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Marco Clementi
STORIA DELLE
BRIGATE ROSSE

pp. 416 € 25,00

 

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La ricostruzione storica che proponiamo ha un oggetto fin troppo noto. Ma spesso indagato più con gli strumenti della pura cronaca che non con quelli della storiografia. Troppa vicinanza agli eventi, troppo coinvolgimento emotivo di “osservatori” necessariamente non neutrali, ma partecipi di uno scontro che ha segnato a suo modo un’epoca della nostra storia nel “secolo breve”.
Con questo libro, invece, ci sembra che finalmente la storiografia sia in grado di iniziare ad appropriarsi di un oggetto che – se non altro per l’ormai consistente distanza temporale – merita di appartenerle. Fuori dalle dietrologie, dalle personalizzazioni, dalle riduzioni più o meno interessate.
L’autore, del resto, nonostante la sua giovane età, vanta una produzione scientifica di tutto rispetto. Tra le sue opere più recenti spiccano ben due testi fondamentali per la comprensione del dissenso sovietico (è docente di Storia dell’Europa orientale a Cosenza).
Sono innumerevoli i passaggi che sfatano la vulgata corrente. Ci limitiamo qui a segnalare il ruolo di Giuliano Naria, la ricostruzione della dinamica di via Fani, nonché della “fase discendente” delle Br – per la prima volta indagata nelle sue svolte fondamentali, con attribuzione originale di ruoli e responsabilità ad ogni protagonista.

IV di copertina

Fonti e documenti. Il lavoro dello storico ha uno statuto consolidato, di rado applicato al più dirompente fenomeno politico che abbia attraversato l’Italia della seconda metà del Novecento. È quel che accade quando le ragioni del conflitto sociale e ideale sono così forti da ostacolare l’indagine scientifica. Con la storia delle Brigate Rosse questa difficoltà si è manifestata per almeno trent’anni, lasciando spazio, accanto a ricostruzioni scientificamente solide, a una letteratura per lo più di stampo giornalistico.
Marco Clementi, ne La pazzia di Aldo Moro, si era concentrato, con gli strumenti del suo mestiere, su un singolo punto di quel percorso, non a caso lo snodo principale. E con una severità metodologica esemplare. Ora si misura col fenomeno nel suo insieme e per tutta la sua durata effettiva, mettendone in risalto la coincidenza temporale pressoché perfetta con la parabola del movimento operaio italiano negli anni ’70. E restituisce tutta la complessità di un’esperienza «nata all’interno delle grandi fabbriche del Nord», e giunta, all’apice della sua esistenza, a toccare «il cuore dello stato».
Fonti e documenti. In un paese profondamente cambiato e turbato, scosso nelle sue certezze anche culturali, ridotto a vivere in una empiria senza princìpi, l’equilibrio nella ricostruzione storica di una materia così controversa costituisce un significativo passo avanti. Di quelli che solo la ragione vigile riesce a realizzare e di cui si ha molto bisogno.

Marco Clementi (Roma 1965) insegna Storia dell’Europa orientale all’Università della Calabria. Tra le sue pubblicazioni: Il diritto al dissenso. Il progetto costituzionale di Andrej Sacharov, Roma 2002, La pazzia di Aldo Moro, Roma 2001, Milano 20062; Cecoslovacchia, Milano 2007; Storia del dissenso sovietico, Roma 2007.

http://archivio.corriere.it/archiveDocumentServlet.jsp?url=
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La recensione di Giovanni Bianconi sul Corriere della sera

Corriere della Sera, 13 dicembre, 2007
Br, una storia finita con Ruffilli


«Con l' omicidio del senatore dc si concluse il progetto terroristico. Il tentativo della Lioce di riavviarlo non ha alcuna consistenza»
«Per Marco Clementi la parabola delle Brigate rosse si ferma al 1988»
« Il libro Parte dai tempi di Renato Curcio, la «Storia delle Brigate rosse» scritta da Marco Clementi per Odradek (p. 410, € 25)»
Clementi insegna storia dell' Europa orientale all' Università di Calabria e ha scritto una «Storia del dissenso sovietico»


