, Milano Longanesi &C., 1965, edizione pocket, traduzione di Henry Furst

 

 

UN LETTORE CHE SCRIVE

Già, perché Odradek? Abbiamo raccolto diverso materiale per tentare di rispondere ai dubbi che qualche lettore curioso ha voluto trasmetterci. Ne faremo qualcosa di utile. Recentemente, un signore gentile ci ha fatto pervenire una pagina di riflessioni. La pubblichiamo. Se qualcuno volesse commentarla, può scrivere a odradek@odradek.it

 

 

Entro in libreria e incontro Kafka

di Angelo Di Nuzzo


Perché ho perso tempo – un paio d'ore, in più riprese – a leggere e rileggere questo brano?
Non so, forse per sola curiosità. Avendo chiesto al libraio il perché di quel nome ne ho avuta questa stampa. Deludente. Perché mi aspettavo di più.
Kafka è un nome importante; Davide, il libraio, non è uno sprovveduto. Ergo, il caso della libreria ODRADEK meritava un interessamento di un paio d'ore. Sprecate? Non so, vedremo.
La lettura del brano mi ha scombussolato. Più lo leggo, più mi ripugna, anzi mi dà pena. La sua insensatezza è un insulto al raziocinio, che è la più nobile qualità della specie umana. E, di questa, Kafka è un noto ed allucinato castigamatti.
Forse questo mi accade perché ho preso troppo sul serio il raccontino. Eppure dovevo aspettarmelo. Ho già incontrato Franz Kafka – i suoi scritti – da giovane, quando cioè avevo 20-25 anni. Ricordo acutamente la ripulsione, il ribrezzo ed il fascino ammirato che mi derivarono dalla lettura di qualche pagina delle Metamorfosi [l'uomo che ogni giorno di più si scopre oggetto di una mutazione genetica da uomo a scarafaggio, pur conservando tutta la lucidità del cervello umano]. Ho letto anche qualche pagina iniziale de Il processo, e ne ho ricavato l'emozione profonda, disarmante, della emarginazione di fronte a una burocrazia ferocemente ottusa. Poi più nulla ho letto di lui.
Lo incontro di nuovo per caso, senza averlo cercato, per via indiretta: una libreria, un nome.
Ripeto, forse io prendo troppo sul serio questo caso e questo brano. Invece ho idea che esso, il racconto, sia soltanto un divertissement dello scrittore, un giocattolo su cui si è un po' divertito. Il brano però non è buttato giù a caso, come per distrazione, liberazione o per noia. Tutt'altro. La breve composizione è molto curata; si sente che l'autore ci ha lavorato su parecchio. Il pezzo denota una non comune capacità di applicazione, una notevole immaginazione, una creatività degna di miglior fine.
Il brano è emblematico. È la metafora di un rocchetto di filo [quante volte lo abbiamo avuto tra le mani o tra i piedi?] che, pur essendo un oggetto inerte, ha una doppia esistenza, una sua concretezza, una inoppugnabile presenza che disturba, paradossalmente, la serenità di un padre di famiglia. Nientepopodimeno!! E sì, il padre di famiglia si infastidisce; di più, in un crescendo patologico, addirittura si addolora [già, Kafka usa queste parole nel chiudere il brano: quasi un dolore] al pensiero di quell'oggetto, quell'essere, quella creatura, che pur non fa danno a nessuno, possa... sopravvivergli!

