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Raffaele D'Agata
DISFATTA MONDIALE
Motivi ed effetti della guerra fredda

pp. 200 € 16,00

 

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Come la prima guerra mondiale, la guerra fredda non ha avuto vincitori ma soltanto sconfitti. La falsa pace del 1919 fu seguita da vent’anni di crisi, fino ad un nuovo e più terribile incendio del mondo: la seconda guerra mondiale, vent’anni dopo. E la guerra continua ad essere l’aspetto determinante della storia mondiale anche in questo primo decennio del Duemila.
La fine della guerra fredda, infatti, non ha superato il dissidio tra i membri fondatori del sistema delle Nazioni Unite – Usa e URSS principalmente – che rese largamente inoperanti le sue potenzialòità di progresso e di pace. Ha soltanto bloccato il sistema stesso mentre, finché è durata, lo ha confermato almeno come quadro di riferimento, sebbene nella forma impoverita dell’equilibrio di potenza.
La guerra fredda, infatti, ha reso sempre meno efficaci i principi e le possibilità di mediazione dell'ONU. Nello sforzo di prevalere, le parti in lotta hanno contraddetto largamente le proprie ragioni e soprattutto hanno evocato mostri inauditi. L’evento dell’11 settembre del 2001 può essere compreso soltanto come l’annunciato epilogo di questo processo.

 

Raffaele D’Agata è professore di Storia contemporanea all’Università di Sassari. Ha scritto saggi e monografie sulla storia internazionale del Novecento tra cui Da Monaco a Bretton Woods. L’evoluzione transnazionale degli interessi e degli scopi (1989); La nemesi dei prestadenaro. Economia mondiale e guerra fredda 1944-1948 (2001) e Idee, potere e società. Dalla presa della Bastiglia alla caduta del Muro di Berlino (2003).

Una recensione di Carlo Vallauri

Sui temi della guerra fredda, della coesistenza e del cosiddetto equilibrio del terrore sono stati scritti innumeri saggi e libri sul piano politico, militare ed economico. L’originalità di questa fresca opera di Raffaele D’Agata Disfatta mondiale (Odradek, Roma, 2007) è nell’aver impostato la ricerca sulle cause che portarono alla divisione tra Ovest ed Est al termine della guerra mondiale e quindi sulle complesse vicende che separarono le due principali potenze sino alla ricerca della distensione. Ma saranno le successive evoluzioni nei campi della tecnologia – nucleare e non – e di rapporti finanziari internazionali a segnare in maniera definitiva i termini di quel conflitto. Perché l’autore usa il termine “disfatta”? Egli si riferisce alla constatazione che già nell’immediato dopoguerra cadde la speranza di una cooperazione tra i vincitori di quel tragico conflitto che permettesse la piena affermazione dei principi di pace, libertà ed eguaglianza. Tutto il proseguimento dei tentativi di cercare strumenti di collaborazione sarà vanificato dalla durezza di uno scontro a larghe dimensioni che conduceva ad un inasprimento delle condizioni reali dei rapporti tra gli Stati, sottoposti al progredente dominio dei grandi interessi finanziari attorno ai quali si verrà poi a delineare, a partire dagli anni ’70, una serie di nuove articolazioni del capitalismo mondiale. Caduto il confronto tra le massime potenze, si assisterà al perseguimento di una politica economica risoltasi, nella sua dinamica, in un incremento pauroso delle disuguaglianze, favorito dal pieno successo della finanziarizzazione dell’economia. Come si vede chiaramente, D’Agata affronta una serie di problemi, ciascuno dei quali richiederebbe un volume a sé. Vogliamo qui sottolineare, oltre al merito di aver esposto con grande linearità i termini della contrapposizione di fondo, la capacità – attraverso anche il richiamo a importanti opere di ampie dimensioni su quello stesso periodo – di individuare nei vari momenti gli aspetti più significativi nel comportamento delle varie forze in gioco, dai gruppi militari alle manifestazioni vivaci dell’insofferenza alle violenze. Così la differenza nelle potenzialità nucleari – di volta in volta recuperate dall’Urss – e dei sistemi politici vengono in luce nel susseguirsi delle varie crisi, dalla Corea a Berlino, da Suez a Cuba. Particolarmente sottolineati sono alcuni momenti decisivi, come gli eventi in Afganistan, le crisi nei paesi dell’Europa orientale, i contrastanti atteggiamenti di Washington e Mosca rispetto all’Iran: viene così dai fatti la presa d’atto – a nostro avviso – della superiorità di una attrezzatura tecnologica occidentale e della corrispondente inferiorità nei tempi lunghi, del sistema economico comunista. Attraverso questa lettura i reali condizionamenti e i concreti effetti della grande guerra non combattuta direttamente dai due Stati più potenti del mondo dimostrano – da un lato – l’ampiezza dei problemi affrontati dalle due differenti economie e dal diffondersi del contrasto nei paesi del terzo mondo, dall’altro l’emergere progressivo di nuovi soggetti che – come oggi mostrano le cronache – diventano attori non eliminabili di un grande gioco di distruzione: i poteri sovrani degli Stati hanno indubbiamente condotto all’esasperazione della conflittualità con tutte le conseguenze perniciose che vediamo attualmente.
Carlo Vallauri

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