Hanno impiegato undici anni per organizzarsi e decidere di firmare un delitto politico con la stella a cinque punte e la vecchia sigla brigatista. Era il 1999, e gli epigoni di Renato Curcio e Mario Moretti uccisero Massimo D' Antona. Tre anni dopo ci hanno riprovato, con l'omicidio di Marco Biagi nel 2002. Ma non è bastato. Nella Storia delle Brigate rosse che il professor Marco Clementi ha appena mandato in libreria con l' editore Odradek - molto approfondita e dal taglio quasi «scientifico», intenzionalmente privo di valutazioni morali - quelle drammatiche gesta compaiono solo di sfuggita. Relegate in una nota di cinque righe, a pagina 342, comprensiva dei nomi di assassini e assassinati. Non certo per dimenticanza, bensì come conseguenza della tesi di fondo: la parabola del gruppo che più di ogni altro ha segnato la storia del terrorismo in Italia s' è chiusa definitivamente nel 1988, quando i militanti che avevano sparato gli ultimi proiettili sul senatore democristiano Roberto Ruffilli furono arrestati, e quelli già carcerati dichiararono la fine della guerra perduta con lo Stato. Ammissione per molti versi tardiva, poiché già da qualche anno le azioni e i lutti brigatisti apparivano colpi di coda decisamente «fuori contesto». Secondo Clementi, che in passato ha studiato la fase più incisiva dell' attacco sferrato dalle Br con La pazzia di Aldo Moro, il percorso del maggiore partito armato italiano «coincide perfettamente con l' ascesa e la caduta dei movimenti: dal "biennio rosso" 1968-69 alla sconfitta dei "35 giorni" alla Fiat, nel 1980». Dopo di allora, «il rovesciamento del clima sociale degli anni Ottanta mise a nudo le debolezze del "progetto politico" brigatista, facendone rapidamente invecchiare il linguaggio». I morti che le Br hanno continuato a seminare fino al delitto Ruffilli «erano la rappresentazione di una conclamata solitudine politica, e non più la sanguinosa capacità di incidere sugli equilibri generali del Paese, come era invece avvenuto nel corso degli anni Settanta». Logico quindi che gli epigoni comparsi nel ' 99 siano collocati fuori dalla storia e dalla Storia delle Br, nonostante in carcere qualcuno ne abbia rivendicato gli omicidi e i killer di D' Antona e Biagi (arrestati nel 2003) continuino a lanciare proclami di guerra. «Il gruppo formatosi intorno a Nadia Desdemona Lioce - si legge nella nota che li riguarda - tentò di riaprire la logica della lotta armata percorrendo una via già abbandonata alla fine degli anni Ottanta dalle Br-Pcc storiche, ossia colpendo due uomini impegnati nella riforma del mondo del lavoro». Tentativo evidentemente fallito, per lo storico; col sottinteso che quel fenomeno ha rappresentato, e forse potrà rappresentare in futuro, solo un problema di polizia. Al contrario delle Br originarie, che invece, com' è spiegato nel volume, ricco di riferimenti a 18 anni di aggrovigliati e truculenti documenti brigatisti, cambiarono il corso degli eventi nel dopoguerra italiano. Il sequestro e l' omicidio di Moro rappresentano il punto più significativo dei mutamenti di rotta imposti dalla «politica armata» delle Br, che rimasero spiazzate dall' irremovibile fermezza dello Stato: i partiti «spostarono il piano dello scontro, e le Br furono messe di fronte a un' equazione che non furono in grado di risolvere». Dopo l' uccisione del presidente democristiano ci fu il massimo storico di adesioni al progetto brigatista, e nel 1979 il maggior numero di attentati, ma già dal 1980 cominciò la parabola discendente. Alla crisi dovuta ai «pentiti» e alla controffensiva «militare» dello Stato si aggiunse quella politica, con la «marcia dei quarantamila» alla Fiat, che sancì la sconfitta della lotta operaia e molte altre conseguenze. Tra le quali, secondo Clementi, l' incapacità delle Br di analizzare e cogliere l' autentico significato di quell' evento. Le divisioni che dall' 81 in poi hanno attraversato le «vecchie» Brigate rosse hanno portato alla fine della storia, all' interno della quale si può ritrovare anche una piccola «rivelazione». Ora che è morto, gli ex brigatisti che all' epoca furono suoi compagni non hanno più remore ad ammettere che Giuliano Naria - l' extraparlamentare arrestato nel 1976, il quale scelse di difendersi negando gli addebiti - fece effettivamente parte delle Br. Clementi lo sottolinea e attribuisce a questo particolare un' importanza «fondamentale per la storia della colonna genovese delle Br e dello stesso Naria». Che fu accusato anche di triplice omicidio e poi prosciolto, dopo un lungo periodo di carcerazione preventiva. In favore dell' innocenza di Naria si mobilitò a suo tempo, tra molte polemiche, una nutrita schiera di militanti e intellettuali.
Giovanni Bianconi