Eppure, questo raccontino nella sua brevità intensa contiene un ... messaggio, per così dire. [Noi, uomini del nostro tempo, del tempo cioè dei computers, dei cellulari, degli SMS, mandiamo o cerchiamo "messaggi" dappertutto: nelle nostre allocuzioni, nelle nostre affabulazioni, nei nostri discorsi e in quelli degli altri, a cinema, a teatro, in pizzeria, insomma in ogni occasione. Una volta si diceva: la morale. Dov'è la morale? Qual è la morale?]
Ebbene, anch'io ho cercato il messaggio, la 'morale'; ho cercato e credo di aver trovato in Franz un monito. La vita dell'uomo è breve, fugace. Qualsiasi oggetto, qualsiasi frammento di materia inerte è più durevole della vita umana. La "preoccupazione" del padre di famiglia è dunque inutile, indebita, non serve a nulla, è scontata.
La riflessione dell'uomo è immaginabile, umanamente concepibile: – IO vivo, esisto; tra 50 o 100 anni non ci sarò più, ma probabilmente esisterà ancora questo rocchetto, questo martello, questo cacciavite che ho adoperato. Questi oggetti sopravanzeranno la mia vita e la stessa esistenza dei miei figli e dei figli dei miei figli... –
– Embè? – sembra rispondere Kafka – uomo, cosa cerchi? l'eternità? l'immortalità? Il tuo destino è scritto nel tuo DNA: nascere, crescere, invecchiare, scomparire. Renditi conto, chetati e vivi di conseguenza. –
Questo, a parer mio, sembra voglia dirci l'autore in questo brano allucinante e allucinato.
Franz Kafka, ricordiamolo, visse infanzia ed adolescenza oppresso da un padre autoritario; minato dalla tubercolosi, visse appena 41 anni!
Fu tragicamente consapevole della propria condizione, del proprio destino. La sua intelligenza, la sua acutezza di osservazione della società intorno a lui lo facevano soffrire ancor di più. Fu un infelice. Me ne dispiace molto; questo pensiero, quando torna alla mia mente, mi genera tormento e angoscia: la vita fu troppo ingiusta con lui. Per questo motivo ho evitato ed evito i suoi scritti: per non essere invaso e sopraffatto da quella ingiusta infelicità.
Quanto al nome Odradek, ho brevemente effettuato qualche ricerca. Se è vero che la parola deriva dal tedesco – come dice l'autore – sembra che tre radici, in quella lingua, concorrano a comporre la parola:
ode, deserto, squallore, noia;
rad, ruota, bicicletta;
dek, coperta.
Se ne può trarre un senso: noia, desolazione che gira e cova sotto coperta? Naturalmente è solo una ipotesi.
Le tre radici lessicali assemblate non costruiscono né conducono a un nome o lemma o concetto allegro, o almeno gradevole.
Caro Davide, amico Libraio, valeva la pena seguire una tale traccia per dare un nome alla libreria? Con un po' di fantasia non si poteva trovare di meglio?
Quanto a me, rinnovo a me stesso l'antico avvertimento: evitare Kafka, per non soffrire.
Con rispetto, per Kafka e per Davide; senza rancore; con molta umana comprensione.

UNO CHE RISPONDE

Evitare di evitare Kafka

di Giuseppe Moscati


Ho letto con estremo interesse, più di una volta, le riflessioni di Angelo Di Nuzzo che, con il suo “Entro in libreria e incontro Kafka”, di fatto – pur all’interno di una cornice di sincere ammirazione e stima verso lo scrittore praghese – invita a evitarne la lettura. Per evitare il dolore, chiosa in buona sostanza.
Mi permetto di replicare dicendo invece che sarebbe un grave errore, a mio avviso, evitare un autore così lucido e decisivo come Franz Kafka, che ha scavato fin dentro le ossa dell’uomo contemporaneo, tra le sue paure e le sue attese, tra gli angoli più reconditi della psiche oltre che, altrettanto lucidamente, dietro le quinte del potere nel senso deteriore del termine (e non in quello, positivo-propositivo del “potere di tutti” e “dal basso” di capitiniana memoria).
Direi dunque di evitare di evitare la pagina kafkiana, se non altro perché Kafka è insuperabile maestro nell’educarci alla consapevolezza critica (della nostra percezione) del male e delle nostre vulnerabilità e delle ‘insufficienze’ del mondo – ecco ancora una volta Aldo Capitini –, allo stesso modo in cui un Kant lo è nel suggerirci la via per una ragione critica.
Caro Angelo, lei ha intuito così bene il portato della penna di Kafka, ora non ne abbia né ingeneri paura.
Con stima.
Pubblichiamo con piacere questa riflessione in risposta al paradossale invito di Di Nuzzo.
Questo è un paese che tra retorica di cartone, commedie e melodrammi, mal sopporta anche Leopardi. Considera il dolore come i panni sporchi.
E la scrittura come intrattenimento edificante. Non resta che disperare. O.

UNA REPLICA

Inviato da iPad
Concordo con quanto affermato dal sig. Moscati: non si può prescindere dalla lettura di Kafka, per nessun motivo. Non esiste scrittore che abbia esplorato l'animo umano più profondamente, intensamente e lucidamente di Kafka. E, aggiungo, con più tenerezza e misericordia. Consiglierei al signor Gino di riprendere la lettura di questo gigante della letteratura mondiale seguendo questo percorso: lettere, diari, racconti, saggio di Piero Citati, memorie dell'amico Max Brod ed ,infine, i romanzi. Vedrà che scoprirà un altro kafka, un uomo dalla tenerezza infinita, profondamente innamorato della vita, al punto tale da non riuscire a tralasciare nulla di essa; al punto tale da lasciarsi schiacciare da essa.
In merito ad Odradek, non concordo sul presunto messaggio di Kafka. Non è mai stata sua intenzione lasciarne, voleva semplicemente raccontare quel vorticoso mondo che gli si agitava dentro, e che non gli ha dato mai tregua, se non negli ultimi giorni di vita, quando è riuscito finalmente a sedare il demone interiore. Lui si sentiva un Odradek, un oggetto sconosciuto, senza radici e senza scopo, buttato qua e là, quasi incapace di parlare, se non con un sussurro (ma che sussurro!) simile ad un fruscio di foglie; un oggetto che infastidisce il padre di famiglia (il proprio?) il quale, al contrario, sa chi è, dove va e qual è lo scopo della sua vita. Quanto Kafka avrebbe voluto essere tutto questo!
Complimenti alla libreria per la scelta di questo nome! Servirà ad avvicinare i lettori a quest'uomo di cui, soprattutto oggi, abbiamo immensamente bisogno.
Anna Romano (odradek1883@gmail.com)

Die Sorge des Hausvaters


Die einen sagen, das Wort Odradek stamme aus dem Slawischen und sie suchen auf Grund dessen die Bildung des Wortes nachzuweisen. Andere wieder meinen, es stamme aus dem Deutschen, vom Slawischen sei es nur beeinflußt. Die Unsicherheit beider Deutungen aber läßt wohl mit Recht darauf schließen, daß keine zutrifft, zumal man auch mit keiner von ihnen einen Sinn des Wortes finden kann.
Natürlich würde sich niemand mit solchen Studien beschäftigen, wenn es nicht wirklich ein Wesen gäbe, das Odradek heißt. Es sieht zunächst aus wie eine flache sternartige Zwirnspule, und tatsächlich scheint es auch mit Zwirn bezogen; allerdings dürften es nur abgerissene, alte, aneinandergeknotete, aber auch ineinanderverfilzte Zwirnstücke von verschiedenster Art und Farbe sein. Es ist aber nicht nur eine Spule, sondern aus der Mitte des Sternes kommt ein kleines Querstäbchen hervor und an dieses Stäbchen fügt sich dann im rechten Winkel noch eines. Mit Hilfe dieses letzteren Stäbchens auf der einen Seite, und einer der Ausstrahlungen des Sternes auf der anderen Seite, kann das Ganze wie auf zwei Beinen aufrecht stehen.
Man wäre versucht zu glauben, dieses Gebilde hätte früher irgendeine zweckmäßige Form gehabt und jetzt sei es nur zerbrochen. Dies scheint aber nicht der Fall zu sein; wenigstens findet sich kein Anzeichen dafür; nirgends sind Ansätze oder Bruchstellen zu sehen, die auf etwas Derartiges hinweisen würden; das Ganze erscheint zwar sinnlos, aber in seiner Art abgeschlossen. Näheres läßt sich übrigens nicht darüber sagen, da Odradek außerordentlich beweglich und nicht zu fangen ist.
Er hält sich abwechselnd auf dem Dachboden, im Treppenhaus, auf den Gängen, im Flur auf. Manchmal ist er monatelang nicht zu sehen; da ist er wohl in andere Häuser übersiedelt; doch kehrt er dann unweigerlich wieder in unser Haus zurück. Manchmal, wenn man aus der Tür tritt und er lehnt gerade unten am Treppengeländer, hat man Lust, ihn anzusprechen. Natürlich stellt man an ihn keine schwierigen Fragen, sondern behandelt ihn - schon seine Winzigkeit verführt dazu - wie ein Kind. »Wie heißt du denn?« fragt man ihn. »Odradek«, sagt er. »Und wo wohnst du?« »Unbestimmter Wohnsitz«, sagt er und lacht; es ist aber nur ein Lachen, wie man es ohne Lungen hervorbringen kann. Es klingt etwa so, wie das Rascheln in gefallenen Blättern. Damit ist die Unterhaltung meist zu Ende. Übrigens sind selbst diese Antworten nicht immer zu erhalten; oft ist er lange stumm, wie das Holz, das er zu sein scheint.
Vergeblich frage ich mich, was mit ihm geschehen wird. Kann er denn sterben? Alles, was stirbt, hat vorher eine Art Ziel, eine Art Tätigkeit gehabt und daran hat es sich zerrieben; das trifft bei Odradek nicht zu. Sollte er also einstmals etwa noch vor den Füßen meiner Kinder und Kindeskinder mit nachschleifendem Zwirnsfaden die Treppe hinunterkollern? Er schadet ja offenbar niemandem; aber die Vorstellung, daß er mich auch noch überleben sollte, ist mir eine fast schmerzliche.