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Teorie del complotto
L'eclisse del Grande Vecchio
di Raffaele Liucci
Le Br non nacquero a tavolino in qualche scantinato della Cia, o del Kgb o del Sid, ma a Milano, nel 1970, in uno specifico contesto operaio. La loro parabola coincide con l'ascesa e la caduta dei movimenti: dal "biennio rosso" del '68-'69 alla. sconfitta alla Fiat, nel 1980, dopo i «35 giorni». È questa la tesi dei recenti volumi di Marco Clementi (Storia delle Brigate Rosse, Odradek) e Andrea Saccoman (Sentieri rossi nella metropoli, Cuem), i primi studi complessivi sulle Br condotti da storici di mestiere. Uno sfondo da tener presente, per orientarsi nel labirinto del sequestro Moro. La bibliografla è sconfinata, ma i testi utili davvero pochi. Giovanni Bianconi ha tracciato un'avvincente ricostruzione giornalistica (Eseguendo la sentenza. Roma, 1978. Dietro le quinte del sequestro Moro, Einaudi). Manlio Castronuovo ha compilato una rassegna dei principali snodi interpretativi (Vuoto a perdere, Besa). Agostino Giovagnoli ha indagato l'impatto dei «55giomi» sui principali partiti (Il caso Moro. Una tragedja repubblicana, il Mulino). Miguel Gotor ha curato per Einaudi l'edizione critica delle Lettere dalla prigione, che ci riportano tutti in quella angusta cella da dove uscì «forse il più importante epistolario del Novecento italiano». Impossibile, poi, non fare i conti con i monumentali studi di Vladimiro Satta, autentiche pietre millari deIla ricerca storica (Odissea nel caso Moro, Edup; Il caso Moro e i suoi falsi misteri, Rubbettino). Secondo Satta, ormai sappiamo tutto. Gli unici protagonisti dena vicenda furono i brigatisti. L'indubbio successo militare (ma non politico) del loro attacco fu dovuto all'effetto sorpresa e all'impreparazione degli apparati repressivi di fronte a una tale, inaudita emergenza. Insomma, non ci fu alcun "grande vecchio" a gestire nell'ombra il sequestro: «Il caso Moro è di per sé una storia tragica e per esprimere quella grandezza che è insita nelle tragedie non c'è davvero bisogno di montature». Un'interpretazione che si contrappone a quella di Sergio Flamigni (La tela del ragno, Kaos), il quale ha viceversa insistito sui poteri occulti interessati a pilotare le Br, sino al tragico epilogo. Forse non tutto è così chiaro, forse ci furono trattative mai venute alla luce (soprattutto per recuperare le carte del prigioniero), forse la sera del 9 maggio '78 molti nemici di Moro e del "compromesso storico" non versarono troppe lacrime per il suo assassinio. Però, documenti alla mano, è difficile non concordare, in linea di massima, con la pacata lettura di Satta. Come mai, allora, la straordinaria fortuna trasversale arrisa alla dietrologia più cervellotica e talvolta esilarante? Forse anche questo è un sintomo del deficit di laicità che affligge il nostro Paese, sempre in bilico tra Peppone e don Camillo. Le "grandi narrazioni" sono senz'altro più fascinose e seducenti dei fatti illuminati dalla loro cruda nudità. E così la verità non è quasi mai all'altezza delle nostre aspettative.