Las preocupaciones de un padre de familia

Algunos dicen que la palabra «odradek» precede del esloveno, y sobre esta base tratan de establecer su etimología. Otros, en cambio, creen que es de origen alemán, con alguna influencia del esloveno. Pero la incertidumbre de ambos supuestos despierta la sospecha de que ninguno de los dos sea correcto, sobre todo porque no ayudan a determinar el sentido de esa palabra.
Como es lógico, nadie se preocuparía por semejante investigación si no fuera porque existe realmente un ser llamado Odradek. A primera vista tiene el aspecto de un carrete de hilo en forma de estrella plana. Parece cubierto de hilo, pero más bien se trata de pedazos de hilo, de los tipos y colores más diversos, anudados o apelmazados entre sí. Pero no es únicamente un carrete de hilo, pues de su centro emerge un pequeño palito, al que está fijado otro, en ángulo recto. Con ayuda de este último, por un lado, y con una especie de prolongación que tiene uno de los radios, por el otro, el conjunto puede sostenerse como sobre dos patas.
Uno siente la tentación de creer que esta criatura tuvo, tiempo atrás, una figura más razonable y que ahora está rota. Pero éste no parece ser el caso; al menos, no encuentro ningún indicio de ello; en ninguna parte se ven huellas de añadidos o de puntas de rotura que pudieran darnos una pista en ese sentido; aunque el conjunto es absurdo, parece completo en sí. Y no es posible dar más detalles, porque Odradek es muy movedizo y no se deja atrapar.
Habita alternativamente bajo la techumbre, en escalera, en los pasillos y en el zaguán. A veces no se deja ver durante varios meses, como si se hubiese ido a otras casas, pero siempre vuelve a la nuestra. A veces, cuando uno sale por la puerta y lo descubre arrimado a la baranda, al pie de la escalera, entran ganas de hablar con él. No se le hacen preguntas difíciles, desde luego, porque, como es tan pequeño, uno lo trata como si fuera un niño.
-¿Cómo te llamas? -le pregunto.
-Odradek -me contesta.
-¿Y dónde vives?
-Domicilio indeterminado -dice y se ríe. Es una risa como la que se podría producir si no se tuvieran pulmones. Suena como el crujido de hojas secas, y con ella suele concluir la conversación. A veces ni siquiera contesta y permanece tan callado como la madera de la que parece hecho.
En vano me pregunto qué será de él. ¿Acaso puede morir? Todo lo que muere debe haber tenido alguna razón be ser, alguna clase de actividad que lo ha desgastado. Y éste no es el caso de Odradek. ¿Acaso rodará algún día por la escalera, arrastrando unos hilos ante los pies de mis hijos y de los hijos de mis hijos? No parece que haga mal a nadie; pero casi me resulta dolorosa la idea de que me pueda sobrevivir.

Inicio | La Vuelta al Mundo

 

The Cares of a Family Man


Some say the word Odradek is of Slavonic origin, and try to account for it on that basis. Others again believe it to be of German origin, only influenced by Slavonic. The uncertainty of both interpretations allows one to assume with justice that neither is accurate, especially as neither of them provides an intelligent meaning of the word.
No one, of course, would occupy himself with such studies if there were not a creature called Odradek. At first glance, it looks like a flat star-shaped spool of thread, and indeed it does seem to have thread wound upon it; to be sure, there are only old, broken-off bits of thread, knotted and tangled together, of the most varied sorts and colors. But is is not only a spool, for a small wooden crossbar sticks out of the middle of the star, and another small rod is joined to that at a right angle. By means of this latter rod on one side and one of the points of the star on the other, the whole thing can stand upright as if on two legs.
One is tempted to believe that the creature once had some sort of intelligence shape and is now only a broken-down remnant. Yet this does not seem to be the case; at least there is no sign of it; nowhere is ther an unfinished or unbroken surface to suggest anything of the kind; the whole thing looks senseless enough, but in its own way perfectly finished. In an case, closer scrutiny is impossible, since Odradek is extraordinarily nimble and can never be laid hold of.
He lurks by turns in the garret, the stairway, the lobbies, the entrance hall. Often for months on end he is not to be seen; then he has presumably moved into other houses; but he always comes faithfully back to our house again. many a time when you go out of the door and he happens just to be leaning directly beneath you against the banisters you feel inclined to speak to him. Of course, you put no difficult questions to him, you treat him -- he is so diminutive that you cannot help it -- rather like a child. "Well, what's your name?" you ask him. "Odradek," he says. "And where do you live?" "No fixed abode," he says and laughs; but it is only the kind of laughter that has no lungs behind it. It sounds rather like the rustling of fallen leaves. And that is usually the end of the conversation. Even these answers are not always forthcoming; often he stays mute for a long time, as wooden as his appearance.
I ask myself, to no purpose, what is likely to happen to him? Can he possibly die? Anything that dies has had some kind of aim in life, some kind of activity, which has word out; but that does not apply to Odradek. Am I to suppose, then, that he will always be rolling down the stairs, with ends of thread trailing after him, right before the fect of my children, and my children's children? He does no harm to anyone that one can see; but the idea that he is likely to survive me I find most painful.
Franz Kafka
[Translated from the German by Willa and Edwin Muir]


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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