Raffaele Liucci
da DOMENICA, supplemento domenicale de Il Sole-24 Ore del 2 marzo 2008

 

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Recensione in ANNALE Sissco IX/2008, p. 220, di Emmanuel Betta


Docente di Storia dell'Europa orientale all'Università della Calabria, Clementi si è già occupato di terrorismo e brigate rosse (La pazzia di Aldo Moro, Roma, Odradek, 2001; Milano, Rizzoli 2006), nonché dei movimenti politici e del dissenso nell'Est europeo. Qui ricostruisce quella che configura come una storia del passato, considerata conclusa come il momento storico cui apparteneva, quel periodo che va dall'esplosione del biennio'68-69, alla marcia dei 40.000 del 1980: la stagione del movimento operaio e insieme quella delle BR quali protagoniste della vita politica italiana. Per Clementi non appartengono a questa vicenda storica i responsabili degli omicidi di Massimo d'Antona e Marco Biagi. Su di essi poche righe (nota 51 a p. 342) dove si legge che un gruppo guidato da Nadia Desdemona Lioce negli anni '90 ha cercato di riaprire «la logica della lotta armata in Italia percorrendo una via già abbandonata alla fine degli anni ottanta dalle Brigate rosse storiche» (p. 342); queste ultime avevano concluso la loro storia nel 1988 con l'assassinio di Roberto Ruffilli. Un taglio interpretativo netto e per molti versi discutibile, in primis perché adottando un approccio che guarda solo al piano politico-istituzionale e alle dinamiche ad esso legate, che risultano l'unico spazio nel quale vengono cercati i motivi e i caratteri dell'agire brigatista, l'a. rinuncia a problematizzare quegli stessi caratteri politico-culturali nei loro assunti come nelle loro articolazioni. Così, per esempio, per quanto usate, le memorie dei brigatisti non sono impiegate come fonti per discutere e fornire spessore alle affermazioni teoriche o politiche, ma fungono principalmente da corredo fattuale e veritativo alle ricostruzioni effettuate. Clementi afferma fin da subito la piena cittadinanza delle BR non solo all'interno del movimento operaio, ma più in generale all'interno dei movimenti antagonisti e rivoluzionari. In questo senso le ascrive senza esitazioni a un'unica genealogia operaista e di fabbrica, escludendo nettamente ogni altra filiazione politico-culturale, a partire da quella movimentista. Una lettura forte, densa di implicazioni e molto discussa, che sta al centro dei conflitti di memoria che ruotano attorno all'interpretazione della vicenda storica del terrorismo italiano. All'interpretazione corrisponde lo stesso impianto del testo: una fitta esposizione degli eventi in prospettiva rigorosamente cronologica, intrecciata ampiamente alla lettura e discussione dei documenti dell' organizzazione armata e divisa in tre parti: l'organizzazione, dai prodromi del '68-69 al processo torinese al nucleo storico delle BR del 1978; l'offensiva, clal1977 all' omicidio di Vittorio Bachelet e alla creazione della colonna napoletana nel 1980; la sconfitta, dalla rottura dell'unità brigatista nel 1980 con la nascita della colonna «Walter Alasia» alla fine, segnata dall'omicidio Ruffilli. Pur privilegiando un'analisi per linee interne a discapito della contestualizzazione, questo volume rappresenta una densa e dettagliata ricostruzione, e benché non introduca fonti nuove o novità interpretative costituisce indubbiamente un punto di partenza utile per inquadrare la vicenda storica delle BR.

Emmanuel Betta

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